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Gigi il Bastardo (& le sue 5 Morti)

Da Auroita @Vincenzo_Durso

gigi

Giorgio Manganelli sosteneva che la letteratura serve a frustare il lettore, per cercare in qualche modo di stimolarlo con ciò che legge. È forse questo che abbiamo perduto? In fondo, in molti manuali di scrittura creativa si cita spesso l’importanza di una struttura retorica organica presente già nel primo manuale sulla poetica, scritto da Aristotele.
Quale scempio! Quale disonore per la poesia, ma soprattutto per la scrittura. Per una creatività che non è più intenzionale, recuperata in exstremis dalle avanguardie del Novecento, e poi miseramente sciupata con il lavoro di voci distorte e manichini che si fingono di essere scrittori, che si nascondono dietro la maschera dell’umiltà. Ecco, essendo un critico letterario con una modesta conoscenza delle materie umanistiche, occupo una posizione assai sgradevole. Divenire un presocratico denunciando il fattaccio: Aristotele, in fondo, non ne sapeva niente di poetica. Tutto ciò che ha fatto è stato organizzare gli schemi metrici, dare una forma alla trama letteraria-poetica, ma esistente già nell’intenzionalità di essa. Di certo questa è una posizione opinabile, sostenuta già nel Cinquecento da Giordano Bruno (che di certo non consultava manuali di scrittura creativa): assai coraggioso nell’affermare furiosamente le sue idee, visto il periodo storico in cui visse.
Insomma, non sono qui a dispensare noumeni letterari, poiché nessuno può farlo, visto che il buon senso è andato perduto: perché? Domanda cui si risponde con dimestichezza. Tutti fissati con le regole! Tutti nel cercare ossessivamente una forma letteraria: la creatività in senso lato non esiste. E chi tenta di stabilire leggi sulla creatività, non è forse spinto da un esasperante angelismo? Dopotutto anche i padri della letteratura potevano avere delle visioni e non certamente fondate poi sulla ragione assoluta, no? Ecco il vero guaio della letteratura, o almeno quella più conosciuta: la creatività è sempre legata a una fenomenologia dell’oggetto. Ogni opera nasce ed è stesa con lo scopo di recuperare un oggetto, una realtà smarrita, che magari non è mai davvero esistita, oppure totalmente perduta, che porta così l’autore ad affrontare il cosiddetto genere tragico, e spesso questo conduce determinati personaggi alla morte mediante il caso o il destino; quest’ultimo trascritto dal pennaiolo di turno.
Il punto è che nel momento in cui un suddetto autore, con un’intenzionalità evidente, con uno sguardo addolorato dallo scempio della letteratura odierna, tenta di abbattersi con violenza sull’esistenza troppo accordata alla massificazione dell’oggetto (Tizio muore, be’, perché non indagare e scoprire com’è morto?), ecco che è stuprato da recensioni o suggerimenti che non si addicono a una capacità mentale non propriamente ecdotica. In fondo, chi è che può fare critica mantenendosi imparziale? L’uomo cade troppo spesso nel soggettivismo.
Questo preambolo presenta Luigi Straneo alias Pee Gee Daniel con il suo romanzo Gigi il Bastardo & le sue Cinque Morti. Afferma l’autore che tale romanzo presenta la formazione di un personaggio. Gigi sembra essere un eroe germinale, che non diviene mai tale: violento e triviale verso qualsiasi convenzione sociale che incontra sul suo tragitto. Ci sono tasti letterari che Luigi Straneo tenta di toccare: siamo di fronte ad un romanzo di formazione? Assolutamente no. Gigi non è un eroe e l’autore lo dimostra con un’accurata scelta intenzionale. L’antiforma diviene evoluzione primaria della realtà sconclusionata che incontriamo nelle pagine del romanzo. Vi sentireste mai di condannare l’Adone di Giambattista Marino? Penso che la risposta sia negativa. Gigi mi ha ricordato tanto l’incontro tra Amore e Adone; un ottimo sguardo rivolto verso il marinismo, quel caos che tenta di essere mantenuto, provocando nausea verso il lettore attraverso il tentativo di disapprovare qualsiasi oggetto che pensa di materializzarsi in forma. Siamo di fronte alla distruzione della Chiesa Inter-umana. Dell’uomo che crea l’uomo, per intenderci, che si omologa alle regole sociali. Le forme sono distrutte dall’autore, e non soltanto grazie a una scelta stilistica e grammaticale precisa, di una punteggiatura disordinata, di regionalismi che tentano di essere italianizzati, che si scoprono a fatica di essere forma, ma anche dallo smascherare la realtà effettiva: l’uomo è ossessionato da essa e da qualsiasi soggettivismo che si incontra quotidianamente.
Luigi Straneo ha una capacità lessicale evidente. Di un tentativo di essere l’estetico Gabriele D’Annunzio che prendeva appunti di lessico, metrica, e stile nei suoi Taccuini, poi li usava nelle sue opere:

ordunque io, Gigi+; che son appenappena quei 6-7 min. che sto qua dentro, smollo la tipa, senza dimandar venia la smollo volendo seguitare le mie personali ricerche di carne fresca, non mai prima saggiata. La smollo dinanzi a un buffet strapieno di cui faccio incetta, sgargarozzandomi l’umanamente sgargarozzabile, tra salatini e ulive e pizzette etc., associando il mangiativo a ricche sorsate di quel che capita, purchè sodamente alcoolico; finchè non sono a basta empio e infame, allora potendo penzare, dop’aver contribuito al piacere di pancia, pur’al compiacimento del sottopancia, ordunque partendomi a sta cerca urogenitàl-sentimentàl. Non prima, però, d’aver preventivamente distanziato dagli sbandati passi miei quelli inopportuni della temporanea congiunta….

Nell’autore c’è il rifiuto di scendere a patti con il lettore, della cosiddetta scrittura “Parla come mangi”. Tuttavia, bisogna stare attenti alle conseguenze. Il caos non esiste, nasciamo in esso, ma abbiamo la mania di creare l’ordine. In cuor suo, Luigi Straneo, giacché romanziere, crea un ordine progressivo dato dalla manipolazione della realtà di Gigi. Non siamo di fronte alla sperimentazione, come il lettore può pensare attraverso una lettura approssimativa, ma a un ritorno alle vecchie maniere letterarie. In lui si rivela la condanna di essere uomo e quindi di gettarsi in pasto al tentativo di glorificare la propria opera, attraverso le opinioni del prossimo, e l’essere scrittore: anarchica essenza che si lamenta della deviata maturità letteraria raggiunta nella nostra società.


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