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Riflessioni notturne: schiavitù vissuta

Da Auroita @Vincenzo_Durso

Lettura notturnaLe riflessioni aiutano il meccanismo cerebrale a rimettersi in gioco. Sì, perché se questo viene battuto è possibile resettarlo. Così da capire dove evidentemente si sbaglia. Ma il punto è questo: gli errori sono come caramelle per l’uomo. Pensiamo al fatto che più insistiamo a cercare di far andare tutto dritto, più le cose si complicano. È inevitabile.

Ricordo un giorno alla stazione di Napoli, per esempio. Quando ancora non ero malato. Insomma, prima di entrare nell’ospedale letterario. Era inverno, così dicevano. Ma il mio abbigliamento traduceva, invece, una ostinata volontà dell’estate a rimanere aggrappata alla terra. Me ne ricordo ancora. Eh sì, se me lo ricordo. Dentro il frastuono dei motori che pativano e soffrivano ad abbandonare la stazione. Ed io fuori ad aspettare che l’inverno giungesse veramente. Vivevo una febbrile attesa del domani. Un piacere che mai riusciva ad arrivare. Non era ancora Natale. No, non lo era. La frenesia dei passi delle persone produceva un mio ricordo dimenticato: anche io ero come loro. Una volta. Sì, tanto tempo fa. Il punto è che non riuscivo a sentire. Sì, non sentivo. L’inamovibilità dei sentimenti mi era compagna. Un’amica stretta con cui attraversare tutta la città. Di corsa. Sempre di più. Abbandoni di binari che, inesauribilmente, mi inseguivano. Ecco, sì. L’ordinaria quotidianità era un poliziotto che mi separava dallo stupore. Dalla meraviglia di conoscere. Per esempio, dal sapere che durante un tragitto ci si può persino dimenticare il proprio nome. Poi, ho iniziato a cambiare. Stanco di vivere nell’antica epopea dei negletti filosofetti. Così, decisi di diventare mezza nebbia. Poi nebbia assoluta. Ho pensato: «Sono invisibile! Finalmente!». Poi, mi sono reso conto che non era così. Che non riuscivo neppure a decifrare il nulla. L’oblio: patria della sofferenza. Non ti ho mai conosciuto veramente. Chissà, magari eri una donna con indosso un tappeto ad alto liccio. Probabilmente doveva essere un regalo di nozze. Ma sazio di sconfitte, poi ho cominciato a comprendere che le riflessioni portano alla separazione dalla fantasia. Un distacco assurdamente martoriante. Sì, dolori cubici della memoria. Mi resi sventurato, povero me. Tornai alla stazione di Napoli. Mi sembra sia stato il giorno seguente. Non c’erano più treni. Ero diventato schiavo della mia città.


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