di Damiano Becherucci
Dopo lunghi mesi di trattative e il superamento di una crisi che aveva paventato il ricorso all’uso della forza, il 22 gennaio ha avuto ufficialmente inizio Ginevra II, la Conferenza internazionale di pace istituita dal Consiglio di Sicurezza ONU per raggiungere una soluzione alla guerra civile in Siria. La prima sessione di negoziati, conclusasi venerdì 31, ha registrato molte reticenze al dialogo e in sostanza nessun risultato significativo, bensì solo un iniziale tentativo delle parti di avviare un primo contatto dopo tre anni di guerra civile. I delegati dell’opposizione hanno accettato di riprendere le trattative il prossimo 10 febbraio, mentre la delegazione del governo siriano non ha ancora confermato la propria presenza dichiarando di doversi consultare a Damasco. Dopo otto giorni di incontri, la comunità internazionale si chiede se ci sia realmente la volontà da parte del regime siriano di risolvere il conflitto, di mettere fine alle sofferenze della sua popolazione e se si riusciranno a conseguire realmente – e in che tempi – degli efficaci accordi di pace.
Sin dai giorni precedenti l’inizio della Conferenza alcuni elementi lasciavano presagire l’oggettiva difficoltà di raggiungimento di un accordo o, quanto meno, l’avvio di un compromesso preliminare. In primo luogo, la sola controparte del regime al tavolo dei negoziati è stata la Coalizione Nazionale dell’opposizione Siriana (CNS), organismo riconosciuto internazionalmente ma espressione solo parziale delle forze ribelli presenti in Siria, e tanto meno delle milizie islamiche o jihadiste. Dato ancor più rilevante se si osserva che queste ultime formazioni, tra cui spiccano Jabhat al-Nusra, Ahrar al-Sham, Liwa al-Tawid e lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), risultano oggi aver soppiantato come maggior avversario militare del regime l’Esercito Libero Siriano, legato invece alle opposizioni laiche come il CNS.
Il secondo aspetto poco promettente è stata l’assenza dell’Iran alla conferenza. Non è ormai più un segreto, infatti, che il conflitto siriano sia una sotto-riproduzione della più ampia guerra geopolitica tra le due potenze regionali, Arabia Saudita e Iran, tra il mondo sunnita e quello sciita. I sauditi insieme alle monarchie sorelle del Golfo finanziano e armano il variegato mondo dei ribelli islamisti, alcuni dei quali sotto l’etichetta di al-Qaeda, mentre gli iraniani sostengono strenuamente l’alleato Assad, baluardo del mondo sciita nell’area, anche con l’invio del braccio armato di Hezbollah, cosa che ha finito con il risucchiare progressivamente anche il Libano nel vortice della crisi. La presenza di entrambe le anime forti del Medio Oriente sarebbe stata essenziale nell’allargare lo spettro delle trattative e nell’aprire una possibile strada per un compromesso realmente efficace. L’azzardo compiuto pochi giorni prima della Conferenza dal Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon con l’invito all’Iran – poi ritirato frettolosamente – era stato un tentativo, seppur goffo, di raggiungere tale obiettivo. Alla fine è risultato, invece, uno sgradevole scandalo diplomatico, in quanto gli iraniani, al contrario di quanto aveva percepito il Segretario ONU, non erano affatto disposti ad accettare il Comunicato di Ginevra, testo fondamentale per l’istituzione della Conferenza.
Senza dubbio anche il giorno di apertura dei lavori ha alimentato le sensazioni negative circa una riuscita del vertice: davanti a più di 30 delegazioni straniere, la sessione riunita in un lussuoso albergo di Montreux, si è trasformata velocemente da incontro celebrativo e solenne in arena di reciproche accuse ed attacchi. John Kerry, Segretario di Stato USA, ha dichiarato senza mezzi termini che nel futuro della Siria non c’è posto per Bashar al-Assad; Ahmed Jarba, Presidente del CNS, ha condannato invece il regime accusandolo di essere il vero carnefice del suo popolo; mentre il Ministro degli Esteri Walid al-Muallem, non ha perso l’occasione di scagliarsi contro i Paesi occidentali e le monarchie sunnite del Golfo, colpevoli – come ha dichiarato – di armare i terroristi, nome con cui ha etichettato ogni opposizione al regime.
La Conferenza si è spostata successivamente al Palazzo dell’ONU di Ginevra ed ha avuto inizio l’arduo lavoro di gestione dei negoziati di Lakhdar Brahimi, diplomatico algerino incaricato speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la crisi siriana. I temi nevralgici affrontati, e che saranno al centro dei prossimi incontri, ruotavano intorno al cosiddetto “Comunicato di Ginevra”. Tale documento, redatto nel giugno 2012 a conclusione della prima Conferenza svizzera sulla Siria, era stato inserito nella Risoluzione 2118 del Consiglio di Sicurezza ONU che aveva disposto lo smantellamento dell’arsenale chimico degli Assad e l’istituzione della Conferenza di pace. Il Comunicato stabilisce alcuni principi fondamentali per guidare ogni accordo politico verso un periodo transitorio pacifico. Oltre all’interruzione delle violenze, nel testo spicca su tutti il punto riguardante la composizione di un governo di transizione con pieni poteri esecutivi composto congiuntamente da membri del regime e dell’opposizione; gli fanno seguito l’apertura di processi di dialogo nazionale, la riforma dell’ordine costituzionale e le elezioni multipartitiche per le nuove istituzioni del Paese.
Nel primo giorno di sedute a Ginevra, Brahimi è riuscito a far riunire le due parti in una stessa aula, nonostante i primi battibecchi sugli strascichi delle dichiarazioni fatte a Montreux. Come accennato precedentemente, però, le trattative durante tutta la settimana sono state caratterizzate da molti momenti di stallo e di disaccordo tra i due gruppi. Visto che i delegati del regime continuavano a sollevare numerosi impedimenti nell’affrontare la discussione sui principi del “Comunicato di Ginevra”, il mediatore ONU ha preferito spostare il dialogo su argomenti più urgenti: una trattativa sull’instaurazione di corridoi umanitari ed eventuali proposte di cessate il fuoco in aree localizzate per venire incontro alle sofferenze della popolazione siriana. Su questa materia domenica 26 gennaio le delegazioni sono riuscite ad intavolare degli accordi per l’invio di contingenti umanitari allo scopo di aiutare alcune centinaia famiglie rimaste intrappolate nella città vecchia di Homs, assediati e circondati da ben due anni dalle forze governative, costretti a patire fame e bisognosi di ingenti cure mediche. L’accordo sembrava prevedere un permesso da parte delle forze governative di un corridoio per le donne e i bambini, differentemente dagli uomini da soccorrere relativamente ai quali il regime ha chiesto all’opposizione una lista di nomi con i conseguenti timori da parte dell’opposizione che ciò possa portare ad una ventata di arresti, violenze e torture nei confronti dei ribelli.
Lunedì 27 gennaio, però, nel tentativo di riprendere il discorso sul governo transitorio è subentrato un nuovo stop: i membri del governo si sono presentati all’incontro della mattina con una dichiarazione di principi dove si scriveva che la “Repubblica Araba Siriana è uno Stato democratico, basato sulla sovranità della legge, l’indipendenza giudiziaria e la protezione dell’unità nazionale e delle diversità culturali”. E ancora che “Il popolo siriano ha il diritto esclusivo di decidere il suo sistema politico, libero da strutture imposte o interventi stranieri”. Era nuovamente il rigetto ai principi del Comunicato di Ginevra e al punto cruciale sulla formazione del governo di transizione. Il regime continuava a non accettare l’agenda del negoziato, la lotta al “terrorismo” restava la sola questione da discutere. La battuta di arresto non ha risparmiato nemmeno l’accordo sui corridoi umanitari e dinnanzi ad alcun cambiamento di posizione significativo Brahimi non ha potuto far altro che sospendere per circa una mezza giornata le discussioni così da permettere alle parti di riflettere su nuove proposte
L’impasse è stata superata mercoledì 29, quando il governo ha finalmente accettato di trattare sui punti del Comunicato di Ginevra e sull’esecutivo di transizione, mettendo da parte la questione terrorismo. I membri dell’opposizione si sono dichiarati essere soddisfatti perché insieme ai delegati del regime avevano analizzato il testo “paragrafo per paragrafo”. Anche Brahimi confermava che il “ghiaccio si era rotto” tra le due parti. Nonostante ciò, il mediatore ha mantenuto i piedi per terra affermando a conclusione della giornata che non si aspettava comunque nessun avanzamento sostanziale fino alla pausa dei negoziati concordata per venerdì. Anche la questione del corridoio umanitario ad Homs era tornata tra i punti in agenda.
Gli ultimi due giorni dei talks non hanno però portato risultati significativi, anzi l’incontro di venerdì si è concluso sgradevolmente, con un lancio reciproco di accuse: Muallem ha definito l’opposizione “immatura”, mentre il portavoce del CNS ha affermato che il regime “non ha nessuna intenzione di fermare lo spargimento di sangue”.
Inoltre, dall’estero sono arrivate notizie non positive riguardo allo smantellamento dell’arsenale chimico siriano: Robert Mikulak, Ambasciatore USA presso Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) dell’Aja, ha dichiarato che le operazioni “sono molto rallentate se non in stallo”. La Siria fino ad ora ha consegnato solo il 4% dei suoi armamenti chimici, un dato che non fa ben sperare circa il rispetto degli impegni assunti dal regime. Gli USA, dal canto loro, tramite John Kerry, stanno sollecitando la Russia a far pressione sul loro alleato Assad per procedere con la consegna degli armamenti senza ritardi. La definitiva rimozione e distruzione dell’arsenale è prevista per il 30 giugno.
In conclusione, i negoziati svolti fino a venerdì non fanno ben sperare verso la riuscita di Ginevra II. Lo stesso mediatore Brahimi, nonostante le frasi fiduciose di rito, non ha negato che le parti continuano a rimanere molto distanti tra loro sui temi cruciali. Inoltre, il regime non è sembrato pienamente collaborativo, alternando giorni di cooperazione con altri di completa opposizione alle discussioni: ciò fa sospettare che la sua partecipazione alla Conferenza sia solo un modo per temporeggiare e far recuperare terreno all’esercito siriano. Il futuro di Bashar al-Assad resta comunque la questione cardine su cui nessuno dei due gruppi vuole retrocedere. In aggiunta, i delegati del regime non hanno ancora dato per certo il loro ritorno a Ginevra per la ripresa dei negoziati il 10 febbraio. La consapevolezza dell’impossibilità di Brahimi e dell’Amministrazione Obama di poter esercitare pressioni sul regime alawita ha spinto infine Jarba ad accettare l’invito delle autorità russe a recarsi a Mosca, dove il prossimo 4 febbraio incontrerà Putin nella speranza che egli possa esercitare una qualche mediazione per favorire la ripresa del dialogo. Mentre i colloqui portavano quindi ad un nulla di fatto e il prosieguo della Conferenza rimane molto incerto, si aggrava la questione umanitaria: dall’inizio del conflitto le vittime sono stimate in più di 100mila e i profughi superano ormai i 9 milioni.
* Damiano Becherucci è Dottore in Relazioni Internazionali (Università di Firenze)
Photo credit: Muhammad Hamed/Reuters
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