Anna Lombroso per il Simplicissimus
Non potevano che chiamarla war-room anticrisi, una brutta formula gergale per definire l’incontro di competenze sempre più inadeguate, ferratissime però nel lasciar deteriorare, fino al degenerarsi i problemi, in modo da piegarsi all’ineluttabile emergenza.
Il Comitato per il coordinamento della politica economica e finanziaria è convocata per oggi da Monti, che andrà poco al cinema ma ha riunito come al Pentagono, prima dell’impatto con il meteorite, il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, quello per lo Sviluppo economico Corrado Passera e il titolare agli Affari europei Enzo Moavero. Non è prevista la presenza del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, che però, “in caso di aggravarsi della situazione”, potrebbe aggiungersi all’ultimo minuto.
Installano i maniglioni antipanico, si pavoneggiano con le maschere antigas, che tanto l’assedio lo stringono loro intorno a noi, con il massacro sociale, gli aumenti dell’Iva, il blocco delle tredicesime, le scuole in pericolo. Ma soprattutto con la vecchia arma, la più potente quella della propaganda del terrore: il potere dispone di tanta potenza e di tanta forza a lui conferite, che col terrore da esse suscitato è in grado di modellare le volontà di tutti i singoli”, secondo Hobbes “ in funzione della pace, in patria, e dell’aiuto reciproco contro i nemici di fuori”. Ma tutto sta ad intendersi se la pace non sia in perseguimento di un ordine “ideale” imperniato su disuguaglianze e conservazione e su chi siano i nemici e di chi.
L’originalità di questo governo rispetto ai precedenti non sta nell’ alimentare e nutrire amorevolmente gli stati di crisi, ma nella loro narrazione, nell’uso più o meno sapiente dell’alternanza di speranza e timore, nella esaltazione dei contenuti dell’emergenza o nella loro sottovalutazione, insomma nell’impiego del terrore, strumentale e ottuso. Il trailer dell’horror greco serve come deterrente all’azione, come minaccia perpetuata, per scoraggiare una rivendicazione di sovranità, uno spauracchio come quello ostentato nelle processioni per ricordarci che è meglio affidarsi a una divinità, fosse anche l’idolo della teologia del mercato, e ai suoi sacerdoti, fossero anche accertati pasticciocrati.
L’ideologia è sempre una deformazione ottica, una vera e propria costruzione teorica a distorcere e falsificare i rapporti e la realtà sociale, con la “verità” della classe al potere che naturalizza ciò che è socialmente determinato, eternizza ciò che è in divenire, universalizza ciò che è particolare, secondo i movimenti sempre uguali di una straordinaria macchina retorico-filosofica volta a giustificare il potere e le ingiustizie sociali.
Quella che muove i poteri forti contemporanei si serve degli ingranaggi del pragmatismo: opportunità e necessità, convenienza e primato dell’interesse devono persuadere all’ineluttabile e implacabile conversione alla rinuncia, dei diritti, delle garanzie, dei beni comuni, della dignità, della sovranità dello stato e del popolo, perché è preferibile essere schiavi purchè con la pancia piena. E la coltivazione dell’erba cattiva dell’emergenza serve a questo, a mostrare un pericolo così oscuro, così tenebroso e così affamato da rendere desiderabile la sospensione della responsabilità, la certezza di una miseria temperata da qualche concessione.
È la prassi emergenziale che alla complessità dei problemi oppone soluzioni rigide, poteri straordinari, commissari e leggi speciali, insomma tutta l’attrezzatura dell’autoritarismo: centralità, repressione, offuscamento dei processi decisionali.
Le crisi, finanziarie, ambientali, morali, si fanno incancrenire come ferite che costringono alla mutilazione, i nemici si esaltano per giustificare le guerre, la paura si nutre per ricattare il futuro tra emergenza clandestini/immigrati, emergenza terrorismo, emergenza inflazione, emergenza petrolio, emergenza rifiuti, fino alle emergenze spicciole o stagionali (caldo, maltempo, inquinamento delle città, bullismo, zanzare, guidatori ubriachi, ecc. ecc.), nella nuova semantica che riduce tutto al dualismo amico/nemico, noi/loro, interno/esterno, euro/lira, da trattare in pochi eletti, anzi nominati, nella war-room anticrisi. Perché è cruciale che il pericolo e l’insicurezza siano “percepiti”, avvertiti, e che si insinuino quotidianamente nella vita sociale, goccia a goccia, a piccole dosi omeopatiche prima per poi diventare espliciti, dirompenti, tanto da farci accettare qualsiasi imposizione anche la più iniqua. Ma siamo sicuri che ci sia qualcosa di peggio di questo che stiamo già vivendo, che sia preferibile l’ineluttabile realizzazione di tante minacce a strade magari impervie, sconosciute ma che ci tracciamo noi e che siamo disposti a percorrere?