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Come ogni anno si sono tenute a Milano dal 22 al 28 Febbraio le sfilate di Milano Moda, sfilate in cui l’estro e le creazioni dei maggiori stilisti vengono messe in mostra nella speranza di acquirenti facoltosi pronti a farne incetta. Niente più, niente meno che il solito mercato dove si incontrano domanda e offerta e dove tutti sono disposti a “vender-Si”. In questo concentrato di capitalismo globalizzato spinto al limite c’è una voce fuori dal coro; se vogliamo la solita voce, quella di Giorgio Armani che sin dagli inizi, da quando lo conosciamo ha sempre mantenuto certe distanze dall’eccesso modaiolo. Oggi che Armani Giorgio (persona) non ha niente da dimostrare a nessuno tantomeno sperare in un successo da cui è oltre e fuori, può certamente permettersi di esternare il proprio pensiero sul mondo di cui per oltre trent’anni è stato (ma lo è ancora oggi) protagonista.
Dice Armani: “Se parliamo di moda, ci riferiamo a qualcosa che deve essere desiderabile, portabile e che risponda alle esigenze del tempo in cui viviamo. La moda deve rapportarsi costantemente alla realtà pur mantenendo una dimensione di fantasia e creatività nel modo in cui viene presentata e comunicata. E il riscontro finale è dato da chi ti sceglie, che sa distinguere ciò che è puro intrattenimento da ciò che è vero elemento del guardaroba, un abito, che lo aiuterà a sentirsi disinvolto e sicuro nell’affrontare la vita, nonostante l’influenza dei media”. Pura verità. A cosa servono quelle sfilate con modelle su trampoli e vestiti impossibili che mai nessuno indosserà nella vita di tutti i giorni se non icone costruite ad arte dai media come Lady Gaga? E tutti quegli stilisti che fanno a gara nel presentare creazioni che non hanno nulla del vestire (inteso nel senso sociologico del termine) cosa rappresentano se non il proprio ego sfrenato?
Ma proseguiamo “Se poi parliamo di modelli di crescita, come ho già affermato nel passato, io non ho bisogno di alleanze, né di complicità, né di frequentazioni mondane, né tantomeno di espedienti: né estetici, né di visibilità. Ho troppo rispetto di me stesso, per il pubblico e per tutte le persone che lavorano con me e nel mio settore, per rinunciare a una sorta di onestà intellettuale che influenza e orienta la mia vita, anche a discapito di allettanti opportunità economiche. La mia formazione mi impone una certa serietà, da non confondere con la seriosità”. E questo sicuramente è un pensiero che dobbiamo ammettere non ha nulla a che vedere con lo sfavillio, il mondo scintillante (con tutto quello che c’è dietro) della moda.
E sentite come si pronuncia sullo “stile” che deve essere l’elemento cardine delle creazioni degli stilisti: “Molte volte si parla di stile, ignorandolo totalmente. Mi è sempre molto dispiaciuto vedere come la mancanza di logica abbia spesso prevalso sul buon senso, mi innervosisce scoprire che il linguaggio televisivo ha pervaso la scena e involgarito gli animi, oltre che molte vetrine delle nostre città. Non ho mai avuto bisogno di effetti funambolici per costruire la mia identità e difendo l’indipendenza della mia azienda perché ne deriva una maggiore libertà sia sul piano creativo che decisionale e strategico. La mia è una impresa costruita negli anni, senza rilevanti cedimenti né speculazioni estemporanee: credo nella quotidianità fatta di grande impegno, di rischio calcolato e di amore per quello che si fa, seguendo una precisa e coerente direzione verso il futuro. Sono felice di riconoscere in ogni segmento della mia vasta produzione la matrice etica che fa del mio nome, un nome credibile”. E’ una dichiarazione che esula dal mondo modaiolo dove l’etica è una chimera ma anche il “duro lavoro” altro non è che perseguire denaro senza concretezza.
E proprio sul denaro e sui guadagni della moda, sentite come la pensa Re Giorgio: “Non ho nulla, naturalmente, contro l’entrata in Borsa, ma sono convinto che la Borsa o le aggregazioni non siano le uniche soluzioni, come è stato impropriamente detto e scritto. Non esiste un modello unico di strategia. Dipende da molti fattori e c’è una differenza sostanziale tra imprenditore e finanziere: se quest’ultimo ha in mente il risultato immediato, l’imprenditore appassionato lavora per costruire nel tempo. Io sono un testimone di questo modo di interpretare l’imprenditoria: ne è prova la crescita costante della mia azienda, che continua a creare posti di lavoro incentivando l’artigianalità e alimentando un patrimonio di conoscenza che rischierebbe altrimenti di perdersi”. Se tutti applicassero queste semplici teorie alla propria imprenditorialità credo che molte aziende e specialmente le più piccole riuscirebbero a sopravvivere a questa tremenda crisi. E così continua: “Oggi io non ho bisogno dei soldi della Borsa, né per crescere, né per globalizzare, né per aggregare i miei marchi. Non faccio parte del Sistema, perché è complicatissimo e non sempre chiaro e trasparente”. E’ un pensiero che non ho remore a definire “socialista” quello di Armani e espresso in un settore come quello della moda credo sia piuttosto “rivoluzionario”.
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