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Giornali, fondi pubblici e informazione online di serie B (?)

Creato il 11 febbraio 2012 da Damiano_celestini @damcelestini
Giornali, fondi pubblici e informazione online di serie B (?)
Scrivo questo post consapevole che, unavolta finito di leggerlo, qualche collega storcerà la bocca.Probabile che mi beccherò pure qualche “vaffa” ma me ne faròuna ragione. Ho già scritto in passato sui finanziamenti pubblici aigiornali e ho sempre detto di essere contro. Dico questo consapevoledel fatto che il giornale per il quale collaboro, Il Messaggero, ifondi li prende. Solo che in questi giorni sono emersediverse situazioni complicate legate al Manifesto, al Foglio dovuti al taglio del Governo. Capisco che l'argomento per la nostra categoria siapruriginoso perché si tratta di posti di lavoro che rischiano disaltare e di persone (giornalisti, poligrafici, ecc...) che hannofamiglie da mantenere e non crediate che tutti i giornalisti prendanocifre astronomiche. Non è così. Di questo dispiace, così comedispiace vedere una testata che chiude i battenti. È sempre unasconfitta. Però se ci soffermassimo solo sulgiornale come prodotto capiremmo che la frase “il taglio dei fondimette a rischio il pluralismo” nel 2012 suona parecchio stantia einattuale. Se un giornale è in crisi e non vendeun motivo ci sarà. Fermo restando l'enorme rispetto per la storia deIl Manifesto, ad esempio, a me è sembrato paradossale il fatto chesi lanciasse l'appello ai lettori per comprare il giornale. Ma se noncomprano il giornale che lettori sono?Un altro aspetto. Nel discorso fatto daGiuliano Ferrara sulla crisi de Il Foglio (poi risolta da uninvestitore per il momento) il direttore ha detto “altrimentisaremo costretti a mantenere solo la versione online”. Costretti? È questa, ancora oggi, laconcezione che i giornalisti hanno dell'informazione online?Un'informazione di serie B? Che rappresenta una sconfitta rispettoalla carta? Il che è molto strano dato che Il Foglio, tanto per fareun esempio, scommetto quello che volete che abbia più lettori verinella versione web che in quella cartacea dove si fa il giochetto(che tanti fanno: uno scandalo) di stampare più copie per “gonfiarela tiratura” e accedere a maggiori fondi pubblici. Va detto anche che il nostro paeserispetto alla pubblicità (fonte importante per i giornali) vive unadoppia anomalia: 1) A parte i grandi gruppi per il restoc'è ancora una certa ritrosia negli inserzionisti nell'investirenell'online. Fenomeno che migliora, ma ancora c'è. 2) Negli altri paesi esiste un tettomassimo per la pubblicità che viene fatto rispettare, mentre inItalia la tv (correggetemi se sbaglio) si “pappa” ben oltre il50% degli introiti.Detto questo. È vero chel'informazione è una merce particolare ma è altrettanto vero che non reputo giusto reclamare soldi pubblici per mantenere in vita ungiornale che vende pochissimo. Il pluralismo, grazie alla rete e aisocial network (ci sono profili su twitter che hanno più follower dicerti giornali), può sopravvivere online ma c'è bisogno di unaconcorrenza leale nella distribuzione della pubblicità e di maggiorecoraggio: da parte degli investitori e, soprattutto, da parte nostra. 

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