Magazine Società

giornalisti precari

Creato il 28 gennaio 2012 da Gaia

Avrete sentito delle manifestazioni di solidarietà a Giovanni Tizian, giornalista costretto a vivere sotto scorta per le minacce seguite alle sue inchieste sulla mafia al nord, e in particolare in Emilia-Romagna. E’ bello che la società civile e i colleghi si mobilitino, anche se purtroppo lo fanno solo per alcuni casi e ignorano gli altri, cosa forse difficile da evitare, perché i giornalisti minacciati sono veramente tanti. A questo proposito segnalo l’intervento meno retorico che ho letto in merito, dal titolo eloquente “Peggio la mafia o i giornali sfruttatori?“, che denuncia come da nord a sud i giornalisti precari, tra cui anche uno come Giovanni Tizian che oggi riceve tanta solidarietà e pubblicità, facciano un lavoro difficile e pericoloso per pochi spiccioli o anche niente. Vi consiglio di leggere quello che scrive Antonello Mangano nell’articolo, purtroppo è tutto vero, io da parte mia vorrei aggiungere che la cosa è capitata anche a me, negli anni in cui ho scritto o collaborato con varie testate. Spesso i soldi da darmi proprio non c’erano, e io mi vergognavo persino a chiederli, eppure come tutti non posso permettermi di lavorare gratis, anche se ormai è quello che ci si aspetta dalla mia generazione. La verità è che lo scrivere un articolo, se non lo fa un giornalista assunto ma lo fa un giovane precario, per quanto bravo, non è trattato come un vero lavoro. Perché? Secondo me l’incapacità della categoria di farsi valere collettivamente, nonché il divario ormai in quasi tutte i mestieri tra giovani precari e ‘anziani’ sistemati, c’entrano fino a un certo punto. Mi si scusi se parlo di mercato, ma non si può ignorare che ci sia una grandissima offerta di aspiranti giornalisti, e quindi le testate possono permettersi di sfruttarli perché ci sarà sempre qualcuno che si presta e non si lamenta, sperando in un’assunzione o nella famigerata “esperienza”, che tutti ti chiedono e nessuno ti retribuisce. Inoltre, mi dispiace ma il livello dell’approfondimento dei media italiani, con poche eccezioni, è molto basso: ogni giorno mi imbatto in articoli frettolosi e superficiali, forse perché il giornalista deve scrivere tanto per mettere assieme un guadagno decente, ma anche perchè sopra di lui non c’è nessuno che pretende rigore; e in un italiano sciatto, sensazionalistico, narcisistico e frammentato che sembra servire più a schiaffeggiare il lettore che a fargli capire qualcosa. Per non parlare dell’abitudine di copincollare comunicati stampa o inchieste altrui, e farci un pezzo intero – può essere utile, ma se ne sta abusando, e poi i comunicati stampa sono praticamente propaganda, non integrarli è pigrizia pura. Insomma, c’è tanta robaccia in giro, robaccia che chiunque o quasi può fare, e il giornalista che lavora così, cioè male, finisce nello stesso calderone di quello bravo la cui bravura nessuno apprezza, o addirittura nessuno vede perché siamo abituati a sentir urlare più che riflettere.

Un altro problema è che la gente adesso vuole notizie e informazioni, ma crede di poterle avere sempre gratis. I giornali online sono quasi oscurati dalla pubblicità, e così anche molti cartacei, idem per gli altri media. E’ veramente dura far passare l’idea che il giornalismo costa come qualsiasi altro lavoro, e quindi che chi lo fa dev’essere retribuitio. Sui fondi pubblici io sono sempre più scettica: alcuni giornali, come Il Manifesto, sostengono che senza di loro la stampa indipendente e di qualità muore o si svende, mentre altri, come Il Fatto, criticano il sistema di contributi (ma non uniformemente, ammetto comunque di non seguire molto questo quotidiano quindi non posso essere più precisa.)

Io penso che l’autofinanziamento sia una forma di finanziamento migliore: ‘pubblica’, nel senso di collettiva, ma più responsabilizzante e giusta del trasferimento mediato dalla politica, poco trasparente, e sto aiutando ad esempio Radio Onde Furlane a raccogliere fondi; è anche vero che la gente non è abituata a pagare per quello che crede di poter avere gratis, senza rendersi conto che, come recita uno dei principi fondamentali dell’economia, il gratis non esiste.

Tornando alla denuncia di Mangano, io personalmente mi sono stufata di cercare di farmi pagare per quello che scrivevo, dall’alto, e ho preferito girarmi verso il basso, tenere un blog, pubblicare libri, e sperare magari un giorno di pubblicare autonomamente delle inchieste lunghe e approfondite, come ho sempre sognato, senza passare per i giornali. Non tutti però possono fare così, e non è neanche auspicabile: dei centri di raccolta, controllo e smistamento informazioni servono, ma adesso non funzionano, e bisogna essere onesti su questo punto, come fa appunto l’articolo che vi segnalo.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

A proposito dell'autore


Gaia 251 condivisioni Vedi il suo profilo
Vedi il suo blog

L'autore non ha ancora riempito questo campo L'autore non ha ancora riempito questo campo

Magazine