Oggi, venerdì 3 maggio, è la Giornata mondiale per la libertà di stampa.
Raccontare è sempre stata una necessità umana, un bisogno. È qualcosa che ha a che fare con la verità, per quanto relativa essa rimanga. È una faccenda vecchia come la storia dei tempi, quella di raccontare. È da sempre si intreccia inevitabilmente con la libertà.
Ogni Paese ha le sue peculiarità, i suoi problemi, i suoi nodi da risolvere. E non in tutti chi sceglie di osservarli e poi di riportarli può sentirsi libero, al sicuro. L’Italia è un Paese strano: certo, per chi scrive è un luogo più tranquillo di tanti altri, tuttavia il controllo sottaciuto delle notizie e l’ombra delle leggi bavaglio sempre all’orizzonte inserisce il nostro Paese al 57 posto della classifica mondiale di Libertà di Stampa (dati 2013 Rsf), un risultato di cui certamente non bisogna andar fieri.
Nel resto del mondo può capitare di imbattersi in Paesi dove la stampa è controllata dal regime e l’indipendenza delle notizie riportate si paga con la vita. Dati alla mano, dal 2012 sono stati uccisi 121 giornalisti (dati Unesco) soprattutto in Medio Oriente e in Nord Africa. In Siria, Paese dilaniato da una guerra civile che ha assunto il valore di una guerra economica, politica e religiosa, sono morti 16 reporters nel solo 2012, e il numero sembra destinato ad aumentare per quanto riguarda l’anno corrente. Altri Paesi ad altissimo rischio sono la Somalia e il Pakistan. Il Mali lo è diventato negli ultimi due anni.
Oggi si celebra un valore spesso calpestato, minacciato, punito. Si dà merito al mestiere di chi parte nonostante il rischio e la paura, per poter afferrare parti di mondo sotterrate nell’abisso del silenzio, dell’indifferenza. O si elogia il lavoro di chi racconta la propria, di terra, come i migliaia di freelancers che dalla fine del 2010 hanno raccontato la Primavera Araba tramite i mezzi di informazione non sottoposti a censura, come i social networks. O chi lo fa ogni giorno nei regimi sudamericani, in quelli asiatici, dal Messico alla Corea del Nord, dove i giornalisti scompaiono nel nulla. È un giorno per ricordare l’impegno di tanti, tantissimi, come Domenico Quirico, l’inviato de La Stampa scomparso in Siria 25 giorni fa, che nel 2010 scampò alla morte in Libia, ma che nonostante questo, non si è fermato, per raccontare nuovi dolori, nuove ingiustizie.
Non si è mai sazi di libertà. Né si può essere sazi di raccontare. Testimoniare ciò che accade è sacrosanto, soprattutto in quei Paesi dove la maggior parte dei diritti vengono negati.
I racconti dei giornalisti restituiscono pezzi di mondo sommersi, assieme alle vite di interi popoli. Sono storie di dolori e soprusi, di violenze e coercizioni. Sono quelle parole che qualcuno vuole tacere, infangare, deturpare. Per questo, e per tanti altri motivi, meritano di essere lette.
Fosse anche solo per avvicinarsi un poco a quel traguardo che chiamano giustizia; per poter rispondere, almeno per qualche istante, a quel richiamo interiore di verità.
articolo di Virginia Giustetto.
La libertà di stampa nel mondo