Non so quando o con che modalità riuscirò a pubblicare questo post. Intanto, però, lo scrivo. Qui, nello scompartimento stranamente vuoto di un intercity diretto a Prato. Chè scrivere in treno, poi, m'è sempre riuscito bene.
Davanti a me, la prospettiva di un cellulare che squilla risposte. Un altro concerto. Altri sorrisi. Sopra la mia testa, nel trolley mezzo vuoto, c'è una t-shirt nera con sù scritto "siamo morti a vent'anni". Dentro, immagini confuse di sabato scorso. Frammenti di suoni, di facce, di voci. Ecco, soprattutto le voci. Quella di un cantante con gli occhi azzurri che "ormai mi conosce", ma non parla spagnolo. Quella ormai famigliare di Marta, incontrata al tavolo di un bar solo due settimane addietro, eppure già oggetto di confidenze tra amiche. Quella di un musicista che mi saluta con inatteso entusiasmo. "Ma 'sta confidenza?" "Giuro, non ne ho idea!". Le voci, soprattutto, affastellate e sovrapposte di tutti quei "tu sei Ilaria, giusto?" . Quelle che, ancora una volta, hanno fatto di un'esibizione live il simulacro più appropriato del concetto di "casa".
Devono essere passati almeno due millenni da quando affermavo che avrei mantenuto le distanze. Che sì, quel disco mi piaceva, ma questa volta non mi sarei fatta coinvolgere. Illusa. Io davvero non lo so, com'è che sono fatta così male. Progettata per lasciare pelle ed anima in ciascuna delle cose che amo. Estraggo il cellulare dalla borsa, con un filo d'ansia a chiudermi lo stomaco. Forse dovrei scrivere a Rebecca. Chiedere consiglio pure a lei in merito a un’idea balorda che mi gira nella testa da un po' in qua. Desisto. Tanto la vedrò tra qualche ora. Forse il problema è che la musica ho sempre saputo viverla solo e soltanto così. Ma in fondo, poi, chissenefrega. Mi piace, giusto? Sentirmi una quindicenne, con la voce che mi trema il mio presunto inadeguato. Ricambiare sguardi da un palco. Conoscere persone. Vivere, masochista che non sono altro, sulla montagna russa dell'adrenalina. Quella che da un "wow" ti precipita nel vuoto più vasto e assoluto. E tu ti senti una cretina. Completa. Preda dei "perchè lo faccio?!", almeno fino alla prossima impennata. Mi ha accolta con insolita rapidità, la community de Il Cile. A braccia aperte, nonostante la pedanteria dei miei primi interventi. Che se li avessi letti dall'esterno, io mi sarei stata sulle palle un bel po'. Ecco, avrei dovuto dirgli questo, Sabato, quando mi ha riconosciuta dall'avatar. Mi ero anche preparata il discorso. "Guarda, Lorenzo, che non sono così. Sono una normale, ogni tanto. E' solo che non riesco ad esimermi dal commentare tutto. Solo che la grafomania e il desiderio di far bella impressione, assieme, non stanno bene per niente". Ci avevo pensato. Un sorrisetto qua e là a condire il tutto. Una battuta, magari. Ma poi mi sono tornate in mente le sue frasi. Le ho riviste tutte, nella loro perfezione fonica e concettuale. E mi s'è chiusa la bocca. Così, di botto. Salivazione disattivata. Incastrato il tastino che avrei dovuto premere per farlo passare dalla modalità "uno-che-scrive-da-Dio" alla modalità "ragazzo-toscano-che-ha-soli-tre-anni-più-di-te", con cui mi sarebbe stato più congeniale rapportarmi. Pazienza.Il fatto è che, non appena ho iniziato a prendere confidenza con i nomi letti su uno schermo, ho capito che quel che avevano da dire aveva molto a che vedere con me. Ho ritrovato lo spirito di gruppo. La voglia di divertirsi. Di condividere sensazioni, senza invidie o gelosie sterili. E Sabato, nel guardarmi indietro, dopo l'esibizione dei Bastard Sons of Dioniso, ho visto il pubblico cambiare. I quindicenni sostituirsi ai trentenni. I ragazzini che pogavano abbandonare il campo a favore di persone più mature. Ed ho capito, nella migliore delle metafore, cos'è che veramente avevo perso altrove. La ricerca del posto nel mondo: lo dicono anche i sociologi, che è sempre stato questo essere fan. E c'è un perchè, se la prima volta che ho inserito quel disco nel lettore cd dell'auto, ho pensato "cazzo, questo qui mi ha capita". La canzone era la stessa che ora urla "finalmente" dal trolley qui sopra. Siamo morti a vent'anni, con i nostri progetti di vita alternativa. E' colpa di quella canzone, più che di Cemento Armato, se io adesso sono qui. Ma cominciamo dall'inizio. Che, detto a questo punto, vi potrebbe anche spaventare. Ma l'inzio, in realtà, non è che una strada inondata dal sole. Costeggia le mura di Treviso, dove una sfilata di gazebo bianchi mette a dura prova la mia necessità di risparmiare. Sotto ci sono borsette. Bracciali con le perline. Mojito. Persino un chiosco di gastronomia spagnola che evoca nostalgie tra bandiere e immagini di flamenco. Lo sguardo coglie i primi addobbi, a forma di note musicali colorate. Non c'è dubbio: è il mio Paradiso.Sto iniziando vagamente a realizzarlo, quando le note de "I tuoi pugnali" mi riportano alla realtà. Segue scambio veloce di occhiate tra me e Marta. "No, ma è qua dietro?" Rischiamo di finire sotto un auto, nella foga di raggiungere la fonte del suono. Quando ce la facciamo, ci ritroviamo in uno spiazzo. Da sole. Col Cilembrini che ci guarda tra il perplesso e il divertito mentre io inizio ad accusare i primi vaghi sintomi di regressione all'adolescenza. O del delirio, in generale, che poi quello è innato in me. E spero che non mi stia guardando per quello che penso. Anzi, spero non stia guardando me e basta. Mi volto nella speranza di trovarmi davanti altre persone, ma alle mie spalle c'è soltanto una distesa deserta. E, quasi certamente, era vero anche quello che pensavo. Lo appuro poco dopo, mentre l'imbarazzo della solitudine quasi assoluta mi abbia ormai convinta a filarmela con poca dignità. Nonostante continui a ripetere a Marta "se vogliamo chiedergli una foto lo dobbiamo fare ora, questo momento non ricapiterà". In effetti, sono bravissima a elargire in modo convinto consigli che io poi non seguo. Lei sì, però, a quanto pare. E proprio mentre sono distratta a guardare non so cosa (probabilmente una notina colorata: le amo), si lancia in un impeto di determinazione di cui - manco a dirlo - mi accorgo in ritardo. Ma ormai, oltre a tutto il resto, sono anche vittima di una specie di insolazione, per cui ogni mio comportamento potrebbe essere scusato. Compresa la colossale figura di merda in cui sto per imbattermi. Che, nello specifico, consiste ne Il Cile che mi saluta con entusiasmo, elargendomi due baci sulle guance e la già citata conferma che mi ha riconosciuta da Facebook; e in me che, ricordandomi di botto le sue doti scrittorie (nonchè le fesserie che scrivo io sui social network), mi cimento in una scena quasi muta da copione. Anzi no, blatero qualcosa di non molto sensato sulla macchina fotografica che ha vita propria e sul fatto che ci vedremo anche Lunedì. Ho ventott'anni, ricordiamolo tutti. Ripetiamolo in coro. Comunque. A mia parziale discolpa, è dal 2012 che sogno questo concerto. Quindi, presumo sia da considerarsi normale se ogni emozione viene un po' enfatizzata. E poi il mojito, l'ebbrezza della prima-fila-centro, le chiacchiere e le nuove conoscenze...insomma, poi ce la faccio, a rilassarmi un po'. Tanto che recupero anche un po' di dialettica, nel ri-beccare Il Cile dopo lo show. Non tutta 'sta gran roba, figuriamoci. Ma l'assetto di persona normale e non psicologicamente disturbata, forse forse, potrei anche essermelo riguadagnato. Ho detto potrei.
Quanto al concerto in sé, penso valga come giudizio l'afonia del giorno dopo. Chè una si esalta in modo proporzionale all'attesa, capirete. Soprattutto se dal vivo metti i punti esclamativi ad un pensiero che avevi già formulato. Perchè se oltre a scrivere dei testi bellissimi (l'ho per caso già detto che mi piace come scrive?) uno canta anche in modo impeccabile, e interpreta con un'intensità che ho visto a pochi...beh, allora la musica italiana ha un futuro. Non è in mano ai reality e ai talent. Non è del tutto in balia di qualche banalità infilata a caso, o - che ne so- di qualche cover. Ed è francamente assurdo quanto questo riesca a rendere orgogliosa me, cioè la persona meno patriottica che esista al mondo. I momenti salienti?1. "La ragazza dell'Inferno accanto", dedicata – come mi dicono, poi, faccia sempre - alle "belle ragazze qui davanti". Che siccome sono una ragazza ed ero "lì davanti", mi sono appropriata della dedica pur non possedendo necessariamente l'aggettivo qualificativo. Insomma, 2/3 è una bella percentuale, per rivendicarsi qualcosa, no? Soprattutto se il brano è uno dei tuoi preferiti. 2. La mia esaltazione al momento dell'attacco di "La Tortura Medievale". Dove per "esaltazione" dovete visualizzarvi una tipa che inizia a saltellare sul posto al grido di "uuuuuuuuhhhh, la adoro". Forse anche battendo le mani tipo foca. Infatti dal palco ho colto risate. Ma io spero sempre di sbagliarmi, quando penso alla ragione più logica per cui una cosa accade. In tutto questo, sono ormai a Rovigo. Sto scrivendo ininterrottamente da circa due ore. M'è venuto un fastidioso mal di pancia di cui la legge di Murphy mi sta suggerendo in modo piuttosto evidente la causa. E il cellulare ha squillato l'unica risposta che non avrei voluto avere: a Prato sta diluviando. Considerato che il concerto è all'aperto, fate un po' voi.
[...to be continued...]