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Giovani del Sud: problema sociale o risorsa per lo sviluppo?

Creato il 10 febbraio 2014 da Sviluppofelice @sviluppofelice

di Giuseppe Pesare

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Le politiche giovanili adottate dalle regioni meridionali nell’ultimo decennio presuppongono una rappresentazione dei giovani del Sud (o almeno di una frazione importante degli stessi) come la parte della società meridionale maggiormente esente dal coinvolgimento in rapporti collusivi e clientelari, più aperta al mondo e maggiormente dotata di senso civico, dunque una categoria che può farsi carico dell’annoso problema dello sviluppo del Mezzogiorno.

Queste politiche, infatti, vanno lette nell’ambito di due vicende: il ripensamento delle politiche di sviluppo locale nel Sud, seguito all’insuccesso della “Nuova Programmazione per il Mezzogiorno”, e, a livello internazionale, la nuova percezione dei giovani, che vengono ora definiti non più un problema, bensì una “risorsa”.

Tra la metà degli anni Novanta e la metà degli anni Duemila, la programmazione dello sviluppo del Mezzogiorno aveva puntato sull’idea che la prevalenza in quest’area di forti legami comunitari e famigliari, un fatto in precedenza considerato un ostacolo allo sviluppo, potesse essere messa a valore nella produzione di relazioni virtuose, costituendo una forma di “capitale sociale”. Il mancato raggiungimento degli obiettivi della Nuova Programmazione ha spinto diversi analisti a interrogarsi sulle cause di questo fallimento. Esse sono state individuate nel persistere dei legami collusivi tra soggetti politici e soggetti economici, ossia nel carattere pervasivo di quel “blocco sociale” che si è organizzato intorno alla distribuzione delle risorse –che, secondo molti autori, costituisce da molto tempo il principale ostacolo allo sviluppo auto-propulsivo del Mezzogiorno.

Dopo l’insuccesso della Nuova Programmazione è stato riproposto il progetto local-sviluppista per il Mezzogiorno, “corretto” in modo da impedire che logiche collusive e clientelari continuino a tenere in ostaggio quest’area; per esempio guardando con interesse a quelle realtà sociali, come quelle giovanili, ritenute meno coinvolte in quel blocco sociale.

D’altra parte – e siamo alla seconda “vicenda” – un po’ ovunque dalla fine degli anni Novanta si è cominciato a porre l’accento sulla maggior capacità dei giovani di inserirsi nell’economia della conoscenza e della creatività. Le dottrine, di largo successo, che insistono sulla centralità dell’innovazione e sull’importanza delle cosiddette “classi creative” hanno ispirato, a livello europeo, una nuova concezione di “politiche giovanili”. Queste, da politiche di “prevenzione”, sono divenute di “promozione”. Perciò da una concezione dei giovani come “problema” si è approdati all’idea dei giovani come “risorsa”.

Così, i policy maker hanno cominciato a vedere nei giovani del Mezzogiorno una risorsa su cui puntare aggirando il “blocco sociale” tradizionale.

Analizzando i documenti delle politiche giovanili attuate in due regioni meridionali (“Visioni Urbane Basilicata” e “Principi Attivi” in Puglia), risulta che tali politiche muovono da una rappresentazione dei giovani del Sud come soggetti al tempo stesso embedded e disembedded. “Disembedded”, perché cresciuti in un contesto relazionale a maglie larghe e universalista, soggetti quindi ad un processo di omogeneizzazione socio-culturale che li rende sempre più simili ai coetanei di altre realtà.[1] Essi sono perciò portatori di una relazionalità “non inquinata” dai vizi storici delle classi dirigenti meridionali. Ma i giovani del Sud sono anche “embedded”, in quanto radicati in reti locali di relazione parentali e amicali e in un complesso di valori e di conoscenze pratiche che può costituire la base dell’iniziativa giovanile. Sembra, in definitiva, che tali politiche vogliano puntare sulla caratteristica dei giovani meridionali come soggetti “meticci”, come attori sospesi tra “piccole patrie” e apertura al mondo.[2]

Questa prospettiva pone alcune questioni su cui la ricerca sociale dovrà puntare lo sguardo. Anzitutto bisognerà domandarsi se effettivamente la popolazione giovanile riesce ad affrancarsi dal condizionamento delle dinamiche clientelari oppure se partecipa alla loro riproduzione, eventualmente in forme e con stili relazionali rinnovati. In secondo luogo, bisognerà verificare se la convivenza di “radicamento” e “cosmopolitismo culturale” nelle giovani generazioni, presupposta dalle politiche giovanili, sia effettivamente possibile oppure se sia destinato a risolversi nella prevalenza dell’uno o dell’altro termine.

(10 febb. 2014)


[1] Trigilia C., “Il Mezzogiorno in cammino e la politica zoppa”, in «Il Mulino», a. XLVIII, 1999, n. 5, pp. 814-824.

[2] Berti F., “Giovani e territorio tra appartenenza ed estraneità”, in F. Berti, L. Nasi (a cura di), Figli dell’incertezza. I giovani in provincia di Grosseto, FrancoAngeli, Milano, 2010, pp. 72-91.

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