Giovanni Bellini, Pala Pesaro
… riuscì disegnatore savio, chiaroscuratore ragionatissimo, e soave poi in tutti que’ volti ed atti in cui era mestieri manifestare la mansuetudine amorosa, la speranza devota, la malinconica aspirazione ai mistici prodigi del cielo. S’aggiunga, a suprema sua lode, che in tutta la storia dell’arte non vi ha forse altri, da Raffaello in fuori, che al par di lui abbia dato passi più progressivi, dal cominciare di sua carriera fino alla fine. Per la qual cosa, quando si paragonano le sue opere prime con quelle ch’egli condusse decrepito, siamo quasi indotti a credere ch’esse appartengano a secoli differenti, e che più generazioni abbisognassero per valicare una tale distanza: sicché ben si appose chi il disse “il più antico dei moderni, il più moderno fra gli antichi”.P. Selvatico, Storia estetico-critica delle arti del disegno, 1856
Giovanni Bellini, Pala di San Zaccaria
Figlio di Jacopo e fratello di Gentile, entrambi pittori attivi a Venezia, le sue opere giovanili testimoniano la formazione avvenuta presso la bottega paterna, ma anche un’autonoma attenzione all’opera di Alvise Vivarini. Al 1453 risale il matrimonio della sorella Nicolosia con Andrea Mantegna, pittore di cui subirà il forte ascendente, stemperando tuttavia l’asprezza del disegno in una sua personale cifra stilistica. La ricerca di Bellini è infatti condotta in primo luogo sui valori luministici, come emerge nella Preghiera nell’orto della National Gallery di Londra, nel Polittico di san Vincenzo Ferrer nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, e nella Pietà di Brera (1465 circa). Tra i dipinti dell’ottavo decennio si segnala la Pala Pesaro (1472-1474), già in San Francesco a Pesaro, opera grandiosa e di lucida impaginazione spaziale che rivela, accanto alla lezione di Piero della Francesca, la conoscenza della tecnica pittorica fiamminga. Nel 1479 sostituisce il fratello Gentile nei lavori alla sala del Maggior Consiglio di Venezia e nel 1483 è nominato pittore ufficiale della Repubblica. Alla fase centrale della sua produzione risalgono la Pala di San Giobbe, la Pala Barbarigo (Murano, San Pietro martire), il Trittico dei Frari, che coniugano la nobile grandiosità dell’immagine alla costante connotazione psicologica dei personaggi.Giovanni Bellini, Pala di San Giobbe
L’artista in questi anni è a capo di una fiorente bottega da cui escono innumerevoli varianti del tema devozionale della Madonna col Bambino sullo sfondo di delicati paesaggi campestri. Alla fine del Quattrocento è generalmente collocata la cosiddetta Sacra Allegoria, oggi agli Uffizi; all’inizio del nuovo secolo, si mostra testimone attento delle novità introdotte nell’ambiente artistico veneziano dalla nuova generazione di pittori, da Sebastiano del Piombo a Tiziano, da Giorgione a Lotto. Gli esiti di questa apertura si colgono nella Pala di San Zaccaria (1505) e nella Pala di San Giovanni Crisostomo, oltre che nei sensibilissimi ritratti e nei dipinti profani, quali il Festino degli dei del 1514 (Washington, National Gallery), realizzato per Alfonso d’Este duca di Ferrara. Bellini coniuga il plasticismo metafisico di Piero della Francesca e il realismo umano di Antonello da Messina (non quello esasperato dei fiamminghi) con la profondità cromatica tipica dei veneti, aprendo la strada al cosiddetto "tonalismo" . Fu inoltre influenzato dal cognato Andrea Mantegna, che lo fece entrare in contatto con le innovazioni del Rinascimento fiorentino. Sempre Mantegna, con cui ha modo di lavorare a contatto nel soggiorno padovano, lo influenzò nell'espressività dei volti e nella forza emotiva che trasmettono i paesaggi sullo sfondo. A Padova, Bellini conobbe inoltre la scultura di Donatello, che in questo periodo imprimeva una carica espressionistica alla sua opera, avvicinandosi ad uno stile più vicino all'ambiente del Nord.Bellini portò quindi grandi innovazioni nella pittura veneziana, quando il padre Jacopo e il fratello Gentile erano ancora legati alla ieraticità bizantina, e al tardogotico che a Venezia, nell'architettura, iniziò a tramontare solo a partire dal 1470. In seguito accolse la chiara luminosità di Piero della Francesca e fu uno dei primi a comprendere le innovazioni atmosferiche di Antonello da Messina, che trasformavano la luce in un legante dorato tra le figure, capace di dare la senzazione della circolazione dell'aria.Giovanni Bellini, Festino degli dei
Ancora, già anziano, apprezzò le qualità di artisti di passaggio in laguna, quali Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer, assimilandone rispettivamente lo sfumato e il gusto nordico per il panneggio tagliente. Ma la sua conquista più grande fu, ormai settantenne, di aver riconosciuto la portata della rivoluzione del tonalismo di Giorgione e, poco più tardi, del giovane Tiziano, applicando il colore in campi più ampi e pastosi, senza un confine netto dato dalla linea di contorno, e tendendo a fondere i soggetti col paesaggio che li circonda.Come Raffaello ottenne dall'estremo equilibrio un'estrema armonia: più dell'urbinate però la stessa poesia era stata la principale ispirazione e il fine della sua arte.Scrisse di lui Berenson: «Per cinquant'anni guidò la pittura veneziana di vittoria in vittoria, la trovò che rompeva il suo guscio bizantino, minacciata di pietrificarsi sotto lo stillicidio di canoni pedanteschi, e la lasciò nelle mani di Giorgione e di Tiziano, l'arte più completamente umana di qualsiasi altra che il mondo occidentale conobbe mai dopo la decadenza della cultura greco-romana».