Vorrei dare, attraverso il mio blog, un contributo alla discussione, sempre accesa e sempre attuale, dell’emigrazione e dell’immigrazione. I contributi che pubblico di seguito sono tre: uno di Giovanni Pascoli, l’altro di un ingegnere, Angelo Ruggeri, ieri emigrante (seppure impiegato in lavori intellettuali e progetti attinenti al suo corso di studi di ingegneria idraulica), oggi scrittore e critico raffinato; il terzo infine della presidente dell’ALIAS, l’importante Accademia Culturale della Lingua Italiana in Australia. I tre contributi sono collegati da un invisibile filo; noi Italiani siamo emigranti per cultura e per dovere: per cultura perché ce lo impone la nostra nobile origine; per dovere perché essendo presenti in tutto il mondo, dovremmo seguire i nostri fratelli lontani per assisterli con la guida della nostra cultura ( i richiami in ambedue i sensi, sono magistralmente enunciati dal Pascoli); e se vogliamo proprio le Associazioni culturali come l’Accademia presieduta dall’autrice del terzo contributo, costituiscono quel supporto culturale che il Pascoli, nel suo accorato appello agli universitari di Messina, riteneva sostegno doveroso e imprescindibile da parte nostra, a favore dei fratelli italiani sparpagliati nel mondo dal bisogno e dalla fame di esperienze.
Se fossi un immaginario legislatore internazionale, proporrei di codificare una norma del seguente tenore: “Tutti gli uomini hanno diritto di circolare e di stabilirsi ovunque nel mondo, senza limitazioni se non quelle derivanti dalle leggi del luogo”.
Ma siccome un simile legislatore non esiste (almeno, per ora) mi limito ad appellarmi al diritto naturale per sostenere che ciascun uomo ha il diritto di cercare una vita migliore, tanto più se scappa da persecuzioni naturali (la fame, la siccità, la miseria) ovvero positive o imposte dall’uomo (quali dittature, tortura, privazioni di libertà democratiche).
Ciò non toglie che sarebbe un bene se gli immigrati conoscessero in anticipo cosa li aspetta al di qua del mare. Giusto perché non si illudano di trovare un’america che qui non c’è davvero. O per non fare la fine dei nostri giovani in Australia, come ci narra l’autrice del terzo dei contributi alla discussione.
Giovanni Pascoli e gli emigranti
Dal discorso di Giovanni Pascoli agli studenti dell’Università di Messina. “La settimana elettorale del giugno 1900”.
“O giovani, io sto per dirvi cosa che vi prego di accogliere e meditare nell’anima. E’ una specie di rimprovero che io dirigo, non a voi, o nuovi della vita, ma a noi, a noi quasi vecchi o già vecchi.
Ecco. L’Università si deve estendere nell’avvenire, ho detto. Ora dico: perché non si è estesa per il passato? E aveva un grande compito da adempiere e non l’ha adempiuto. Essa (io parlo delle Università in genere; in genere anzi di tutti gli studi, che fanno capo, tutti, all’Università), essa, l’Università italiana, ha mancato il suo dovere; ha lasciato commettere un delitto atroce. Voi sapete che l’Italia si è estesa, se non si è estesa l’Università italiana. Migliaia e migliaia di lavoratori ogni anno lasciano la patria. Vanno ad aprire strade, a forar monti, a tagliar istmi per altri popoli, coltivano anche a coloro i campi e badano gli armenti, come gli antichi ergastoli. Altri fanno men nobili arti, non pochi tendono la mano.
In nessun luogo, neanche dove sono in gran numero e da gran tempo, sono trattati, oh no davvero, come meriterebbero i discendenti del più gran popolo dei tempi antichi e i cittadini d’una grande nazione e gli artefici, spesso, della ricchezza di quelle nazioni nuove. C’è oltre alla nostra Italia, o giovani, un’Italia errante, che è da per tutto e non è in nessun luogo, un’Italia faticante, un’Italia veramente schiava, che spesso riceve oltraggi per giunta al salario, per la quale spesso tace anche la pietà. O Italia divisa ed errante e faticante e schiava e oltraggiata e tiranneggiata e derisa e vilipesa, tu sei il nostro rimorso, perché potevi essere il nostro onore e la nostra ricchezza; e sei, invece, il dolore e persino, qualche volta, la vergogna! Sei il nostro rimorso. E intendo non dell’Italia stato, non della borghesia italiana, ma della Università italiana, prendendo questa parola come complesso di tutto ciò che s’insegna e s’apprende, d’arte e di dottrina. L’Italia pensante ha tradito la sua sorella povera: l’Italia lavorante.
L’ha reietta, l’ha lasciata partir sola, l’ha dimenticata colà, dove la fame la balestrò; l’ha dimenticata colà, dove ella si trovò priva di chi la consigliasse, ammaestrasse, guidasse, difendesse, ornasse! Non dovevamo lasciali partir soli, i nostri poveri emigranti! E non dobbiamo lasciarli più partir soli, e dimenticarli soli. Ecco la estensione universitaria che l’Italia doveva e deve sperimentare! Giovani ingegneri che qui non avete che costruire, e medici che siete troppi per i malati che nel paese della malaria e della miseria sono pur tanti, e voi eloquenti e generosi intenditori e critici delle leggi e dello stato e della società, e voi maestri di scienze, e voi maestri di lettere ed arti, là, oltre i monti e oltre i mari, sono i vostri fratelli che non hanno difesa e non hanno assistenza e non hanno direzione e non hanno spesso più idealità e non hanno qualche volta più rispettabilità, e non ottengono giustizia, e sono privi della parola della patria lontana! Possibile che alle terre vergini la grande colonizzatrice, che fu l’Italia, non abbia saputo dare che i picconi? Io dico queste cose con la coscienza torba. Queste cose non si predicano a parole, ma a fatti. Per queste cose non si dice: “Andate”, ma: “Venite”. Io non ho quindi il diritto, di dirlo. Eppure…Eppure quelli infelici che qui erano, se volete, servi, ma là, oltre i monti e oltre i mari, sono iloti, cioè servi di stranieri, mi sembra che mi accennino e mi chiamino. Anche me. Si, io, cui s’imputa, piuttosto che si riconosca, la più inutile delle arti, io, che sono considerato qua un disutile, là avrei avuto la mia missione e il mio fine: narrare quei dolori e quegli strazi e quelle ingiurie: sommuovere qua i cuori che obliano, e là consolare quelli che non obliano; e per la mia parte, che può essere la parte d’ognun di voi, o giovani buoni e forti, piantare i termini, là, delle nuove terre saturnie, e fondare le nuove città pelasgiche.”
Contributo dello scrittore Angelo Ruggeri
Io ho posto questo articolo di Giovanni Pascoli nell’introduzione al mio libro AFRICA che narra le mie esperienze come emigrante nel Sudafrica governato dai bianchi, non perché ci fosse qualche similitudine fra la mia vita e quella degli emigranti italiani nelle Americhe alla fine dell’ottocento ed all’alba del novecento, io sono andato laggiù come ingegnere e per un primo periodo non sono stato troppo male, ma perché vedo che proprio nell’Italia di oggi si stanno creando condizioni simili a quelle del Sudafrica di ieri: siamo in presenza di una forte immigrazione dai paesi poveri dell’Africa e dell’Oriente , i nuovi immigrati diversi da noi per lingua e cultura, si prestano ai lavori pesanti accettando salari che i nostri lavoratori non potrebbero accettare, entrano quindi in competizione con essi e avendo bisogno di abitazioni e facendosi seguire dalle loro famiglie, creano loro quartieri nelle nostre città e per il loro stile di vita diverso dal nostro sono spesso mal visti dagli antichi residenti. Cioè essi si trovano proprio nelle condizioni degli emigranti italiani in America nell’ottocento dei quali parla il Pascoli,
Il popolo italiano non è per tradizione razzista , perché è un popolo misto, tutti i popoli dell’Europa ed oserei dire dell’Asia hanno lasciato la loro impronta in Italia, ma proprio questa immigrazione che avviene in un momento di crisi per l’economia italiana, e in regime di libero mercato, se non si trova il modo di darle una regola, finirà col favorire il sorgere tensioni razziali.
Oggi poi stiamo assistendo al risorgere dell’emigrazione degli italiani, molto spesso dei giovani, verso altri paesi , e ciò davvero sembrerebbe una cosa assurda: come è possibile che tanta gente viene da fuori in Italia in cerca di lavoro e tanti lasciano l’Italia per la stessa ragione? Si dirà: “ In Italia arriva gente dai paesi più poveri per i lavori umili e pesanti e dall’Italia vanno via giovani laureati” Questo non è sempre vero, perché molti dei migranti in Italia hanno una laurea o un diploma che nascondono e molti nostri laureati che emigrano, nei nuovi paesi ottengono lavori non adeguati al loro titolo di studio. Ho appena ricevuto questa lettera della Signora Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Presidente dell’ALIAS Associazione Letteraria Italo Australiana:
EMIGRAZIONE IN AUSTRALIA
Da un po’ di tempo in Australia, si ripete il flusso emigratorio di tanti anni fa, infatti tanti giovani dall’Italia, arrivano per fare esperienza di lavoro, vengono studenti ed anche già laureati e cercano lavoro, ma qui, come nei tempi passati, il lavoro è difficile trovarlo, ed allora questi giovani sono costretti a fare qualsiasi lavoro per pagare l’affitto e da mangiare. Tanti fanno i camerieri nei bar, o nelle serate danzanti nei club italiani, ma sono inesperti e alla prossima non li chiamano per lavorare, è triste vedere tanti bei giovani che cercano lavoro, anche trovandolo, dopo tre mesi devono lasciarlo per andare a fare esperienza nelle fattorie, vanno in campagna a raccogliere frutta e verdura, o andare a lavorare nelle miniere al Northen Territory.
Tanti vengono da me per lavorare, ma io con l’A.L.I.A.S. non ho soldi, è tutto lavoro volontario per il concorso internazionale, ma loro poverini, devono guadagnare per sopravvivere, non c’entra il lavoro volontario.
Due studenti sono arrivati da Trieste ai primi di dicembre, una brutta scelta, poiché sono le vacanze estive e tutti vanno in vacanza, un loro amico li ha ospitati e aiutati a trovare lavoro, ma niente, nemmeno per camerieri hanno trovato, finalmente da una settimana si trovano al Queensland (due ore di aereo) a raccogliere frutta, ma solo per una settimana, i soldi che hanno portato li hanno finiti e così la prossima settimana, hanno deciso di ritornare a Trieste. Parecchi che trovano lavoro, hanno il permesso per un anno, quindi devono ripartire appena scade il termine. Di sicuro, come ai vecchi tempi, in Italia si fa una fasulla pubblicità per inculcare a questi giovani la voglia di venire e sistemarsi in Australia, ma qui non si può rimanere, alcuni sono fortunati, trovano uno sponsor che garantisce loro il lavoro e dopo cinque anni possono rimanere, ma non è tanto facile, c’è solo un modo: sposarsi con un australiano, ma questo è un modo forzato, infatti subito dopo divorziano.
Questa situazione è incredibile, si dovrebbe scoraggiare i giovani a venire, e non incoraggiarli perché causa loro problemi, il primo, la lingua inglese, che tanti non sanno. Si dovrebbe fermare tutta questa emigrazione, tanti giovani invece di trovare lavoro, trovano guai per poter vivere senza lavorare. Sarebbe meglio venire da turisti, almeno possono ammirare le bellezze uniche di questa meravigliosa Isola Australe.
Giovanna Li Volti Guzzardi