Guardavo il finestrino e nel riflesso vedevo me. Quando il buio calava al terminar dello scorrere dei lampioni, il mio profilo appariva denso e colorato sul vetro trasparente. In quel momento vedevo i miei occhi al di là del vetro. Non c’erano più quelli di lei e sembrava che, su una banchina immaginaria, stessi aspettando me stesso. Mi guardavo… e il mio riflesso mi guardava a sua volta. Com’era preciso nei movimenti. Scattava al battere di ciglia e sorrideva quando un pensiero felice mi attraversava la mente. Ma era così? Ero davvero così? La finzione della felicità corrodeva a poco a poco il mio fegato, mi stringeva l’anima e dava cazzotti al cuore. Per quanto potevo ancora continuare su quella falsa riga di un Ciro modellato alla perfezione? Eccomi là, al di là del vetro. Questo futuro ventiquattrenne stralunato; con la barba incolta da qualche giorno; i capelli mossi dalla cera e un gran mucchio di anelli. Ed eccoli là i miei occhi. Quando li osservo cerco d’intravederci il futuro. Ma è come osservare in un profondissimo pozzo nero. Scavo… scavo con lo sguardo nei miei occhi ipnotici correndo sulle vie oscure del destino. E’ tutto scritto vero? A volte ci penso… a volte ci credo… e a volte vorrei trovare quel libro per farlo in mille pezzi e bruciarne ogni frammento.
Io sono il mio destino! Io sono quello che faccio e che creo! Io sono la concentrazione umana delle mie decisioni, giuste o sbagliate che siano. Io scelgo… e a volte ho scelto male, riportando i segni sulla pelle come un prigioniero che segna i giorni sul muro della cella. Strano ma vero… anche l’apparente perfezione sbaglia. Anche la ragione per quanto giusta si possa ritenere, rapportata al cuore, sembra commettere notevoli errori.
I profili delle cittadine erano disegnate con contorni di strade illuminate. Come una foto in negativo, vedevo oscuri palazzi e fredde case. Le macchine, piccole formiche dagli occhi luminosi, si addentravano tra alberi e montagne. Il mio sentiero ferroso e gracchiante stava per portarmi alla meta. Pregavo per non avere altri fastidiosi inconvenienti. Accesi il cellulare e controllai la mia posizione sulla mappa. Non ero molto lontano da Aversa. Al tempo stesso mio fratello si avvicinava da sud, su una difficoltosa strada urbana. Enzo era sull’altro treno passato avanti nel disguido di Formia. Non aveva problemi di malinconia avendo a fianco la sua amata. Ripensai di nuovo al destino che stranamente aveva portato me e il mio amico nella stessa zona, su due treni diversi ad avere lo stesso problema: come tornare a casa. E grazie alle mie larghe tasche che contengono sempre un Piano B, mi ritrovai per l’ennesima volta a dargli una mano. Non ho mai lasciato in panne un amico. Sono sempre stato l’elemento su cui poter contare al cento per cento. Disposto sempre a dare un braccio per salvare le persone care. E mi chiedo sempre se qualcuno è disposto a farlo per me. Nutrendo seri dubbi sulla risposta…
Il treno stava rallentando la sua corsa. Segno che stavamo entrando in una stazione. Mi affacciai al finestrino opposto. Molte persone erano in piedi con le valigie in mano.
- Scusi signora… siamo quasi arrivati ad Aversa? – chiesi.
- Si… altri 5 minuti… –
Non potevo crederci. Il mio lungo viaggio da Nord a Sud si stava per concludere. La mia ansia poteva calmarsi. E quando il treno si fermò tirai un sospiro di sollievo.
Presi la borsa e scesi sulla banchina. Quella stazione mi era completamente ignota. Lessi i cartelli e cercai l’uscita. Sperai che i miei fratelli fossero dove dovevano essere.
Ed erano lì…
- Dovevate prendere la Statale! – dissi.
- We! Non rompere i coglioni eh! –
- Già è tanto che ti siamo venuti a prendere! –
Posai la borsa nel bagagliaio e salii in macchina. Iniziai a dare direttive a Davide che guidava. Graziano dietro messaggiava con qualcuna. Forse avevo rovinato la sua serata.
Con qualche difficoltà ci districammo dal traffico. Accesi il telefono e impostai il navigatore.
- Graziano… trovami l’indirizzo della stazione di Caserta… –
- Perché? –
- Perché dobbiamo andare a prendere Enzo! –
- Aèèèè Ciroooo!! –
Graziano mi urlò dietro per un paio di minuti. Poi trovò l’indirizzo e me lo diede. Poggiai il navigatore accanto al cambio in modo che Davide lo sentisse.
M’incastonai nel sediolino dando sollievo alla mia stanchezza. Guardai l’orologio. Ero partito alle 11 di mattina ed erano le 11 di sera. Non avevo toccato cibo ed ero in piedi solo grazie all’effetto di qualche caffè. Ma quell’effetto a poco a poco stava svanendo. Guardai il finestrino e vidi di nuovo me stesso nel riflesso. Ecco l’unica persona che non mi abbandonerà mai! Pensai amaramente. Quel figlio di puttana nel riflesso mi conosce meglio di chiunque altro. Sa delle scosse al cuore che mi suscitano certe immagini. Come i suoi occhi al di là del vetro. Ancora ci ripenso. Chissà quando li rivedrò? Di sicuro non presto.
Ora, sono troppo lontano da lei…