Nella sala da pranzo c’è il brusio leggero di tutte le sale da pranzo degli alberghi. La solita tavolata e i nove ragazzi Androni per il Giro d’Italia 2015. Pellizzotti, Dall’Antonia, Appollonio, Frapporti, Stortoni, Zilioli, Bandiera, Tvectov, Gatto. E’ la vigilia. Fuori dalle finestre c’è il mare della sera, le palme che diventano sagome scure contro il cielo ancora chiaro all’orizzonte.
Sui piattini i vasetti di yogurt, il miele, qualche fetta di prosciutto, mezzo limone. Sono le sette e mezza, il cameriere porta il dolce e una torta di mele anche per me. Poi chiede ai corridori che cosa vorrebbero per la prossima cena, quella di domani. “Guarda che se vuoi la pasta con le vongole basta che me lo dici, io te la porto” scherza con Oscar. “Basta che poi pedali!” Arrivano Roberto Miodini e Giovanni Ellena i DS, a distribuire i numeri per domani e il programma della giornata.
“Alle dodici si esce? Ma quand’è che si mangia?” chiede Simone.
“Non si mangia” gli risponde ridendo Zilio.
Uscita in bici alle nove e poi prova percorso. Appo dice che oramai lo sanno a memoria, c’è solo da correre. Son diciassette chilometri di pista ciclabile col mare a fianco, fino a Sanremo. Cronometro a squadre come da tradizione. “Oh, Oscar lanciami una spilla” chiede Tiziano. C’è uno scambio di spille da balia, quelle che servono per attaccare i numeri, qualcuno non le vuole, preferisce le sue, quelle che ha portato da casa.
Scende la notte sulla Riviera e la mattina della partenza di San Lorenzo al Mare è calda come un giorno d’estate. I bambini con le mamme corrono sulla spiaggia davanti al mare grigioazzurro e alla vecchia stazione le squadre si preparano per la cronometro. I ragazzi sotto il tendone rosso dei rulli hanno già cerottini e cotone. L’Androni Sidermec è la terza in lista partenti. Prima di loro AG2R, subito dopo Astana.
La mattina dopo ad Albenga, attorno al pullman Androni c’è silenzio. Licio il meccanico dice che sono in riunione. Per Gianni Savio la riunione tecnica prima della corsa è fondamentale. Ecco, questa di sicuro è una cosa più sacra delle vigilie. Le biciclette aspettano la prima vera prova di forza metà al sole e metà all’ombra. Quella del capitano luccica di blu e di rosso. Pellizzotti.
Lo trovo più tardi, seduto in ammiraglia. Di fianco a lui, Serghei è appoggiato al manubrio della sua bicicletta: un piede a terra, l’altro infilato nel pedale. Manca poco all’incolonnamento.
Chiedo al capitano come è andata la prima tappa. Il Pelli si mette a ridere.
“Non è che per caso hai una domanda di riserva?” Il Giro comincia oggi. Davvero. Sotto questo sole di mezzogiorno che scotta e l’aria che viene dal mare. I tifosi hanno rapporti speciali con le loro squadre del cuore. Io credo che quelli dell’Androni Sidermec vogliano bene a questi ragazzi perché giù dalla bici sono gentili e sempre sorridenti e in corsa credono con tutto il cuore in ogni azione. Non è facile, soprattutto in un grande Giro, dove le fughe che partono da lontano sono per i sognatori folli, per quelli che sanno gestire anche a livello emotivo quella gara nella gara.
Pronti via e parte la fuga. Non so cosa abbia detto Gianni ai suoi ragazzi ma forse un po’ lo posso immaginare perché tra quelli che sono scivolati via dal gruppo c’è anche il numero quindici di Marco Frapporti. Sono in cinque e si danno cambi continui, il loro vantaggio sale fino a nove minuti. Poco prima del GPM sfortunatamente gli salta la catena ed è costretto ad inseguire per tutta la discesa per riprendere il gruppetto dei suoi compagni di fuga. Un passaggio a Genova, in mezzo al boato della gente sul traguardo di via 20 settembre e poi il gruppo se lo rimangia. Mancano solo dieci chilometri. Ma si sa che il ciclismo è così: possono riprenderti anche a pochi metri dalla linea. Qui non c’entra solo la fortuna ma c’è qualcosa che ha a che vedere con la perseveranza. O il coraggio. L’ultimo passaggio è solitario: il gruppo davanti, lui dietro. Ma sopra il rumore squillante della campanella c’è il saluto di Genova e il saluto suo. Il Frappo alza la mano e sorride appena: è un grazie reciproco. Il ciclista ai tifosi, i tifosi al ciclista. Si completano, sono due metà dello stesso cuore.
“Sto bene” mi dirà dopo. Dopo la tappa, dopo che la piazza si è svuotata di tutto e sono rimasti i coriandoli a terra e l’acqua rosa che zampilla nella piazza deserta. “Già in Trentino sentivo che le gambe giravano bene. E poi Appo è arrivato ottavo, per l’Androni è una giornata da incorniciare.”
Sto bene.
Forse l’avevo già capito subito dopo l’arrivo, quando era scivolato via sorridente da un’intervista. Questo sport è così. Arrivi imprecando oppure felice o ancora deluso. Ma la cosa strana è che non sempre dipende da una vittoria. E’ così difficile da capire per un mondo che vuole a tutti costi il gradino più alto, con ogni mezzo, però stando qui si capisce qualcosa in più sull’umanità abituata a fare sacrifici.
Frappo in fuga. Appo sesto.
Un caffè sul pullman e forse i Cuor di Mela aperti per l’occasione. La strada è ancora lunga ma per il coraggio e la fiducia non ci sono tempi prestabiliti. Fanno bene sempre. In bicicletta poi servono a tenere fisso l’ago della bilancia.
Hard work in the office, direbbero gli americani. Gli italiani, specialmente gli Androni che hanno quattro veneti in formazione, lo direbbero in dialetto.
Dura xe.