Roma è stata imbrattata con manifesti dedicati “Ai ragazzi di Salò” che riportano le parole della canzone con la quale Francesco Guccini, da quarant’anni, chiude ogni suo concerto, La locomotiva (album: Radici, 1972): “gli eroi son tutti giovani e belli”. Il cantautore di Pavana, giustamente, non l’ha presa bene: “non solo la mia canzone La locomotiva non è stata compresa, direi che è stata davvero maltrattata”. La storia, ormai celebre, è quella di un anarchico bolognese vissuto alla fine dell’Ottocento.
Associare quella vicenda alla Repubblica di Salò è una bestemmia storica e un’operazione culturalmente disonesta. Non bisogna mai stancarsi di alcune puntualizzazioni, che diventano doverose per non correre il rischio che il trascorrere degli anni appanni una verità che va custodita e tramandata intatta, in tutta la sua grandezza.
Va bene la pietas per i morti, per tutti coloro che hanno perso la vita nel corso della guerra civile. Ma bisogna ribadire con forza che tra il 1943 e il 1945 c’erano italiani che lottavano per la libertà e italiani che difendevano il nazifascismo. La vittoria del fronte della Resistenza ha portato la democrazia. Quella dei repubblichini avrebbe trasformato l’Italia in un immenso campo di concentramento. L’equazione partigiani = repubblichini, brillante trovata di Luciano Violante ripresa e rilanciata da Giampaolo Pansa, è soltanto un’inaccettabile mistificazione storica.