Il 18 Giugno del 1988 avevo da poco compiuto 14 anni, e finivo la prima liceo uscendo di straforo dal tipico periodo-thriller di inizio mese in cui non ero mai completamente certo di evitarmi una materia a Settembre.
Riuscii a spuntarla per il rotto della cuffia, come d’altronde si addiceva al ragazzino che ero, interessato molto più alla musica e a un’ipotetica carriera da deejay che non alle congiure di Catilina.
La radio sparava il successo acid-house del momento, e le vacanze iniziavano con un buon auspicio: il “countdown in progressive: uno, dos.. uno, dos, tres, cuatro!” di “Theme from S-Express”.
Quando sei adolescente, i primi giorni d’estate profumano di vita che lascia intravedere il futuro e, con esso, solo speranze ed opportunità. Avere quattordici anni e respirare l’odore delle mattinate di Giugno ti fa sentire come se fossi diventato anche tu un personaggio dello spot del Cornetto Algida. C’è solo il tempo per divertirsi con gli amici, per gli scherzi sulla spiaggia, e per le pomiciate serali con la fanciulla dal cuore di panna. La libertà di mettere un asciugamano nello zaino e di andare in spiaggia senza i genitori era una prima leccata al gelato gusto età adulta di cui potevamo iniziare ad assaggiare almeno il sapore.
Non a caso, le canzoni più gettonate in quelle settimane spruzzavano ottimismo da ogni nota, come gli scivoli dell’Acquafan di Riccione da dove, ogni pomeriggio alle quattordici, Jovanotti, allampanato dentro un costume da bagno lungo fino alle caviglie, gridava “Gimme Five! All Right!”, sparando videoclip e dandoci indicazioni sui pezzi più giusti da ascoltare.
Così, infilavamo la monetina nel Wurlitzer e selezionavamo le hit più in voga.
Un’Ivana Spagna ancora lontana dai piagnistei melodici di dieci anni dopo scatenava il synth ricordandoci che “Every girl and boy enjoy making love” (noi non ne dubitavamo di certo, e restavamo in ansiosa attesa del giorno in cui avremmo avuto motivo concreto di darle ragione). Patsy Kensit degli Eigth Wonder, ancora forte del gran bailamme scatenato dal suo tettino esibito durante l’esibizione a Sanremo, ci esortava a fare come lei, e a non avere paura. Uno strano connubio tra il reggae britannico degli UB40 e l’hip hop black di Afrika Bambaataa shakerava il ritmo più adatto alle spiagge, raccontando di una donna che, grazie alla sua sensualità esplosa in discoteca, ti faceva sentire spericolato. Tullio De Piscopo seguiva il tempo con Andamento lento che, al contrario di quanto poteva lasciar pensare il titolo, ti metteva il meglio del beat napoletano nei piedi, impedendoti di restare fermo. E pseudoreggae, nonché spiaggiabilissimo, era anche il pezzo politicamente impegnato, quel “Gimme hope Jo’Anna” di Eddie Grant che voleva regalare speranza al Sudafrica martoriato, anche se la maggior parte di noi non se ne accorse mai e continuò a credere che Jo’Anna fosse una bella mulatta che non si voleva concedere.
Persino il superlento dell’estate, cantato da uno sconosciuto tedescone grigio, bruttino, con la voce baritonale e l’aria da depresso si premurava di farci sapere che “it’s a wonderful, wonderful life”.
Insomma… bastava infilare la monetina nel Juke Box e gettonare un disco a caso per farsi travolgere da una ventata calda di ottimismo, e rendersi conto che, almeno quando si hanno quattordici anni, Giugno ha l’oro in bocca.