Non è solo uno spietato atto di guerra, è un paragrafo sanguinoso dello scontro di civiltà. La parola terrorismo non dice tutta la verità, il che è banale, ovvio ma irrefutabile. Ci sono di mezzo il profeta islamico come icona sacra, il libro coranico a lui dettato dal cielo, l’antropologia di una comunità universalista che fa figli contro quella di un’altra comunità universalista che non ne fa più, la storia geopolitica di uno scontro che ha sempre lambito le grandi capitali europee e s’incuneò nel nuovo mondo con le immagini tremende dell’11 settembre 2001.
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Decimare un gruppo di disegnatori e vignettisti al grido Allahu akbar, e far fuori un paio di poliziotti posti a loro protezione in una via centrale di Parigi, è un atto di intimidazione e di sottomissione che vira verso il cuore dell’occidente giudaico cristiano e delle sue libertà impertinenti.
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La decimazione di Parigi arriva mentre la Francia è nel pieno di uno dei suoi tradizionali psicodrammi, con saggisti e letterati di grido (Zemmour e Houellebecq) che denunciano con fare diretto o ironico il suicidio dei principi non negoziabili dell’universalismo laico (ci sono anche quelli, e sono compagni degli altri). La palma della più orrorifica actù, come dicono a Parigi, se la aggiudicano dunque due scrittori: uno accusato di voler eliminare dal panorama di un paese in piena sindrome autolesionista l’islam che si mostra incompatibile; l’altro che dà il titolo a questa prima pagina, con il suo nuovo romanzo accusato di fomentare ironicamente la paura di un’irresistibile ascesa islamica, e in libreria giusto da ieri:Soumission, sottomissione, cioè islam. Ne parliamo altrove nel giornale di oggi, andando come sempre cerchiamo di fare alla radice delle cose, nella consapevolezza che una sola è la risposta alla forza intimidatrice dell’islam califfale e politico: una violenza politica, militare, tecnologica e civile incomparabilmente superiore