Intervista a Giuseppe Caldarola su Berlusconi, il governo Letta, il futuro della sinistra
Il gioco dell’oca della politica italiana continua inesorabilmente . Ormai tra Montecitorio e Palazzo Madama si fa politica tirando i dadi, aspettando un colpo di fortuna o anche qualche grottesco errore degli avversari. E’ quanto sta succedendo in questi giorni, alla vigilia di questo mite autunno che ci attende. Dalla decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica di senatore, dalla probabile crisi del governo sino ad arrivare al congresso del Partito Democratico, la partita è aperta. Per comprendere meglio quello che ci attende, ecco l’opinione di Giuseppe Caldarola, già direttore de “L’ Unità” e deputato dei Democratici di Sinistra.
La prima domanda è d’obbligo e scontata : l’eventuale voto della giunta per le elezioni e l’immunità del senato a favore della decadenza di Silvio Berlusconi come senatore sancirà la fine del governo Letta e delle larghe intese Pd – Pdl ?Si questo Caldarola ha le idee chiare: Berlusconi sta legando molto pressantemente il tema della sua salvezza a quella del governo Letta. Berlusconi chiede una serie di cose. Chiede che il parlamento contesti la legittimità della retroattività delle legge Severino. Chiede al capo dello Stato un provvedimento di grazia che intervenga sia sulla pena principale e soprattutto su quella accessoria. La situazione realisticamente è quella che vede il Pd e la maggioranza della giunta votare per la decadenza di Berlusconi. E un provvedimento di grazia è abbastanza improbabile, prima di tutto perché non vi è la domanda e secondo perché su Berlusconi incombono altre probabili condanne ed è quindi difficile immaginare che il capo dello Stato dia la grazia ad un parlamentare che si potrebbe ritrovare dopo 6 mesi con la stessa richiesta. Questo significa che la fuoriuscita dal parlamento e dalla politica attiva di Berlusconi è segnata. Questo significherà il termine del governo Letta? Probabilmente sì. I berlusconiani dovranno però fare prima i conti con alcuni fattori. Il primo è quello che si trovi un’altra maggioranza, al Senato perché alla Camera già c è, per far continuare il governo Letta. In secondo luogo l’arma delle elezioni anticipate è totalmente spuntata, perché il capo dello Stato ha già detto che non porterà mai il paese votare con una legge elettorale che a dicembre la Corte Costituzionale dichiarerà incostituzionale. Infine ci sono ricatti economici sul paese e sulle aziende di Berlusconi che potrebbero consigliarli una maggiore prudenza. Detto questo, sappiamo benissimo come Berlusconi e tutto il centrodestra siano in una vicenda drammatica ed è difficile immaginare cosa potranno decidere.
Se cadesse il governo Letta, crede che sarebbe possibile una convergenza politica tra Pd e Movimento 5 stelle per formare una nuova maggioranza?
Io non credo a questa alleanza. Io credo che se cadesse questo governo, Enrico Letta darebbe vita ad un governo che definirebbe di “servizio” per proporre al parlamento un cambiamento della legge elettorale, oltre che affrontare la crisi e la legge finanziaria. Per dirla in modo più semplice possibile, il nuovo governo Letta è possibile non con un’alleanza strategica con il Movimento 5 Stelle, ma con una maggioranza che cerchi di riscrivere la legge elettorale ed approvare la legge finanziaria in modo da portare il paese al voto intorno ad Aprile.
Il Partito Democratico si accinge a tenere un nuovo congresso. Questa può essere la volta buona per Matteo Renzi di diventare segretario?
Innanzitutto dobbiamo osservare che anche con questo importante evento politico i sondaggi non danno il Partito Democratico in forte ascesa. Questo significa che vi è ancora un problema molto serio tra il partito e la sua base. Il Pd definisce un campo politico preciso: quello del centrosinistra che ha rilevato una sua vitalità durante le recenti elezioni amministrative. Definire il Partito Democratico un “Partito” è un azzardo. È un Partito a macchia di leopardo. In certe parti c’è e in altre non c è. E dove c’è spesso è egemonizzato da figure personali o da figure carismatiche clientelari. Quindi siamo di fronte a un “Partito” che al tempo stesso è un “non Partito”. La sua base elettorale è sicuramente più a sinistra o più movimentista del suo gruppo dirigente. In questo momento Matteo Renzi rappresenta certamente il candidato che vincerà. E vincerà per alcune ragioni elementari. Prima di tutto perché il suo predecessore ha fallito gravemente. Secondo perché ha dalla sua una giovane età, e quindi non ha il peso del passato sulle sue spalle. Terzo perché vi è la frantumazione di tutte le altre componenti. A Matteo Renzi si contrappone una corrente che si dichiara più di sinistra, che è quella che fa capo a Gianni Cuperlo, ai giovani turchi, a Marini e che ha il patrocinio di D’Alema, che si prefigge l’obiettivo sicuramente minoritario di creare un’area sicuramente più di sinistra. Siamo sicuramente dinanzi a un mutamento molto profondo, nel senso che nell’ arco di pochi anni la componente che appariva come maggioritaria ed egemone, quella che proveniva dal Pci e dai Ds, si presenta sulla scena politica con una componente minoritaria, che cercherà di condizionare Renzi, ma che difficilmente ne impedirà l’ascesa al vertice sia del Partito che alla eventuale presa del governo.
Recentemente Matteo Renzi ha detto che Bersani non ha avuto un buon risultato nell’ ultima campagna elettorale perché secondo lui era “spompo”. Al di là della battuta di Renzi, in cosa ha sbagliato Bersani secondo lei nelle elezioni politiche ?
Bersani ha fatto un po’ come Occhetto nel 1994. Ha ritenuto che la crisi dell’avversario fosse irreversibile e non ha capito che vi era nelle viscere della società una profonda ampia protesta contro tutta la politica che Beppe Grillo è riuscito ben a canalizzare. Questi sono i dati di fondo. Poi bisogna aggiungere che Bersani ha praticamente rinunciato a fare campagna elettorale. Ha giocato tutta la campagna elettorale con la certezza della vittoria, giocando di rimessa, senza una sola proposta politica avvolgente. Mentre Berlusconi legava il tutto alla campagna per l’Imu, Bersani diceva “vogliamo un po’ più di lavoro”. Una formula troppo misera per galvanizzare l’elettorato di sinistra, il mondo dei “senza lavoro“, il mondo della gente che ha paura. Il Pd ha avuto un leader sostanzialmente rinunciatario perché convinto di avere già vinto. Questo è stato il fallimento personale di Bersani e della sua politica, che ha trascinato con sé la conclusione della lunga storia della componente più di sinistra e maggioritaria del Partito Democratico, quella diessina. Subito dopo, vi sono stati i gravi errori sulla gestione trasformando il Pd in un partito arrabbiato, disilluso che non crede più alla sua classe dirigente. E si è consegnata ora al suo dirigente più giovane, Matteo Renzi.
Nel 2001 la vittoria di Piero Fassino al congresso di Pesaro dei Democratici di Sinistra sanciva una linea politica ben precisa: la creazione di un grande partito riformista socialista di stampo europeo. Nei fatti, però, quel progetto è stato accantonato dopo la confluenza dei Ds nel Pd. Esistono, secondo lei, ancora i margini per la costituzione di un grande soggetto politico socialista riformista nel nostro paese?
Qui viene toccato un nervo scoperto. Dopo la Bolognina credo che l’errore politico più grande fatto da Occhetto è stato quello di non aver costituito una grande forza socialista e di aver inseguito l’illusione di una forza terzista. A Pesaro con il congresso che vince Fassino avviene una cosa importante: vince la componente riformista che sconfigge il movimentismo di Sergio Cofferati e di quanti stavano intorno a lui, da Veltroni a Bassolino, in nome della costruzione di un Partito socialista di stampo europeo, con persino alcune riconoscimenti alla fase politica guidata da Bettino Craxi, con il ruolo dato in quel congresso a Giuliano Amato. Da quel congresso veniva fuori l’idea che tutta la sinistra italiana si stesse iscrivendo dentro la prospettiva del socialismo europeo, dichiarandosi socialisti in Italia. È accaduto che questa linea politica non è stata voluta per alcune ragioni. Una ragione che va ricordata è che nelle elezioni politiche successive i democratici di sinistra non riuscirono a formulare una propria candidatura e si diressero quindi verso Romano Prodi. E si crearono le condizioni affinché alle elezioni europee successive i Ds di unissero alla Margherita. Tutto questo ritenendo che questa volta il voto avrebbe potuto sanzionare una netta prevalenza dei Ds sulla Margherita. Da qui si è avviato quel percorso che ha portato al Partito Democratico senza una vera definizione di cosa è davvero il “Partito Democratico”. Ci sono ancora le condizioni per creare un grande Partito socialista? È possibile solo se si apre un’attenta riflessione a quello che sta succedendo nel socialismo europeo, dove abbiamo una situazione poco favorevole. Da un lato i grandi partiti socialisti hanno rigettato l’idea dell’Internazionale Socialista e si muovono sulla prospettiva socialista democratica, dando paradossalmente ragione al Pd. Dall’altro lato i singoli partiti socialisti sono indeboliti. La presidenza di Hollande non è presidenza smagliante, i socialdemocratici tedeschi probabilmente non batteranno la signora Merkel, in Inghilterra potrebbe avere successo perché Cameron si sta rivelando un leader di scarso peso. Al Pd servirebbe una grande proposta di stampo riformista. Ma una grande proposta come questa non c’è né nella componente Cuperlo né nella componente renziana. Il pronostico è abbastanza difficile da fare. Sicuramente si sono persi troppi appuntamenti e rischiamo, anche quando Berlusconi uscirà della scena politica, di non avere una sinistra di governo e di natura riformista inseguendo ancora una leadership che faccia vincere le elezioni. Vincere elezioni è importante, ma senza un vero progetto politico si rischia come si è fatto ora, quello di far finire il tutto dopo poco tempo.
Intervista a cura di Nicola Lofoco
Fonte: Ebdomadario