Giuseppe Leopizzi: L’altro e la resa

Creato il 06 maggio 2014 da Cultura Salentina

6 maggio 2014 di Augusto Benemeglio

RI-COMINCIARE : UN SACERDOTE E IL SUO DIO

L’unica gioia al mondo è cominciare. E’ bello vivere

perché vivere è cominciare, sempre, a ogni istante.

(Cesare Pavese)

Diceva un poeta americano sui generis, E.E. Cummings, che le opere d’arte sono di un’infinita solitudine; niente di peggio che la critica per avvicinarle. Solo l’amore può afferrarle, tenerle, giudicarle correttamente. E ciò mi è venuto in mente quando ho avuto tra le mani“L’altro e la resa”di Giuseppe Leopizzi, un libro di poesie scritte per“Ricominciare”, al primo albore, affacciato sul balcone di via Cavalieri di Rodi, guardando l’orizzonte che socchiude le sue palpebre e comincia a svelare “l’alba a Gallipoli /(che)tinge le mura / di tenui veli / color melagrana”.Ma ricominciare da che cosa? Da quell’io insonne e folle che danza sugli scogli e guarda le navi addormentate sul mare? o dall’innocente gabbiano che dorme sotto il cielo, dai muri invisibili dentro il blocco dell’aria, dallo “spirito di discordia” che è in ciascuno di noi? O dal sorriso seppellito, dal brivido di un bacio, dalle rosee sponde stagnanti; dal ventaglio che si chiude, sempre in attesa paziente dell’evento in cui la luce divina, barlume dell’Assoluto, disveli il mistero dell’ ombra e del fuoco, della geometrica musica che fanno le sfere e gli astri notturni?

Ri-cominciare dalla poesia, da quel“mare di ulivi abbracciati che è la serra di Gallipoli” dail “tempo della resa …”(arco breve di sofferenze, scenario ambiguo, dramma o buffonata,transito nudo e vuoto che è la vita, senza il grande abbraccio dell’Altro); ricominciare, dunque, dall’Altro che è “il miele dell’eternità”“ Città mia,/dal tuo guanciale, / destandomi, / di scogli e di gabbiani / il corso del sole / io all’inverso devierei: /non nel tumulto/ tuffandomi della giornata, / ma in un’amaca di sogno I due estremi oscillanti/ legherei/ alla coincidenza dei contrari: /l’amaro del tempo / il miele dell’eternità” (vds. “Ricominciare”, Pag.69).

Non è possibile capire la poesia di Giuseppe Leopizzi se non si conosce l’uomo, questo fanciullo settantenne gigantesco e ingenuo, che è per Gallipoli un faro di sapienza e umiltà, ma anche figlio di popolo, capace di satiriche “strologate caddhipuline”, da far epoca. E’ riservato, schivo, pieno di steli,solitudini, balconi sospesi, e ostinati abbracci di mare, e pur tuttavia, da attento osservatore delle problematiche legate all’attualità, del dialogo multietnico e interreligioso, nonché cultore di storia e tradizioni locali, non manca mai ad un forum, convegno o dibattito che interessi la sua città. Ma dentro di se’ conserva intatti i trasalimenti, i dubbi, le fughe, le fantasie di un uomo che proietta la sua ombra di pacificato guerriero normanno, o svevo, – il profilo pallido e d’oro, la chioma rossa di fuoco, lungo il ponte secentesco, sospeso tra due musiche di mare e di vento, come un:“sillabario d’attese/ metà ombra/ metà luna, /finestra spalancata / sul prisma divino / di ogni libertà.

Ma non va a zonzo sul mare, no. Va a cominciare, anzi a ri-cominciare la sua giornata da l’Altro della cui identità – scrive nella prefazione Donato Valli – non possono sussistere dubbi, purchè si faccia riferimento al Dio dei sofferenti, dei diseredati, degli ultimi, dei “drop out”, cioè al Cristo in croce. E viene subito in mente quel sedicente musulmano, che non sa quanto gli stessi seguaci di Maometto amino quel crocifisso (“Chi si ammala di Gesù non può più guarire”). Ci va proprio per la resa che “è forse inciampare e cadere nelle braccia dell’Altro”, come ha scritto lui stesso sul frontespizio del libro a me dedicato. Ma la resa è anche“l’anima mia, /scoglio di gridi, /tra pena di barche/ e lidi infiniti, e resa èforse l’astrale candore del mare, quell’azzurra pianura d’attesa, quel deserto di sale su cui passeggia e sogna, passeggia e prega, e in cui l’anima sua d’angelo pigro e malinconico caduto sulla terra diventa cosciente della solitudine senza scampo dell’Io, nel mondo e tra gli uomini. Forse anche l’Assoluto soffre di isolamento e non sempre il suo bacio trova lo spirito che dovrebbe accoglierlo. Forse alla fine, al momento della resa, ci troveremo in quella zona di confine che sarà difficile attraversare, in cui non sarà bastato neppure consumarsi, logorarsi in nome di una purezza centrale. Tutto sarà stato vano, senza la fede.Appena squilla la nota dellaresa/senza condizioni, /urge fare conoscenza/ dell’unico – Sovrano -. /Il Nulla, il Fuoco, l’Altro? O la Signora Morte?

Ora non capita quasi più, ma talvolta – magari con la memoria  c’incrociamo ancora, don Pippi ed io, su quel ponte di seta dalle dodici arcate,progettato dai veneziani, che canta le rovine della storia di tutti gli approdi e capta la non udibile musica del sogno. Parliamo del più e del meno, con un po’ di ironia e un po’ di malinconia. Talora lui si ferma, poggia il mento sull’ultimo tratto di ringhiera del ponte, guarda di sotto il mercato ittico e sospira: “zinzuli” e dolori di Gallipoli. Guardiamo il mare, quel fantasma d’armonia che se ne va in fumo e nafta, ascoltiamo gli echi della sofferenza delle sue grida, la voce di specie per sempre estinte. Non esiste più quel “mare che ci sorrideva in lontananza, quel mare dai denti di spuma e labbra di cielo”, né quella Gallipoli amata di trent’anni fa, per me, e di tutta una vita per lui in cui ancora oggi ama perdersi: “Andirivieni di angeli e gabbiani / tra Sant’Angelo e la Purità /. Bello è perdersi ogni tanto/ nel labirinto / dell’antica identità”.E tuttavia si fa sempre più presente quel sentimento di estraniazione e di esilio, anche durante i momenti più solenni e sacri, come la “ Processione di S.Sebastiano” con le croci e i colori e lo“ scompiglio di campane,/echi di vicoli e fontane, / filiera di bianche preghiere / nel cuore della mia città…(e) giochi d’ombre e di luci/ nel porto, /specchio d’un perlato brividìo”.

Perché anche nella “città bella”, “isola della luce”, “balcone delle fate”, scoglio di poeti, tutto è stato omologato. Anche qui hanno assassinato la bellezza e la poesia e a nulla servono cortei di protesta, sit-in, impetrazioni. Ma in fondo, come diceva Apollinaire, da sempre, tutti i paesi, tutte le città, tutti i governi hanno odiato i poeti e da sempre si commettono assassini contro di essi. E, ad ogni eroe-assassino, il Governatore della Regione, o il Sindaco della città, fa innalzare una statua di nulla, (o anche, volendo, un monumento al Riccio, che è la stessa cosa).

Ed ecco che per la fine di tutti i poeti, sollevando il calice al Signore, don Pippi fa risplendere il suo pianto nudo come “mendicante di stelle …”.Ma poi rifiorisce la speranza, l’attesa dell’Altro

Come potrei altrimenti

al mondo che delira

offrire

il pane del Verbo che sublima?(vds. Pag.96).

L’Altro e la Resa”, l’avrete capito, è un libro di versi impregnati di richiami ai testi sacri. Ma ci sono riferimenti anche a Omero, Pindaro, ai tragici greci, ai poeti latini. E poi c’è il richiamo bodelariano e lorchiano, alWaste Landdi Eliot, ai simboli della saga del Graal, e i vari motivi degli Upanishad, la musica di Bach e Wagner, e poi ancora Sakespeare, Ovidio e Dante, Sant’Agostino e San Tommaso e tutta una serie di citazioni erudite.

Ri-cominciare è porsi all’ascolto della voce, del respiro di Dio, che è ovunque, e s’ode come“Musica di roccia/ che al tramonto lieve s’effonde/ dalle rosee tastiere/ per le valli, nei boschi”(vds. pag130)Ri-cominciare, dunque, con il“difficile spartito/ della musica di Dio/ che azzera montagne di ragionamenti/ affogando ragnatele / di nude parole d’uomo “(vds. pag. 142)”.

Ri-cominciare con la “ resa”, che è l’abbraccio della memoria, dei ricordi, del ritrovo del tempo, in cui passeggiavi sul lungomare Gondar (ora Galilei), tra i vetri di mare, i licheni, i frammenti e le rovine, le brezze e gli angeli tristi. Te ne andavi lungo la riviera di scirocco, tra le bianche dune di sabbia, come un orfano nel deserto del mondo, pronto a cogliere il grido del vento. Con la testa leggermente piegata ad ascoltare voci misteriose, echi e risonanze, proseguivi, con quella tua andatura dinoccolata, fino alla Baia Verde e ancora più in là; non ti fermavi mai. Nonostante oberato da quel tuo corpo massiccio e greve, facevi chilometri e chilometri, a piedi, e tornavi a casa come una conchiglia piena di fede. Che c’era lì dentro? Il canto delle sirene, o l’onda di risacca che si fa monotona preghiera? E subito dopo forse compitavi le tue note, i tuoi versi, i tuoi poemi, che alla domenica mattina si tramutano in inni o salmodia, omelie che sono solo tue, inconfondibili pagine di dottrina teologica, storia, filosofia e poesia, recitate sull’ambone dell’altare maggiore della cattedrale di Sant’Agata, nel recinto del coro di Aver, tra l’oro e la musica che fanno i colori delle grandi tele, vera e propria pinacoteca che racchiude tutta l’anima religiosa e barocca gallipolina. E mentre la tua anima lirica canta o prosegue il volo, il tuo piede destro ritma con discrezione il tempo. E quante volte ci siamo detti: “Che peccato non registrarle quelle omelie dei vangeli della domenica, dalla speranza dell’Avvento alla festa del Cristo Re; che peccato che tutto questo patrimonio di intensità e tensione spirituale, queste splendide omelie che danno anche il senso del mutamento della storia, che ci arricchiscono e ci comunicano concetti importanti, essenziali, questa memoria di speranza, rimanga abbandonata, vada dispersa, duri solo quel breve tempo che dura una messa”.

Ma forse è questo libro non scritto, questo libro chiaro, luminoso, forte, intenso, pieno di storia e fantasia, di fatti e idee, questo libro che segue passo per passo il calendario della liturgia cattolica, è il tuo vero capolavoro. E’ un libro unico e originale, un libro fatto d’aria, in cui le parole si depositano lievemente, come seme, lungo l’invisibile esistenza dell’idealità e dello spirito.


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