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Giustizia: i tarli al lavoro

Da Albertocapece

Giustizia: i tarli al lavoroLicia Satirico per il Simplicissimus

La magistratura incontinente torna sulla scena istituzionale con copiosi richiami difficilmente interpretabili come semplici coincidenze. Silvio Berlusconi, stretto dai processi Mills e Mediatrade, lamenta in una lettera al Giornale l’accanimento personale di alcuni magistrati contro la sua immagine di uomo, confermando il sostegno al governo Monti in vista delle indispensabili riforme istituzionali, tra cui riappare quella della giustizia. Sempre sul Giornale Angelino Alfano, segretario del Pdl per investitura medievale, presenta Berlusconi come un perseguitato dai giudici. Nelle stesse ore Stefania Craxi organizza a Milano una manifestazione contro “i guasti prodotti in Italia da Mani Pulite”, che avrebbe distrutto «con una falsa rivoluzione i cinque partiti storici che avevano fatto dell’Italia la quinta potenza economica mondiale»: dopo Mani Pulite, la corruzione nella vita pubblica sarebbe addirittura aumentata, promuovendo il degrado delle istituzioni.

Su tutto, però, spicca il severo monito del presidente della Repubblica articolato tra le righe di un più ampio discorso al CSM sui problemi della giustizia. Nel tono duplice, l’intervento di Napolitano ricorda la celebre orazione shakespeariana di Antonio sulle spoglie di Giulio Cesare: occorre valorizzare impegno e rendimento dei magistrati italiani, tenendo conto delle difficili condizioni in cui lavorano, e tuttavia è necessario risolvere “alcuni problemi”, cui il Capo dello Stato annuncia di voler dedicare il tempo restante del suo mandato. Il presidente si riferisce non solo all’assunzione da parte di magistrati di incarichi politici ma, soprattutto, alle dichiarazioni esorbitanti i criteri di misura e «all’inserimento nei provvedimenti giudiziari di riferimenti non necessari ai fini della motivazione»: tutti elementi che minerebbero alla radice la terzietà del giudice.

Ci sarebbe un altro problema di legalità, per nulla irrilevante: i comportamenti esorbitanti di cui parla il Presidente non sono, in realtà, censurabili in via disciplinare «per la rigida tipizzazione voluta dal legislatore del 2006». Invece di ribadire che le esternazioni “improprie”, eventualmente discutibili, rientrano pur sempre nell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero (non negabile ai giudici in quanto tali), Napolitano invita il CSM a porre quanto prima «meditato rimedio a vuoti normativi non colmabili in via interpretativa».
Le parole di Napolitano suonano dunque come un avvertimento non solo verso i temerari giudici che si dicano “partigiani della Costituzione”, ma anche verso gli “accaniti” di cui si lamentano Berlusconi e Alfano: il loro comportamento politicamente scorretto non sarà più tollerato e diventerà presto perseguibile.
Si può discutere dell’opportunità delle dichiarazioni “esorbitanti” e della necessità di evitare interferenze tra magistratura e carriera politica, ma ciò che turba del discorso di Napolitano è ben altro: è la concomitanza inquietante tra l’intimazione e l’annuncio di una riforma della giustizia che potrebbe diventare una riforma dei giudici, ridotti a diligenti automi dell’applicazione della legge. La coincidenza turba ancor di più se si pensa al silenzio con cui Napolitano, nella veste di presidente del CSM, ha accolto in passato le ricorrenti dichiarazioni dell’ex premier sulla magistratura a delinquere, politicizzata o eversiva, senza considerarle “esorbitanti” motivi di tensione tra potere esecutivo e giudiziario.

È sicuramente vero che negli ultimi vent’anni l’equilibrio tra i poteri del nostro Stato è stato stravolto, ma non per le ragioni propugnate da Stefania Craxi: è stato incrinato, semmai, da un Parlamento ormai supino alle esigenze dell’esecutivo e, prima ancora, da un governo asservito agli interessi personali di un uomo che divenne forte e ricco proprio negli anni del mentore Bettino Craxi. Sono nati così i meticciamenti politico-imprenditoriali, le leggi ad personam, gli inesistenti conflitti di attribuzione tra parlamento, governo e magistratura, tutti respinti dalla Corte costituzionale. L’arma della persecuzione giudiziaria è stata brandita per minimizzare una corruzione dilagante, le cui dimensioni – secondo il presidente della Corte dei Conti Giampaolino – sono di gran lunga superiori a quelle che vengono spesso alla luce. Mani Pulite ha scoperchiato il vaso di Pandora, ma le cause di questo fenomeno non possono essere rimosse dalla magistratura in assenza di un vero rinnovamento della classe politica.
I giudici non hanno vita semplice: la toga non li rende decerebrati né indifferenti al clima delicatissimo in cui viviamo. Sono terzi, ma non terzi estranei. Eppure si esige da loro una continenza verbale non richiesta a parlamentari, premier, ministri e viceministri: percepiamo ancora l’eco di posti fissi monotoni o vicini ai genitori, laureati sfigati, forze dell’ordine infallibili, istigazioni all’evasione fiscale, all’odio razziale e via delirando. L’esorbitanza è sconsigliabile a tutti, Napolitano incluso.


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