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Giustizia, repressione e corto circuito

Creato il 21 dicembre 2010 da Marcotoresini
Giustizia, repressione e corto circuitoLa questione può apparire molto tecnica, ma in realtà è di sostanza, tanto da occupare le colonne di un quotidiano nazionale come il Corriere della Sera per due giorni. Di cosa si tratta? Lunedì Luigi Ferrarella, giudiziarista e commentatore del Corriere aveva parlato di Corto circuito istituzionale tra potere esecutivo (il Governo) e potere giudiziario (la magistratura) citando tre recenti esempi: le improvvide esternazioni di Maurizo Gasparri sugli arresti preventivi prima dei cortei studenteschi; l'ipotesi del Viminale di allargare i Daspo (provvedimenti emessi dal Questore per interdire i tifosi violenti dagli stadi) alle manifestazioni politiche; l'invio degli ispettori dal parte del Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, al tribunale di Roma dopo la scarcerazione dei giovani arrestati in occasione degli scontri a Roma della scorsa settimana. Perchè corto circuito? Perchè il giornalista del Corriere vi vedeva, a mio avviso correttamente, uno tentativo di sconfinamento del Governo in campi di competenza di altri poteri dello Stato: allargare i Daspo alle manifestazioni, ad esempio, vuol dire dare potere al questore di limitare diritti costituzionali come la libertà di movimento e la libertà di espressione delle proprie idee; mandare gli ispettori dopo alcune scarcerazioni vuol dire usare il potere ispettivo per censurare un atto di un magistrato prevaricando ciò che esiste già, ovvero lo strumento del ricorso da parte della Procura contro la decisione del giudice per le indagini preliminari.

Giustizia, repressione e corto circuito

Angelino Alfano

Proprio su questo punto, oggi il Corriere pubblica una lettera del ministro Alfano nella quale, auspicando, con una strana idea della dialettica, che il giornalista Ferrarella non controreplicasse alle sue ragioni, rivendica il suo diritto alle ispezioni come strumento non per sostituirsi ai giudici ma per esercitare "con correttezza e puntualità il potere disciplinare che la Costituzione mi attribuisce per il cui consapevole espletamento è necessaria la conoscenza dei fatti". "Nessun corto circuito - continua il Ministro - ma soltanto il doveroso accertamento della conformità alla Legge dei provvedimenti che tanto scalpore hanno suscitato nei cittadini, diffondendo un'allarmante ed evidente sensazione di mancata tutela".
Alla lettera del Ministro Luigi Ferrarella non contro-replica, ma fa di più: cita un passo del documento emesso ieri dalla Camera penale di Milano (l'organismo che raccoglie gli avvocati che si occupano di diritto penale) intitolato "La catena della repressione". "Stupisce - scrivono gli avvocati milanesi - che proprio il Ministro della Giustizia si riferisca alle persone arrestate indicandole come responsabili di gravi episodi di guerriglia urbana così confondendo pericolosamente il piano della repressione con quello della giustizia ed oggettivamente anticipando un giudizio di colpevolezza, maggiormente inopportuno se solo si pensi che viene espresso senza alcuna conoscenza degli atti processuali. La giurisdizione non è l'ultimo anello della catena della repressione né tanto meno ne è il lucchetto. Essa, esercitata in piena libertà e senza indebiti condizionamenti, costituisce l'irrinunciabile e unico presupposto per l'accertamento della responsabilità penale dei cittadini e, quindi, per un giustizia condivisa ed accettata dalla intera collettività. Iniziative come quella del Ministro della Giustizia tendono a minare tale presupposto e reagendo in modo scomposto alla delusione nei confronti di un provvedimento non gradito, rischiano di far perdere serenità ed equilibrio a chi è chiamato ad esercitare la funzione giurisdizionale".
Ma i legali meneghini vanno oltre, bocciando su tutta la linea l'atteggiamento del governo. Scrivono infatti: "Non stupiscono certo le critiche degli esponenti del Governo o del sindaco di Roma ai provvedimenti con i quali i giudici romani hanno definito le udienze di convalida nei confronti degli arrestati per i gravi episodi di violenza seguiti alla manifestazione pacifica del 14 dicembre scorso, critiche che auspicavano una decisione tendente all'applicazione generalizzata della custodia cautelare in carcere.I provvedimenti giudiziari, anche quelli giurisdizionali, devono essere oggetto di critica. L'esercizio del diritto di critica, infatti, costituisce uno dei meccanismi fondamentali del funzionamento della democrazia e come tale è irrinunciabile e non tollera affievolimenti né compressioni. Per cui è fisiologico che il sindaco di una città che è stata teatro di scontri violenti riponga molte aspettative ( anche se molte delle quali sono qualitativamente mal riposte) sull'esito di un giudizio di responsabilità a carico di coloro che le forze di polizia additano come i responsabili di quegli scontri.Meno fisiologico, forse, è che lo faccia il Ministro dell'Interno allorché il controllo giurisdizionale, il cui risultato è oggetto di critica, si risolve dal suo punto di vista nella conferma o nella smentita dell'operato delle forze di polizia che da lui dipendono".
Sull'ipotesi di estensione del Daspo, poi, gli avvocati sono determinati nel giudizio: "L'estensione del Daspo alle manifestazioni di piazza costituirebbe una sicura violazione delle libertà costituzionali, del diritto di manifestare le proprie idee, di riunirsi in luogo pubblico e violerebbe la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.Si affievolirebbe in modo significativo e costituzionalmente illegittimo quel diritto di critica del cui esercizio, come abbiamo visto, ha goduto anche il sindaco di Roma e che dobbiamo considerare irrinunciabile".
Leggi o scarica:
Il Documento della Camera Penale di Milano sugli scontri a Roma

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