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gli altri siamo noi, ma a volte purtroppo no

Da Gynepraio @valeria_fiore

La domanda che mi sono sentita rivolgere più spesso nella mia carriera di femmina e amica, è stata: che faccio, lo chiamo? La mia teoria iniziale, in quanto donna, si basava sulla superiorità della donna -complessa, articolata, analitica-sull’uomo -bidimensionale, essenziale, schematico-. La donna deve scomporre i comportamenti dell’uomo, coglierne segnali e interpretarli cabalisticamente per dedurre la cosa giusta da fare. Questa visione, che sicuramente nutre l’ego, anima le serate di chiacchiere con le amiche e aiuta a fare squadra con le proprie consimili, conduce purtroppo ad un finale perverso di cui vi riassumo brevemente gli step:

  1. io sono speciale, complicata e pertanto superiore.
  2. lui è un miserabile, purtuttavia mi piace. Dovrebbe chiamarmi.
  3. Mentre aspetto che mi chiami, sto a casa a mangiarmi le unghie fino alle nocche.
  4. Lui invece è fuori a divertirsi serenamente, dimentico della mia esistenza
  5. Che faccio, lo chiamo?

Dopo aver visto/vissuto questa scena decine di volte -con variazioni sul tema e tocchi di folclore ogni volta diversi- ho iniziato a percepire una certa insoddisfazione, composta in uguali parti di autocommiserazione (per la me a casa a mangiarsi le unghie) e invidia (per lui in giro a passarsela bene). La risposta al punto 5 dovrebbe essere: No, non lo chiami perché ci sono ragionevoli segnali per affermare che questa persona non è interessata ad approfondire la conoscenza. Oppure, al massimo: “Certo, chiamalo, ma cosciente del fatto che potrebbe risponderti “No, grazie” o magari “Perché no, sentiamoci nei prossimi giorni” ma non: “Oh sì, grazie, volentieri, non vedo l’ora!”.

Il problema, come al solito, non è errare: è perseverare. Si sviluppa una coazione a ripetere (=incassa il rifiuto, ma non rinuncia a dire “E’ un coglione”. Tuttavia, non capendo il problema, la volta seguente si imbatte in un altro coglione. E così via, fino ad esaurimento dei maschi disponibili in città) oppure un disperato oltranzismo (=non accetta il rifiuto, e si accanisce nel dire “Prima o poi capirà”. Tuttavia, egli non solo non capisce, ma la scarica con inedita brutalità e/o una denuncia per stalking. E così via, fino ad esaurimento nervoso).

Se fosse bastato vedere due o tre volte “La verità è che non gli piaci abbastanza” per imparare la lezione, a quest’ora il fenomeno si sarebbe ridimensionato. L’insuccesso educativo e moralizzatore del film era prevedibile: chiedere ad una ragazza di accettare di non essere ricambiata è molto. Ma farle ammettere a voce alta che il rifiuto discende dal suo non essere abbastanza _________ (sostituite con aggettivo a vostra scelta), è troppo. E’ troppo per quelle con l’ego inattaccabile e l’autostima alle stelle. Figuriamoci per la ragazza occidentale media, che se va bene ha un complesso di Edipo grosso come una portaerei. E’ una visione autoriferita: sono io che non vado bene, ma se mi do da fare andrà tutto bene! Insisto! Io posso!

La chiave è sviluppare una visione umanista ed ecumenica: gli altri siamo noi. Non siamo sole né diverse: a noi si applicano gli stessi meccanismi che noi applichiamo agli altri. Per la legge di compensazione, ogni rifiutata è stata in qualche occasione una rifiutante. Anche alla più bistrattata delle donne è successo di avere il coltello dalla parte del manico. Andate con la mente a quei momenti: odiavate quel poveretto? Vi repelleva? Volevate ucciderlo? Vi sentivate cattive come un boia incappucciato? La risposta, tendenzialmente è no: semplicemente quella persona, pur non disgustandovi, non vi piaceva. Non vi solleticava la fantasia, non vi ispirava, non vi faceva venire voglia di prepararvi e uscire. Posso tirarvi fuori diversi nomi di persone con cui sono uscita e ai quali, con tutta la buona volontà del mondo, tuttora non so trovare dei difetti impedienti. Semplicemente non mi piacevano, nonostante fossero carini, intelligenti, beneducati, con un lavoro stimolante e interessi piacevoli. Se avessero indossato la camicia della domenica, sfoderato un’American Express Centurion, m’avessero portato in barca e assoldato dei pesci ammaestrati per cantare “Baciala”, mi sarebbero piaciuti? La risposta è NO.

Ora, giacché conoscete il sapore di quella sensazione, come mai vi riesce così difficile concedere a un altro di provarla nei vostri confronti? Soprattutto, perché sviluppate aspettative irrealistiche sulle vostre capacità? Sperate veramente che uscendo insieme una volta di più gli farete cambiare idea? Uno che non vi chiama più dopo uno o due appuntamenti non vi sta dando un umiliante benservito, non sta comprando dei billboard sull’Autosole per annunciare che vi sta scaricando, non sta trafiggendo con dei ferri da calza una bambola con le vostre sembianze, non vi sta abbandonando incinte e disonorate davanti ad un convento di Carmelitane Scalze. Abbozzate, minimizzate la gravità dell’onta: vi assicuro, non è successo niente. Lui, come tutti gli esseri umani dai tempi di Lucy, procede per tentativi e sta esercitando il diritto di testare qualcosa, verificare che non gli piace e quindi decidere di non averne più. Il che, in un mondo fatto di esseri umani, caratterizzato da frequenti interazioni, intensa concorrenza ed eccesso di offerta, è assolutamente normale.

PS Io non voglio esortare nessuno al disfattismo o a gettare la spugna. E’ solo un altro invito a capire la differenza tra “mi rode” e “mi dispiace”. 


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