Cuneo è una piccola, quieta provincia piemontese. Una provincia per molti aspetti sonnolenta, almeno per come la vedono molti giovani o quarantenni che, come me, hanno avuto la bislacca idea di nascervi. Ciò che la rende interessante, ai miei occhi, è la vicinanza coi monti, poco altro. Non di sicuro lo shopping – perno della comunicazione del Cuneese – e non di certo l’enogastronomia, che tendo a collocare di più nelle Langhe, che saranno pur sempre nella provincia di Cuneo, ma che io giudico comunque un mondo altro.
In particolare, ho sempre guardato ai paesini e ai paesoni che circondano questo enorme triangolo compreso tra il corso del Gesso e dello Stura con un senso di infinita ansia e cupezza. A Borgo San Dalmazzo, per esempio, non ci ho praticamente mai messo piede, se non per sbiciclettare più in là, verso Sant’Antonio di Aradolo, o verso le vallate montane, appunto. Eppure, da qualche giorno, di Borgo San Dalmazzo si sente parlare tantissimo – o almeno, se ne legge molto.
Perché questo paesone di poco più di 10.000 abitanti, infatti, è diventato protagonista delle cronache suo malgrado, con una storia che ha dell’incredibile. E dell’orrorifico. E del luttuoso, non risolto, peraltro. Tutto inizia con un funerale, quello di Rosa Giraudo, che risiedeva in una villetta dell’allegra cittadina. Una villetta condivisa col figlio, la moglie di lui e i nipoti. E – lo sappiamo da una settimana circa – con il corpo mummificato della sua consuocera, Graziella Giraudo. Era in una stanza della villetta, stipata di oggetti, seduta in poltrona, in posizione benedicente, «il busto eretto, braccia e gambe fasciate da lenzuola di lino e cotone, come un sudario, il viso in buono stato di conservazione», come riferisce La Stampa nel primo degli articoli dedicato alla vicenda.
Da qui in poi le certezze si perdono, si confondono, su tutta la storia si alza un incredibile muro di omertà, di dichiarazioni che si fa fatica a interpretare o a prender per vere. Nei paesi piccoli, si tende a pensare, tutti sanno tutto di tutti. E invece di Graziella Giraudo pare che nessuno sapesse più nulla. Non da una settimana, non da un mese, non da un anno. Da 10 anni o più. Non ne sapeva niente il comune, per il quale la donna era ancora viva, e tuttavia non rinnovava la carta d’identità dal 1992. Non ne sapevano niente i vicini e i concittadini, che pure per molto tempo erano ricorsi ai suoi servigi di “santona”, facendosi pronosticare il futuro, facendosi dare consigli, e offrendo in cambio polli, uova, pare non del denaro. Non ne sapeva nulla l’ex marito, che pure abitava a poche centinaia di metri di distanza. E che sembra non ricordi a quando risaliva il loro ultimo incontro (una settimana fa? sei mesi? dieci anni? C’è una bella differenza). Non ne sapeva nulla la figlia. Che praticamente con la mummia di sua madre condivideva lo stesso tetto e che ha dichiarato: «La coinquilina (la consuocera, ndr) diceva che mamma era partita per un viaggio. Ogni volta che cercavamo notizie più precise, lei ci riceveva sull’uscio dell’appartamento, senza farci entrare». Alla faccia della proverbiale riservatezza piemontese… Se tua madre parte in viaggio, due domande prima o poi te le fai. Provi a intercettarla. Ti chiedi come possa viaggiare e viaggiare senza percepire manco una pensione. Magari, dopo un po’ ne denunci pure la scomparsa. Questa non è riservatezza. Questa è plumbea omertà.
E poi saltano fuori testimonianze sparse. Quella del macellaio che aveva venduto alla signora Rosa molto grasso, e che ora si chiede se sia servito per ungere la mummia. Quella della signora Tiziana, che un tempo andava a trovare la santona e che però è da 11 anni, forse, che non ne sa più nulla.
E c’è anche, ma non so con quale attinenza con la mummia di via Pedona, la storia degli imbalsamatori di Borgo San Dalmazzo, i Giuliano, che nella cittadina hanno svolto per oltre un secolo l’attività di tassidermisti, contribuendo alla conservazione delle specie alpine per i musei italiani. Della loro opera si sono serviti nel tempo Vittorio Emanuele III, Rockfeller, Steven Spielberg per la realizzazione del modello dello squalo nell’omonimo film. Un know how, il loro, che in qualche modo, forse, si sarà trasferito alla mano che di Graziella si è occupata.
Perché, come dicono i giornali, qui c’è un lavoro esperto. E mummificatori non ci si improvvisa. «Ci troviamo di fronte a un caso di mummificazione naturale, che sicuramente qualcuno ha aiutato. (…) Serve aria, ma aria non troppo calda. Bisogna scacciare le mosche. (…) Bisogna pulire la pelle con costanza. Bisogna, in definitiva, curare amorevolmente la salma». E allora sì, ecco che uno studio sulla mummificazione ci sembra un’ipotesi possibile. E poi una comunità connivente. Che ancora si faceva benedire, forse. E che ancora portava le uova alla signora Graziella, forse.
E in tutto questo c’è un senso di disagio. Un po’ come quando guardi Psycho, tutte le volte che lo guardo. E che vi registro qualcosa di malsano. Nelle stanze ingombre di ninnoli e oggetti, nei cumuli di polvere, e nella mummia della mamma tenuta lì nella stanza. C’è molto di irrisolto. Senz’altro una non accettazione della morte, e del lutto, come un qualcosa di naturale. Per non pensare poi all’idea di una comunità, di vicini e familiari conniventi che nascondono oltre la porta un oggetto, scomodo, di venerazione. In tutto questo la mia provincia mi diventa improvvisamente da sonnolenta a mummificata; mi fa pensare che sì, uno dei nostri mali sia quel qualcosa di morboso nel vedere la morte (il grande rimosso), al punto di non accettarla e procrastinare negli anni la vita del cadavere (una mummia di 18 anni di età?); mi fa guardare con ansia a tutto questo orrore domestico e mi fa dire che, forse, una città in cui nessuno si accorge che una persona scompare – non è neppure dato sapere da quanto –, senza dire alcunché, è il posto giusto per farvi una fiera, che si chiama Fiera Fredda.
@si_ceriani
Sui giornali e sul web
La Stampa
http://www.lastampa.it/2013/10/30/edizioni/cuneo/pool-di-esperti-cerca-risposte-sulla-mummia-trovata-a-borgo-zO3yrdimh4U3QkZhQyZjCJ/pagina.html
http://www.lastampa.it/2013/10/31/edizioni/cuneo/esame-della-tac-sulla-mummia-KtsBKKC9HGmJUgLxxGjltN/pagina.html
http://www.lastampa.it/2013/10/31/italia/cronache/i-vicini-della-donna-mummificata-noi-non-la-vedevamo-da-anni-08ttltDpecPz95k3fqBZ4H/pagina.html
Nuova società
Today
http://www.today.it/citta/mummia-santona-borgo-san-dalmazzo.html
Piccolo dizionario
La mummificazione è un processo, naturale o artificiale, in cui un cadavere subisce una disidratazione massiva così veloce, che i tessuti rimangono come “fissati”. Servono particolari condizioni esterne e interne per ottenere questo processo. Il corpo mummificato ha un colore brunastro, con la pelle di consistenza del cuoio o della pergamena, e che aderisce alle ossa. I tratti della persona si conservano abbastanza bene.
Le condizioni ambientali favorevoli alla mummificazione sono:
Clima freddo, secco e ventilato, che ostacola la putrefazione;
inumazione in terreni asciutti capaci di assorbire i liquidi in grande quantità;
presenza di certi tipi di muffe che disidratano il corpo.
Mummificazioni parziali si hanno in persone decedute in ambienti chiusi, riscaldati e ben ventilati, quando il corpo giace su materiali che assorbono acqua. I fattori che favoriscono i processi di mummificazione sono la denutrizione, l’età avanzata, grosse emorragie. In media, un processo di mummificazione dura 6 mesi-1 anno, ma ci sono prove e casi di mummificazioni avvenute in 2, 3 mesi, eccezionalmente in 2-3 settimane. Anche condizioni di freddo intenso possono portare ad una mummificazione come nel caso della mummia del Similaun. nel capitolo dopo si parla di mummificazione artificiale.
Imbalsamazione. Nella civiltà occidentale questa tecnica fu utilizzata soprattutto per soldati e guerrieri di rango defunti lontano da casa e i cui corpi si intendeva preservare per celebrarne le esequie nella madrepatria. I termini “imbalsamazione” e “mummificazione” indicano procedimenti analoghi. L’imbalsamazione significa mettere nel balsamo, cioè in una mistura di resine vegetali. Il processo di mummificazione era molto simile: i corpi venivano trattati con unguenti, oli e resine, poi avvolti in strati di tessuto anch’essi impregnati di resine.