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Gli epitaffi vanno fatti alla sinistra

Creato il 10 novembre 2011 da Yleniacitino @yleniacitino

Gli epitaffi vanno fatti alla sinistra

da www.ragionpolitica.it

Evviva! Era ora! Finalmente! A sinistra tutti esultano, plaudono, si complimentano. Al centro e in certi ambienti di destra, invece, forse avranno smesso di prendere analgesici contro un «mal di pancia» divenuto ormai cronico. E giù, fiumi di editoriali sulla fine di un’era: il berlusconismo. Son tutti bravi a ripercorrere la sua storia, a giudicare i suoi errori, a criticare le sue scelte, con spudorata saccenteria. Ex post, ovviamente.

E adesso? In realtà dovrebbero tremare piuttosto che gioire. Perché se cade Lui, casca pure il più forte collante che negli anni ha finora tenuto in piedi la prismatica realtà rossa: l’odio atavico contro la sua persona. Del resto, ripercorrendo a ritroso le dichiarazioni di tutti gli esponenti e i capetti di sinistra, si nota un unico filo conduttore: l’obiettivo della cacciata del carismatico avversario. Niente di più. Dal giorno della trionfale discesa in campo sono passati diciassette anni. Una carriera politica estremamente lunga e longeva, quella di Berlusconi, interrotta solo due volte (rispettivamente nel 1995 e nel 2006) da governi durati complessivamente sette anni e che, come ricetta alla stagnazione, si erano contraddistinti per l’elevatissima imposizione fiscale (ricordiamo le prodiane eurotasse). Esperienze non pienamente soddisfacenti, perché gli scranni da cui si sono sempre sentiti forti e arroganti sono stati quelli dell’opposizione. È più facile criticare che agire. È più facile produrre materiale combusto che fertilizzante.

Oggi, dunque, chi canta la fine di un ciclo politico, glissa sull’incerto futuro e non riconosce, con la dovuta onestà, che senza Berlusconi finiranno anche i vari Di Pietro, Casini, Fini, Bersani, Vendola o Rutelli. Il Presidente della Repubblica, dopo il varo della legge di stabilità, inizierà le consultazioni, magari dando qualche incarico esplorativo che finirà con un buco nell’acqua. Se le opposizioni dovessero convincere Napolitano, salirebbe al governo una squadra piuttosto eterogenea che a fatica riuscirebbe a tenere a bada coloro che scalpitano, in nome del «bene nazionale». Per farlo, non solo si ricorrerebbe (stavolta sì) a un ripugnante «mercato delle vacche», ma si inaugurerebbe un decadente ritorno al passato.

Ce li vedete Idv, Pd, Sel e Udc a lavorare assieme d’amore e d’accordo? Fantapolitica. Scartata l’ipotesi di un governo di coesione, c’è sempre il facile escamotage del ’92, direbbe qualcuno. Ma Mario Monti, candidato premier papabile ad un fantomatico governo tecnico, non avrebbe nessuna certezza di essere ascoltato e seguito nell’approvazione di riforme impopolari. Quale parlamentare metterebbe il proprio voto ad atti legislativi che i propri elettori non vogliono?. Oltre all’ipotesi ribaltone o governo tecnico potrebbe forse aprirsi anche la strada per un governo di transizione, con l’appoggio dell’Udc. Tuttavia, Casini sarebbe ancora una volta l’ago della bilancia e anche in questo caso l’ingovernabilità dominerebbe ogni prospettiva futura: l’Unione di Centro ha già dato corso al suo ultimatum, avvisando che ormai l’apparentamento l’ha fatto con il centrosinistra.

Bersani, però, non ha ancora le carte in regola per una eventuale «maturità governativa», considerato che non riesce ad ottenere nemmeno la reductio ad unum delle componenti del suo partito. Quid iuris? Andare ad elezioni potrebbe essere, quindi, l’unica opzione possibile. Ridare il timone ai cittadini, per virare verso una rotta più democratica. Certo, è una manovra, quella dello scioglimento anticipato, che non è gradita a molti. Per lo più, a coloro che, per l’immediata corsa alle urne, si troverebbero impreparati ad un livello marchiano.

A proposito, la sinistra su cosa farebbe campagna elettorale? Sull’antiberlusconismo, senza più un Berlusconi candidato premier? Oppure su una selva di promesse tirate fuori dal cilindro, le une contrastanti con le altre? Il cittadino medio imbattutosi nel loro eventuale programma, si sentirebbe come un miope con occhiali da astigmatico: vedrebbe tutto sfocato. E la crisi? Se continuasse (cosa molto probabile, visto l’aspetto funereo delle borse, affatto sollevate dalla decisione del premier di rimettere a breve il suo mandato), non ci sarebbe più il capro espiatorio a cui rimpallare ogni responsabilità. È sensato, allora, dire che si sia davvero chiusa una fase? Pierluigi Battista, dal Corriere, si cruccia che Berlusconi non abbia mai fatto la tanto promessa «rivoluzione liberale», quanto piuttosto solo una «rivoluzione antropologica». Ebbene: se effettivamente ci fosse stata una rivoluzione antropologica, a quest’ora non rischieremmo di ripercorrere, illogicamente e con passaggi schizofrenici, gli stessi viziosi sentieri da cui abbiamo fino ad oggi tentato di evadere.


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