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Viviamo in un'epoca moderna davvero complicata. Ci innamoriamo, ci sposiamo, diventiamo genitori e proviamo a crescere, al passo delle lezioni che la vita impartisce, dall'alto della sua cattedra impalpabile. Cadiamo e ci rialziamo, sbagliamo e poi impariamo. Più o meno è così che va, per tutti.
Ma una vita pianificata a tavolino, quasi mai va come dovrebbe. Se davvero avessimo immaginato che sposarsi sarebbe stata un'impresa economica e non solo, figuriamoci una separazione, o un divorzio. Certo è che, nessuno avrebbe immaginato si trattasse di "roba per ricchi". Ed è così che il regista, attore e documentarista romano, Ivano De Matteo, ne parla. Il suo ultimo film presentato a Venezia nel 2012, Gli equilibristi, è un dramma fedele sui nostri tempi.
Un archivio e due corpi, e il loro incontro illecito. Il film vuole prima di ogni altra cosa dire allo spettatore che ,tutto ciò cui assisterà, è inevitabile conseguenza di quel rapporto appena accennato. Perché quell'uomo è un padre di famiglia come tanti, un dipendente del comune con una moglie e due figli a casa. Giulio/Valerio Mastandrea però ha sbagliato, sembra quasi che non basti la sua simpatia e il suo accento romanesco ad adulare l'occhio di chi guarda. Ma la rabbia e il rancore nei confronti di quest'uomo, va scemando nel corso del film. Si parte con l'idea ferma, per la quale chi sbaglia, non merita perdono. Il suo tentare cauto, di avvicinarsi alla moglie. Una donna distrutta da un dolore che nemmeno è in grado di manifestare del tutto. Per i figli forse, per se stessa. Ma arriva quel punto in cui la situazione diventa insostenibile, un uomo e una donna nella stessa casa che a malapena fanno incrociare gli sguardi, non possono andare lontano. Così un giorno Elena/Barbora Bobulova, trova il coraggio di parlare, soprattutto di sputare via quella parola sporca e pesante come un macigno: "colpa". E la colpa era di Giulio, lei era impotente, privata di ogni ruolo e questo De Matteo lo rende bene. Il personaggio di Elena, soprattutto all'inizio del film, sembra un manichino vuoto. Che non sa dove andare, che si muove per inerzia. Questo aspetto di lei, si scontra con l'apparente recita di Giulio, il quale provava almeno davanti ai figli, a mantenere il ruolo di padre e marito.
Gli equilibristi non è un film di una bellezza cinematografica memorabile. Tutt'altro. E' terribile e spossante, ti prende e ti svuota, proprio come la società in cui viviamo. La nostra realtà può fingersi borghese fino a un certo punto, poi la recita finisce e il sipario cala. Le maschere, e qui ovviamente tutto ruota attorno a quella di Mastandrea, ad un certo punto cadono a terra. Giulio si ritrova ad affrontare le conseguenze di una separazione (Progetti per il futuro: non sottovalutare Le conseguenze dell'amore), lottando con la propria dignità, lavorando in nero e passando le notti dalla pensione di una (simil)Annarella alla propria auto.
Il finale rimane forse l'aspetto meno chiaro del film. Se il regista avesse in mente un determinato piano diabolico, o un villano mettere in guardia lo spettatore sul matrimonio e sul contare fino a dieci prima di fare qualche minchiata cosmica, io non lo so. Lo intuisco però. Altrimenti come ce la spieghiamo la scelta del Natale, della figlia più grande che ti ama per averle regalato "Barcellona", la casa d'accoglienza e il bambino più piccolo con i denti sporgenti ma di un biondo che fa Kurt Cobain?
Se è vero che un film si possa considerare "brutto", dal momento in cui si presta a riportare la realtà, così com'è, allora io concludo dicendo che, Gli equilibristi è tanto brutto oggi, quanto un Umberto D di ieri.
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