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Gli interventi al Congresso di Sel Bologna: Elena Tagliani e Domenico Papaleo

Creato il 02 dicembre 2013 da Margheritapugliese

Elena Tagliani:

Elena Tagliani .......il welfare sta subendo l'attacco criminale del liberismo.....liberismo e liberta' hanno la stessa radice ma non sono la stessa cosa...

Elena Tagliani …….il welfare sta subendo l’attacco criminale del liberismo…..liberismo e liberta’ hanno la stessa radice ma non sono la stessa cosa…

Compagne e compagni

Sinistra Ecologia e Libertà è un partito giovane e molti sono i giovani che vi abitano fortunatamente, ma coloro tra i quali, e mi ci metto anche io, hanno qualche anno in più, possono constatare i profondi cambiamenti del nostro paese negli ultimi vent’anni, un lasso di tempo davvero breve, tuttavia è bastato a produrre enormi cambiamenti, tali e tanti da poter mutuare da Karl Polany il concetto di “grande trasformazione”.

Il welfare, che la generazione precedente aveva faticosamente costruito a partire dal secondo dopoguerra, ha subito e subisce quotidianamente l’attacco di una politica completamente asservita, e in alcuni casi criminalmente complice, all’economia liberista.

Il welfare che abbiamo conosciuto, così come i diritti dei lavoratori e delle donne, erano conquiste a tal punto radicate che non immaginavamo di poterle perdere.

Con il senno di poi avremmo dovuto avere coscienza che le magnifiche sorti dell’umanità si sarebbero arrestate di fronte allo sfruttamento globale delle risorse, al saccheggio delle fonti energetiche come se fossero infinite, alla produzione incontrollata dei beni di consumo inseguendo l’assurdo dell’obsolescenza programmata e trasformando i nostri spazi in ricettacoli di rifiuti e in terre di fuochi.

Ma la sinistra non fu allora abbastanza lungimirante e anziché essere capace di pensieri lunghi si fece persuadere che la modernità fosse spostare l’equilibrio del patto tra stato sociale e capitalismo a favore di quest’ultimo. Si fece persuadere che il capitalismo globale fosse inevitabile, invincibile e forse si illuse che l’economia alleggerita delle regole fosse l’unica via in grado di estendere all’umanità intera i diritti universali. Come se liberismo e libertà, a cagione dalla stessa radice linguistica, fossero figli della stessa madre, la democrazia. Invece l’unica cosa che stiamo rendendo universale è la povertà.

Eppure avevamo avuto chi, come Enrico Berlinguer, già alla fine degli anni sessanta aveva puntualmente criticato la società opulenta che disegnava, per il futuro dell’umanità, una ricchezza sempre crescente facendone il sinonimo di benessere, piuttosto che perseguire l’equità delle opportunità e dei diritti.

Ma la Storia non ha scolari e la memoria è fallace e condizionata dal presente. Condizionata e cancellata e riscritta a proprio favore del potere di turno, riducendosi le colpe e le incoerenze.

Così piano piano ci si è abituati ad accettare che i diritti di proprietà, il pareggio di bilancio, la libertà di commercio vengano prima della libertà delle persone e prima di ogni interesse pubblico o problema sociale. Così piano piano abbiamo smesso di avere fiducia che le cose potessero cambiare grazie alla volontà collettiva che si esprime attraverso la politica. Come condannati senza appello a patire decisioni altrui prese altrove, magari da un’agenzia di rating, rendendo come superflua la nostra sovranità.

Così abbiamo imparato che parole come “ottimizzazione” “tagli” “austerità” “privatizzazioni” “esternalizzazioni” altro non sono che medicine dal sapore cattivo ma che ci fanno bene e la tassazione una prassi irragionevole che ci fa male. Questo ci stanno facendo credere.

Ci siamo abituati all’impotenza come se nulla dei nostri gesti potesse valere a migliorare l’esistenza. E l’abitudine è il luogo in cui anche l’aberrazione diventa normalità. E quando tutto diventa normale e accettabile non c’è motivo di scandalizzarsi o di indignarsi.

L’idea stessa di collettività è in declino e con essa il concetto di civiltà.

La forbice, sempre più larga, delle diseguaglianze di reddito e di opportunità è propria di un paese del terzo mondo piuttosto che di uno Stato di diritto e per noi non può essere tollerata. La divisione della società in sommersi e salvati.  È questo che volevamo? La divisione del lavoro, parafrasando Eduardo Galeano, in classi sociali specializzate a guadagnare e classi specializzate nel rimetterci? 

La politica, quindi, ha mancato in quello che avrebbe dovuto essere il proprio compito. Lasciando campo libero prima all’avidità della finanza globale e poi al populismo con i suoi connotati tipicamente beceri e volgari che alimenta se stesso facendo leva sulle frustrazioni, sulle delusioni, sulla rabbia acuendo il malessere invece che mitigarlo poiché è nel malessere che esso trova nutrimento e consenso.

Così i partiti sono diventati zone grigie di potere tra oppressi e oppressori tra coloro che detengono il potere e coloro che lo subiscono. Capri espiatori. Luoghi di privilegi piuttosto che luoghi di solidarietà.

Per queste e altre ragioni ho creduto nel progetto di SEL e quando quattro anni fa stava nascendo vi ho aderito con entusiasmo. Il binomio “sinistra ed ecologia” si incastonava proprio in quell’alveo di diritti omnicomprensivi capaci in potenza di riaccendere il ruolo della politica, la comunione di intenti dei cittadini, il diritto al lavoro senza depauperare l’ambiente, anzi trovare proprio nella conversione ecologica la fonte di nuove operosità, nuove intelligenze, nuove immaginazioni.

In questi quattro anni abbiamo assistito, e subìto, il fanatismo e la banalità di un governo di destra, i disastri di un governo tecnico dandoci la possibilità di scoprire che un governo tecnico, lungi dall’essere un sapiente chirurgo, è invece il peggior governo politico possibile. Ad oggi che assistiamo all’assurdo storico, oltre che logico, di un governo di larghe intese o chiare intese, come ha dichiarato appena ieri il segretario del nuovo centro destra. Come a dire “patti chiari e amicizia lunga”.

Un Governo che annienta le parti in nome di un tutto “utile” che si pone quasi sovra le parti come se ciò fosse umanamente possibile.

Il paradosso insito in questo Governo ci suggerisce una lezione importante,  che la Democrazia deve essere una pratica intelligente adoperata da cittadini edotti sui propri diritti e sui propri doveri, responsabili e garanti della difesa di quei diritti e di quei doveri e di quella Carta, la Costituzione, che li sancisce così lucidamente.

Perciò ridare luce alla cultura, all’istruzione e alla filosofia della civiltà è un imperativo a cui non possiamo sottrarci.

La politica, quindi, deve tornare ad essere il mezzo attraverso il quale si esprimono le istanze della società. Sostenerne l’inutilità significa sostenere la barbarie. Gli ideali politici contano e vanno difesi perché definiscono ciò che si può e ciò che non si può fare.

E questi ideali devono necessariamente avere la dimensione europea affinché abbiano la possibilità di produrre un cambiamento sensibile. L’uscita dalla crisi deve trovare una voce politica continentale che sia all’altezza del compito.

Solo attraverso la politica, la buona politica, potremo garantire condizioni di vita dignitose al nostro futuro a partire da oggi, a partire da qui, a partire da noi.

3 la plarea

Domenico Papaleo:

Ciao a tutte, ciao a tutti

rieccoci, a tre anni di distanza, nel medesimo luogo, e, per quanto mi riguarda, con la medesima passione, anche se con molti dubbi e penso con molta esperienza in più, a ragionare di politica e di come rilanciarci e assumere un ruolo da protagonisti, ma in special modo, di come riorganizzare, e per certi versi, organizzare da capo, un partito che, sarebbe miope negarlo, oggi appare fiacco, spesso svuotato di senso, e raramente percepito come uno strumento per uscire dalla crisi economica, sociale e culturale che l’Italia sta attraversando.

papaleo
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni, che spero possano rappresentare spunti per una ripresa, sia a livello locale che nazionale, di iniziativa politica e che penso possano, nello stesso tempo, contribuire a ridisegnare il nostro profilo, non più con una matita spuntata, ma con un tratto più chiaro e deciso.

Dopo questo congresso, sono convinto che Sel debba fare un salto in avanti dal punto di vista della continuità del lavoro politico. Da quando siamo nati, l’impressione è stata ed è quella di un partito che arriva agli appuntamenti elettorali spesso senza un “lavoro alle spalle”, e che a questi appuntamenti ci si presenti quindi con scarsità di strumenti di analisi ed elaborazione che ci consentano di dire perché e per che cosa siamo in campo. Una forza politica matura ed organizzata deve invece investire proprio durante i momenti non elettorali, se si intende un partito non come un comitato o una agenzia interinale, ma come forza politica presente sempre, attraverso le proprie articolazioni, nella vita e tra i bisogni dei cittadini.

Sel non può e non deve essere solo il partito degli amministratori, con dietro un immaginario di parole d’ordine e slogan che i Circoli dovrebbero declinare in rete come un mantra.

Dobbiamo quindi impostare a Bologna una organizzazione che miri alla riconoscibilità della nostra forza politica, lavorando tutti, ma in special modo chi avrà l’onere e l’onore di avere delle responsabilità, per uscire dall’immobilismo  e dalla nostra precarietà, per non essere solo una lista elettorale (da modificare nelle forme a seconda delle contingenze) ma un vero contenitore aperto di idee, sensibilità, elaborazione e azione che stia aperto tutto l’anno e che non si prenda il lusso di andare in ferie.

Siamo stati troppo a guardare la Luna, e così facendo siamo stati percepiti distanti da ciò che accadeva sulla terra. Siamo caduti nel gioco poco interessante e utile, del continuo posizionamento e riposizionamento in un quadro di alleanze che ha un senso solo se prima le alleanze le hai strette con associazioni, comunità, mondi, che non hanno bisogno di essere illusi o usati, ma di essere conosciuti e rappresentati.

Se vogliamo rendere forti le nostre idee, e quindi poi condividere progetti credibili,  non possiamo sottrarci al difficile ma penso entusiasmante lavoro di esplorazione ed attraversamento di mondi diversi, politici e non, dove vivono le frustrazioni e le ambizioni delle persone: i luoghi di lavoro, provando “per piacere”, a non escluderne nessuno ed evitando di appiattirci su una specifica categoria, ma sempre dalla parte di chi onestamente, con competenze e fatica prova a costruirsi un futuro, nelle università e nei luoghi di incontro, anche quelli più difficili, come i centri sportivi delle nostre periferie. In questi ed altri luoghi bisogna esserci, se vogliamo capirli, interpretarli. Possibilmente come spesso abbiamo sentito dire dobbiamo camminare domandando e quindi poi facendoci delle domande, forti delle nostre idee, ma pronti a metterle in relazione e, se serve, ridiscuterle con gli altri, e disposti a dotarci anche di nuovi punti di vista.

A livello programmatico vorrei che dopo questo congresso  Sel lanciasse una grande campagna per il trasporto sostenibile, immaginando un New Deal Ferroviario che metta finalmente dopo decenni, in condizione territori abbandonati più che da Dio, dallo Stato,di raggiungerne altri, perché appare ormai chiaro a tutti che la emancipazione del futuro non può e non deve passare dal possedere o meno una automobile, ma attraverso la libertà di movimento delle persone, al Nord e in special modo al Sud.

Abbiamo distretti industriali paradossalmente spesso lontani dalle città, o attorno ai quali sono stati costruiti orribili quartieri dormitorio. Ed abbiamo un patrimonio culturale ed artistico che se valorizzato, anche attraverso una migliore accessibilità ai siti, potrebbe essere veramente il motore principale della economia italiana.

Dopo questo congresso mi piacerebbe che Sel avesse il coraggio di fare un ragionamento serio sul fisco, e che la battaglia per una equità fiscale fosse declinata non solo tematizzando i danni della evasione fiscale, perché non basta. La battaglia per l’abolizione dell’ICI (oggi IMU, domani chissà) è storicamente una battaglia della sinistra, credo sia stato un errore averla quasi abbandonata, e avere concesso alle destre di farla propria. Ed oggi vediamo che cosa sta succedendo a causa un mix di dilettantismo politico e a causa di bassi compromessi che derivano da basse intese. Un conflitto Stato – Comuni quasi senza precedenti, e danni, ma soprattutto beffe, per i ceti popolari più in difficoltà. Era necessario togliere l’IMU a chi ha un mutuo da pagare, e ha un reddito basso, non all’alta borghesia ed ai palazzinari.

E dobbiamo prendere atto definitivamente del fatto che le partite IVA di oggi non sono le partite IVA di 30 anni fa, e che costituiscono un esercito di proletari spesso altamente alfabetizzati, che ancora non sono rappresentati da nessun sindacato e non trovano sponda in alcuna forza politica. E che non meno dei lavoratori dipendenti vengono letteralmente falcidiati dal fisco, in special modo i più giovani.

Non basta rendere semplice a livello burocratico l’avvio di una impresa perché io potrò anche riuscire a compilare moduli e ricevere autorizzazioni in un giorno, ma se le banche bocciano quasi sistematicamente ogni progetto non dando credito, la mia condizione sarà sempre quella di subalternità.

E al sacrosanto diritto di avere diritti, passatemi la citazione*, dobbiamo, nella nostra prospettiva politica e nella idea di società che andiamo a raccontare e che vorremmo realizzare, affiancare il diritto di avere opportunità, perché il miglioramento delle condizioni di vita delle persone passa non solo dalla stabilità del posto di lavoro, ma e in special modo dal funzionamento di quell’ascensore sociale che non funziona più, cosicché sempre più spesso si baratta la stabilità del posto con la stabilità del salario, ed in Europa siamo anche in questo maglia nera.

Mi perdonerete, credo, se in questo mio intervento non mi sono concentrato nel vivisezionare il documento nazionale che è a mio avviso una cornice di programma perfetta per le prossime elezioni Europee, ma che non affronta il tema del perché a tre anni dalla nostra fondazione, abbiamo più o meno i medesimi numeri sia in termini elettorali, che di militanza.

Chiaro è che forse dovrei intervenire nuovamente, per riflettere con voi su questo tema, ma non potendo farlo, per ovvi motivi, posso solo dire, in sintesi, che dopo questo congresso, se non vogliamo continuare a vivere nella nostra precarietà politica, Sel a tutti i livelli deve fare un grosso investimento oltre che, come ho detto prima, in curiosità ed esplorazione, anche nelle risorse umane (perdonate, compagni, il termine aziendale) valorizzando quindi seriamente i compagni e le compagne, dando loro strumenti di comprensione e di formazione, individuando chi dovrà occuparsi di cosa sulla base del merito, della onestà intellettuale e con un approccio laico e non con l’esercizio stanco e utilitaristico della distribuzione delle caricheQuesto non per costruire un partito di quadri senza massa, ma perché solo attraverso una coralità di voci ed una collegialità nelle decisioni si costruisce un partito, che liquido o pesante che sia, ha bisogno di una assunzione vera di responsabilità da parte di chi lo dirige.

E la responsabilità non passa attraverso la promozione dell’IO, ma attraverso la capacità di lavorare per un obiettivo comune da raggiungere tutte e tutti insieme. Perché a differenza di una logica aziendale che ha preso piede negli anni, e che a ha contribuito in parte alla crisi del nostro sistema industriale e produttivo, qui siamo sì, tutti utili, ma in special modo tutti indispensabili: con le nostre diverse sensibilità, con le nostre storie umane, con tutti i nostri limiti che forse riusciremo a superare se ci daremo di più la possibilità di stare insieme, e di vivere la nostra esperienza politica non come una missione, ma come l’unico modo possibile per cambiare realmente le nostre esistenze.

Domenico Papaleo, Bologna 30 Novembre 2013

* Il diritto ad avere diritti, di Stefano Rodotà / Laterza 2012


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