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Gli schiavi del terzo millennio

Creato il 01 maggio 2013 da Speradisole

GLI SCHIAVI DEL TERZO MILLENNIO

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[Made in Italy Il lato oscuro della moda – Giò Rosi - Anteprima Edizioni.

La schiavitù esiste ancora, nelle fabbriche cinesi ma anche nel cuore della vecchia Europa. Gli schiavi del terzo millennio sono lavoratori della moda, di un'industria che confeziona lussuosi capi di abbigliamento per le vetrine delle nostre eleganti boutique. "Made in Italy" racconta un mondo di intollerabile miseria e sopraffazione, e lo fa con completa cognizione di causa, poiché l'autore (che scrive, come è ovvio, sotto pseudonimo) lavora da anni in questo settore, ha conosciuto carnefici e vittime, ha visto con i propri occhi gli squallidi luoghi in cui si produce gran parte del nostro lusso. Giò Rosi ci accompagna nelle fabbriche di uno Stato fantasma fondato sull'illegalità chiamato Transnistria. poi in Romania (dove, se gli indigeni pretendono troppo, si possono sempre importare operai dalle zone più povere dell'Asia), in una prigione bulgara convertita in fabbrica senza che si noti troppo la differenza, e in molti altri luoghi ancora. Dopo aver letto questo libro, sarà più difficile comprare certi costosi capi "firmati" facendo finta di niente. Alla ribellione morale si aggiungerà l'amara consapevolezza che questo vergognoso mercato di esseri umani non solo favorisce i calcoli di imprenditori senza scrupoli, ma danneggia l'intera industria italiana e il consumatore. Sotto la griffe si nasconde l'antica realtà dell'avidità umana.]

LA CHIMICA E’ DI MODA

Troppa chimica nell’armadio,  L’abbigliamento nasconde oltre mille sostanze sintetiche che – soprattutto nelle zone di maggior frizione e sudorazione – vengono ceduti alla pelle e possono causare dermatiti, disturbi respiratori e addirittura tumori.

Al primo posto ci sono i pesticidi, diserbanti, fertilizzanti,antiparassitari usati nella filiera produttiva delle fibre di derivazione animale e vegetale, come cotone, lana, seta e lino.

Il bagno nella chimica  prosegue con i ftalati usati per realizzare le stampe plastificate, i prodotti per il fissaggio (tra cui molte resine che liberano formaldeide) – cioè quei trattamenti che conferiscono sofficità, mantenimento della piega, impermeabilità o resistenza dei colori – e termina con la “spruzzata” di conservanti, antiuffa, ignifuganti e biocidi usati durante il trasporto. Per tutte queste sostanze esistono norme stringenti dell’Ue che ne limitano le concentrazioni a cui si aggiungono i controlli alla dogana per i prodotti extra-europei.

BIANCO E’ MEGLIO

Un’altra minaccia arriva dai coloranti. In materia sono state emanate molte legislazioni nazionali  che hanno bandito quelli contenenti le ammine aromatiche, rivelatesi cancerogene. I coloranti tollerati  per legge possono comunque  causare dermatiti  allergiche o irritative.

Il problema sta nel fatto che variano continuamente  e molti di essi non sono compresi  negli elenchi ufficiali. I colori più a rischio sono i cosiddetti “dispersi” (giallo, blu, rosso, arancio) impiegati per tingere fibre sintetiche  o miste. Sono da preferire  i toni chiari e il bianco, soprattutto per l’intimo, evitando gli abiti troppo stretti  che aumentano lo sfregamento sulla pelle. In caso di reazioni allergiche  è bene consultare il medico di fiducia segnalando il caso al Nas  e all’Associazione  tessile  e salute (www.tessilesalute.it)) che da anni monitora  sistemi e sostanze usati nel tessile.

RIMEDI CASALINGHI

La maggior parte dei pericoli si elimina con l’acqua. È buona regola lavare i capi nuovi, prima di indossarli, così come all’aria per un’intera giornata quelli lavati a secco. Occhio anche all’etichetta prima dell’acquisto, che per legge deve dichiarare con quali fibre è fatto il capo. Quando non vengono indicate per esteso, le fibre sono espresse in sigla: le più diffuse sono. Co (cotone), Pes  (poliestere), Li (lino), Pa (nylon), Wo (lana), Pan (acrilico), Se (seta), Pp (polipropilene), Cv (viscosa), El (elastan).

È meglio scegliere le fibre naturali sia per permettere alla pelle una migliore traspirazione sia per evitare di imbattersi nei colori dispersi.

COMPRARE EUROPEO

Privilegiare il Made in Italy è parzialmente un’illusione perché la legge 55/2010 (la cui efficacia è stata, tuttavia, sospesa di una circolare dell’Agenzia delle dogane) consente di apporre questa dicitura sui prodotti tessili per i quali almeno due delle fasi di lavorazione abbiano avuto luogo in Italia.  Per un capo fatto integralmente fuori basta farlo stirare e attaccarci i bottoni a Milano o metterci un tessuto di provenienza nostrana (sarà poi vero?) per fargli avere a tutti gli effetti l’etichetta Made in Italy. In ogni modo è meglio scegliere prodotti realizzarti in Italia e in Europa, perché il loro impatto ambientale è controllato e regolato. In aiuto possono venire alcuni marchi che indicano il rispetto di precisi criteri ecologici, come Ecolabel e Oeko-Tex – Fiducia nel tessile. Non fa male  anche una sbirciata al sistema Rapex, sul sito http://ec.europa.eu, che  periodicamente segnala i prodotti di consumo dichiarati pericolosi.

Un interessante libro inchiesta “Made in Italy – Il lato oscuro della moda” scritto da Giò Rosi (pseudonimo di un addetto ai lavori nel settore) racconta i retroscena della moda italiana: schiavi moderni piegati dieci ore al giorno sulle macchine da cucire, abiti che devono costare poco alle aziende a scapito della qualità. Una ragazza rumena guadagna circa 3.000 euro l’anno, una bulgara ne prende 1.700, una della Transnistria  ne porta a casa 1.300, forse 1.500 compresa la tredicesima, se la prende. Altri bacini di miseria sono in Europa dell’Est, Nord Africa e Asia, dove si trova l’ottanta per cento dei prestigiosi nomi del Made in Italy.



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