Licia Satirico per il Simplicissimus
Pare risalga a Jack Benny la celebre frase per cui “a scout troop consists of twelve little kids dressed like schmucks following a big schmuck dressed like a kid” (“un gruppo scout è composto da dodici ragazzini vestiti da cretino a seguito di un grande idiota vestito come un bambino”). Oggi sappiamo che il big schmuck può essere solo un eterosessuale. Qualcuno potrebbe sentirsi persino sollevato dall’apparente inconciliabilità tra il mondo scout e taluni orientamenti sessuali: ciò non toglie che gli atti del seminario Agesci sull’omosessualità dei capi scout, pubblicati in questi giorni (qui), si collochino tra le esternazioni medievali del blog Pontifex e le tesi di certi criminologi da salotto che assimilano gli omosessuali ai disabili.
I relatori sono padre Francesco Compagnoni, assistente ecclesiastico presso il Movimento adulti scout cattolici italiani, e i due psicoterapeuti Dario Contardo Seghi e Manuela Tomisich. Padre Compagnoni si rivela subito un uomo di ampie vedute nell’affermare la diversità tra omosessualità e pedofilia: da qui la necessità di non nutrire pregiudizi – vera excusatio non petita – verso la chiesa cattolica (meglio pedofili che gay?). Il sobrio approccio del religioso è comparatistico-apocalittico. Nel Regno Unito una legge ha equiparato i diritti umani delle coppie omo ed eterosessuali, ma per fortuna degli scout noi siamo al riparo da questo rischio: «sarebbe come se un gruppo religioso ammettesse la tortura come pratica lecita. La società civile non può ritenere ammissibile la negazione di un diritto fondamentale (in questo caso all’integrità fisica contro la pratica della tortura) in nome della religione». Dopo il richiamo rituale alle Sacre Scritture, padre Compagnoni rivela che gli omosessuali, potenzialmente depravati, sono tenuti alla castità. Sono persone con gravi problemi ormonali, cerebrali e sociali: solo l’astinenza le rende innocue. Meglio consultare al più presto lo psicologo: i capi omosessuali rappresentano un problema educativo, trasmettendo ai giovani scout una “possibilità positiva di orientamento sessuale”.
Mentre la Tomisich si trincera dietro l’aggettivo “complesso” per definire il comportamento omosessuale, Contardo Seghi – proveniente dal mondo scout – è più conciliante e persino ottimista. Per lo psicoterapeuta l’omosessualità è, il più delle volte, una condizione reversibile di origine traumatica: non una malattia ma un equivoco, che può essere facilmente risolto senza danni. Seghi, nomen omen, invita con evidente cognizione di causa a diffidare di certe fantasie onanistiche e conclude con un messaggio positivo: frenare le pulsioni omosessuali si può, perché molti gay sono affetti da eterosessualità latente. C’è ancora speranza a questo mondo: il capo scout può essere una buona guida a patto che non riveli il proprio orientamento sessuale, facendo esercizio di continenza prima di ritrovare se stesso sulla retta via.
Prevedibili le reazioni indignate di associazioni e comunità gay. Più interessante, o desolante a seconda dei punti di vista, è il moderato dissenso sorto in seno all’Agesci sulle linee guida nate dal seminario in questione. Su Facebook molti scout prendono le distanze e qualcuno minaccia di lasciare il gruppo, ma la Agesci difende – minimizzandole – le conclusioni dell’incontro di studi, che avrebbe solo inteso “avviare una riflessione non preconfezionata” sul mondo dell’omosessualità.
Sarà, ma l’impressione è che di giudizi preconfezionati, precotti, scongelati e rimescolati ce ne siano fin troppi. La depatologizzazione dell’omosessualità sancita nel 1990 dall’OMS non è bastata: ce ne accorgiamo ogni giorno, combattendo una battaglia impossibile per la pari dignità di persone che non possono sposarsi, adottare, scegliere di destinare i beni al proprio compagno e nemmeno chiamare pubblicamente “compagni” i loro affetti. Eppure nel seminario sull’omosessualità dei capi scout c’è qualcosa di terribilmente fastidioso: è, ancora una volta, la pretesa di dare al pregiudizio una veste scientifica, di spacciare l’omosessualità per un disturbo della personalità che pregiudica le attitudini educative del “cattivo maestro”, minandone l’affidabilità e la moralità.
Questi atteggiamenti pre-secolari di condanna sono troppo ricorrenti per poter essere considerati risibili, sebbene ridicoli. Sono indegni nelle loro accuse di indegnità.
Speriamo, a questo punto, che la comunità scout senta il bisogno di riaffermare la dignità della persona a prescindere dagli orientamenti sessuali o religiosi. Diversamente, non resta che consigliare la psicoterapia a chiunque trascorra il proprio tempo libero in bermuda montando ambigue, insidiosissime tendine canadesi.