
Sentirmi chiamare papà, e da lontano, e in quella esposta porzione del mondo, in quella incerta dimensione del tempo dove la mia infanzia ancora galleggiava, quasi mi atterrì. Come un’accusa. Un richiamo all’ordine. Io – non altri – sono quelle due sillabe.
Questo padre guarda al mondo adolescenziale con spirito d'osservazione e senso critico. Non giudica, ma riferisce con stile il vuoto nel quale questi giovani si muovono, la povertà di contenuti del loro mondo, la superficialità con cui lo affrontano. Loro sono "gli sdraiati", quelli perennemente pigri e demotivati, assorbiti nel loro ipermondo tecnologico, vivi solo dinanzi ai loro pseudoeroi o nella corsa all'acquisto dell'ultima felpa costosissima. Lo scenario è avvilente ed è tale ancor più nella misura in cui un adulto vuole capire e cercare una soluzione. La domanda che ci si pone è se esiste la possibilità di un punto di incontro e non resta che la speranza, tenace, che qualcosa possa cambiare.
La proposta di un'escursione in montagna, che il figlio si è sempre rifiutato di fare, lo induce a non mollare, a non arrendersi, a insistere, a sperare a oltranza. Il lieto fine è un po' quello di una favola moderna, che ritengo poco credibile ma efficace da un punto di vista narrativo. Forse c'è un barlume di speranza di recuperare questi ragazzi e probabilmente il solo modo è essere genitori che sappiano realmente esserlo, creativi nella loro funzione, presenti e non passivi.
Luz

Fotografia di Mario Fermante