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Gli sdraiati siamo anche noi. Non credo nell'evoluzione della specie, ai passaggi generazionali che portano e lasciano via via, nuove tavole scese dal monte Sinai. Perché vedere e vivere il mondo procedendo orizzontalmente, è anche affare nostro. Lo è stato, se preferite.
"Ma dove cazzo sei? Ti ho telefonato almeno quattro volte, non rispondi mai. Il tuo cellulare suona a vuoto, come quello dei mariti adulteri e delle amanti offese. La sequela interminata degli squilli lascia intendere o la tua attiva renitenza o la tua soave distrazione: e non so quale sia, dei due "non rispondo", il più offensivo. Per non dire della mia ansia quando non ti trovo, cioè quasi sempre. Ho imparato a relegarla tra i miei vizi, non più tra le tue colpe. Non per questo è meno grave da sopportare".
Con questo incipit Michele Serra, già si vuole spogliare della convenzionale virilità tipica del padre-soldato, quello che mai tentenna e nulla teme. Non esistono gradi o medaglie d'onore, nell'essere genitori. Esiste solamente la paura costante di sbagliare, di non essere all'altezza. Esiste il momento in cui ti chiedi se fare il genitore rientri nelle tue attitudini, oppure no. Esiste anche in un padre, la parte isterica e fragile, di una madre. Esiste un groviglio di sensazioni che accomuna fatalmente, padri e madri, genitori e figli, vecchie e nuove generazioni.
Nonostante l'ironia graffiante e la disillusa osservazione di una gioventù "bruciata", rimane, di questo piccolo romanzo intimo, soprattutto il sincero impulso che auspichi un cambiamento. E tutto ciò che di epico non sfiora le pagine de Gli sdraiati, si accenna nei capitoli di quella che sarà l'opera ultima e definitiva, La grande guerra finale. Ambientata in un futuro non troppo lontano, l'epopea immaginata da Serra è un po' l'epilogo che tutti vorremmo. Laddove incombe una macchia grigia, destinata ad espandersi, travolgendo macchie ancora brune, dorate e piene di vita, inizia a scorgere una possibilità nuova. Per vincere la guerra, per sopravvivere alle responsabilità di tutti i giorni, per non buttare mai in maniera definitiva la nostra vita, è necessario comunicare. Abbattere le barriere che creano curve contrapposte, nord e sud, bianchi e neri, vecchi e giovani. Affrontare con serenità ogni passaggio. Tuo figlio un giorno verrà da te e ti dirà qualcosa a proposito di un tatuaggio già bello che deciso. Tu non capirai fino in fondo, i tatuaggi probabilmente ti faranno schifo, ma non importa. In fondo tutto si deteriora col tempo, anche le statue e le opere d'arte. Tu proverai a tenere a bada le domande che farebbero di te un vecchio borghese di sinistra, uno che comunque vada, non capirebbe le risposte di un diciottenne. E allora continuerai a chiedere a tuo figlio di accompagnarti su "quel colle", sperando che lui lo faccia, anche contro voglia. Perché ne hai bisogno.
Questi sbandati che vivono biascicando parole ed emozioni, senza l'apparente bisogno di essere compresi. Lungo interminabili attese al termine delle quali aleggiano strane felpe firmate. Gli sdraiati se ne vanno in giro per la casa aprendo sportelli, spostando cose e avviando ogni volta una nuova impresa che, puntualmente, non sarà conclusa. Lasciano tutto in sospeso, perfino sé stessi. Ma qualcuno dovrà pur comprendere, questo stare al mondo di sbieco.
Magari una volta per caso, sorprendi quel tizio sdraiato a guardare le nuvole, e l'immagine somiglia tanto a un dipinto incantevole, confortante. Capisci d'un tratto che la guerra la devono vincere in ogni caso questi piccoli reietti, condannati a una sorte ben più tragica del tuo voler a tutti i costi, essere genitore perfetto.
Anche perché, promemoria per i più distratti, non lo si è mai.
Consigliato? Assolutamente sì.Perché? Perché il suo stile asciutto e ironico, non meno disperato a volte, coinvolge fin da subito il lettore. Privo di fronzoli, schietto. E' un libro che aiuta ad affrontare con serenità, ogni passaggio.
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