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Gli speciali: elisabetta bricca torna con "d'amore e di ventura" in un'appassionante storia d'amore rinascimentale

Creato il 23 luglio 2010 da Alessandraz @RedazioneDiario
Cari lettori,
questo speciale è dedicato ad un'autrice italiana di romance storici. La bravissima Elisabetta Bricca, ormai un'amica di deliri notturni insieme a Stefania, mi ha dato la splendida opportunita di leggere il suo romanzo in anteprima e ovviamente non ho di certo rifiutato e sono rimasta lusingata dalla sua offerta. Ormai mi considero una lettrice anche di romanzi rosa visto che è ormai da un pò che coltivo questa passione e per di più in questo ultimo periodo ho avuto il piacere di conoscere tante autrici romance italiane che sono una più meravigliosa dell'altra sia come scrittrici che come persone. E' davvero un piacere per me poterle conoscere così da vicino e non solo attraverso i loro romanzi e i loro personaggi. E chissà magari un giorno anche incontrarle. Mai dire mai.
Introduzione di Stefania Auci
Scrivere di Elisabetta Bricca non è semplice. E' un'amica e un'autrice che stimo immensamente: per questo motivo, rischio di essere poco credibile. Tuttavia, cercherò di essere oggettiva e di puntare l'attenzione sulle sue doti di scrittrice. Elisabetta è, prima di tutto, un'autrice raffinata ed elegante. Ha uno stile potente,che ha la consistenza del velluto e la luminosità della seta. Leggere un suo romanzo è un'esperienza che coinvolge tutti i sensi poichè lei, con la sua magia, sa portarti "dentro" le storie che scrive.
  Con "D'amore e ventura", quest'autrice ha sfidato i canoni del romance classico per offrirci un romanzo straordinario. Mentre in Sangue ribelle (il suo romanzo d'esordio) i personaggi erano scanzonati e allegri, in questo testo si respira un'atmosfera decisamente drammatica. Cesare è un personaggio che non si dimentica e che rimane marchiato a fuoco nella memoria e nel cuore del lettore: è forte, coerente e, sopratutto, non si rammollisce dinanzi alla donzella di turno. Viola, dal canto suo, è una donna del suo tempo: non una virago, non una creatura svenevole, ma una donna coraggiosa che sa mettersi in gioco per il proprio uomo.
  Spesso tacciano le autrici di romance di scrivere un genere spazzatura ma non è così. E nel caso di Elisabetta, ciò diventa ancora più vero. Il suo non è un romance puro in cui lui ama lei, si fa (tanto) sesso e si vive felici e contenti dopo aver eliminato il cattivo di turno. Questo è un romanzo completo, dove i dettagli storici sono curati con passione e si sente... si "legge" quanto ci sia di quest'autrice.
  Elisabetta Bricca è una donna colta e appassionata. Ha un carattere testardo, impulsivo ma è anche una delle persone più generose che conosca. In ogni frase dei suoi libri ritrovo il suo modo di essere, così meravigliosamente autentico, la sua umanità, la sensibilità e la dolcezza. Sì, in Viola, in Cesare, in Filippo vi sono parti di lei e del suo mondo. Tra le pagine, si avverte il suo grande amore per la scrittura. E' un brivido che scorre sottopelle, dalla prima all'ultima pagina. 
  Le auguro di cuore ogni gioia e ogni soddisfazione professionale, e non solo per questo volume, ma per tutti quelli che verranno. Perché se lo merita. Lo merita davvero.
Il romanzo in uscita il 3 agosto in edicola
Trama:Cesare Mocenigo è un capitano di ventura, nobile, scaltro e affascinante come un angelo nero. Viola Ripamonti Sforza è la bellissima e coraggiosa nipote del suo peggior nemico. Eppure, benché il dolore lo abbia reso un uomo tormentato e pericoloso, quando la incontra Cesare comprende di avere ancora un'anima. E insieme a lei, sullo sfondo dell'aspra guerra tra Venezia e Milano, tra le battaglie, gli intrighi e lo splendore del Rinascimento, sarà protagonista di una struggente storia di passione e redenzione, in una lenta risalita verso la luce durante la quale tutto può accadere, se a comandare è il cuore.
La mia opinione:
Sullo sfondo di uno dei periodi storici più affascinanti della storia italiana quale è il Rinascimento, Elisabetta Bricca ci presenta un romanzo dalle tinte rosa che intreccia i suoi fili con una trama passionale e tumultuosa quanto sanguinaria e all'insegna di battaglie per la supremazia e per il potere. 
  Destino beffardo, quello di Cesare Mocenigo. Un giovane veneziano che ha tutto: bellezza, donne, soldi e potere. Ma in una notte tutto questo è destinato a cambiare. Per sempre. Le sue mani sono lorde del sangue dei suoi familiari, nessuno è sopravvissuto alla strage delle persone che più amava al mondo. I Montefeltro, uccidendo brutalmente la sua famiglia, hanno privato Cesare dei sogni e delle speranze di un giovane rendendo la sua anima più nera della notte.
Ora Cesare è votato alla vendetta, il suo cuore è freddo e niente potrà più risvegliarlo.
  Da giovane rampollo di una delle più potenti ed influenti casate della Serenissima, Cesare Mocenigo diventa un temerario capitano di ventura, affascinante e temuto come nessun'altro. Non sarebbe più tornato ad essere il ragazzo spensierato dei tempi passati: la vendetta e l'ira ormai l'avevano contagiato come un veleno mortale. Solo una bambina indifesa può far breccia nel suo cuore di pietra. Cesare si traformerà in un angelo nero, un angelo vendicatore arrivato per salvare Viola dallo scempio del suo corpo. Per questa fanciulla indifesa quella figura spavalda e austera rimarrà per sempre nel suo cuore custodita gelosamente tra i suoi ricordi più cari: egli è l'uomo che l'ha salvata da un destino crudele riportandola alla salvezza.
  Ma la realtà è ben diversa. Con gli anni Viola ha coltivato le sue speranze e i suoi sogni figurandosi nella mente un'immagine di Cesare poco attinente al vero e quando finalmente dopo 11 anni di attesa lo rivede ne rimane colpita... non è più l'uomo che ricordava, l'uomo che la sua mente aveva trasformato in un salvatore.
  Il loro è un amore passionale, vendicativo, feroce... che sboccia in un istante grazie ad uno sguardo sfuggente, un tocco rubato. Niente di romantico e gentile c'è tra loro ma solo un sentimento che sconvolgerà i loro animi. Un'emozione potente e tumultuosa come una tempesta e loro possono solo rimanere inermi in balia di essi e farsi trascinare dai loro stessi sentimenti.
  Tra intrighi di corte e giochi di potere, con numerosi cambi di scena e ambientazione Elisabetta Bricca crea un romanzo ricco di emozioni contrastanti e crudeli che agitano gli animi dei due protagonisti Cesare e Viola. Due caratteri forti e indomiti che per nessun motivo vogliono sottostare al volere altrui e che nell'altro trovano la persona che li completa e che li capisce. Bellissima l'ambientazione storica. Molto curata e attenta ai dettagli che evoca perfettamente l'atmosfera del tempo, gli usi e i costumi e le realtà storica della società del XV secolo. L'immaginario dell'autrice si intreccia perfettamente alla storia creando un mix conturbante che sconvolgerà il lettore trasportandolo nelle atmosfere atmosfere sfarzose e senguinose di un tempo lontano. 
  Devo complimentarmi con l'autrice per l'assoluta bellezza delle descrizioni dei paesaggi che risultano molto suggestive ed evocative anche se, a mio parere, potevano essere inserite maggiormente per caratterizzare alcune città come Urbino, Milano che ha mio parere sono state poco messe in rilievo se non dagli eventi storici. La cosa però che più ho apprezzato di tutte è l'introspezione dei personaggi che è davvero magistrale. Soprattutto Cesare, che è un personaggio davvero difficile da gestire sia per l'epoca sia per la sua situazione di disperazione, Elisabetta lo sa gestire bene e non scade mai nel banale o nelle controversie. Cesare è un anti-eroe che non conosce redenzione perchè è votato alla vendetta personale per un torto subito. Nonostante trovi l'amore in Viola la sua natura non cambia ed è questa la novità. Molte volte nei romance troviamo personaggi maschili che incarnano una parvenza di un modello negativo ma in realtà poi quando trovano l'amore ritrovano nello stesso momento anche la retta via. Con Cesare non è così perchè il suo io, il suo carattere resta il medesimo nonostante riesca con il tempo e con il protrarsi del desiderio ad estrernare il suo amore e il profondo affetto che lo lega a Viola.
E' il primo romanzo che leggo di Eli e quindi non posso paragonarlo alla sua prima opera però già da subito appena ho letto l'estratto iniziale sono rimasta interdetta dal suo bellissimo stile di scrittura. Molto diretto ed incisivo che cattura letteralmente il lettore lo trascina in un fortice selvaggio di emozioni potenti e contrastanti. Assolutamente consigliato a chi ama le storia d'amore crudeli, passionali e dai sentimenti contrastanti.
IMMERGIAMOCI NELLE ATMOSFERE E NEI LUOGHI DEL ROMANZO
Alcuni luoghi non sono stati nominati ma sono citati solo quelli più significativi
"In una fredda alba della campagna lombarda, le truppe viscontee e quelle della Serenissima Repubblica di Venezia si scontravano in una sanguinosa battaglia che decretava la vittoria di Milano."Così prende avvio il romanzo di Elisabetta, con la battaglia nella Valle Imagna in Lomabardia che decreta la vittoria a Milano. Il giovanissimo Federico Montefeltro uccide senza pietà il conte Mocenigo durante la battaglia e gli assicura che la sua famiglia verrà sterminata e che il suo giovane figlio Cesare non potrò più vendicarlo. Ma non so che così ha causato la sua disfatta perchè Cesare uscirà indenne dal massacro, almeno fisicamente perchè il suo cuore ne è uscito distrutto e l'unica cosa che lo anima e che potrò placarlo sarà la vendetta.
"Sopra la laguna lucente, Venezia si stagliava come una colonna maestosa che emergeva dallo specchio delle acque. Era magnifica, potente, corrotta e appariva, tra le isole, come una regina tra uno stuolo di principesse. Venezia era la cortigiana d'Europa, splendida e sfolgorante d'oro come una dama ingioiellata."
E' proprio nella città di Venezia che avviene il radicale cambiamento di Cesare che lo porterà ad una disperazione assoluta per la morte dei suoi cari ma è solo grazie ad esso che incontrerà finalmente l'amore.
"L'apocalisse si era abbattuta sulla città di Bergamo: le case crollavano sotto i colpi delle balestre e dei mortai, i magazzini bruciavano, l'aria era satura di fuliggine e lapilli incandescenti piovevano dal cielo, come una pioggia di fuoco, abbattendosi ovunque e appiccando incendi serpeggianti."
La città di Bergamo fa da sfondo al primo incontro tra Viola e Cesare dove il temerario soldato di ventura si trasforma in un angelo vendicatore venuto a salvare una bambina indifesa.
"Il salone viveva delle risate e del cicaleccio sommesso degli invitati che, tra sbuffi di sete, argenti e veli, sfavillio di gemme ed effluvi nauseabondi e dolciastri, sedevano al grande tavolo, in attesa dell'inizio del ricevimento."Proprio in occasione del ricevimento nel palazzo della casata dei Montefeltro a Urbino avverrà l'incontro dopo 11 anni dall'assedio di Bergamo di Cesare e Viola.
"Sigismondo Malatesta, potente signore di Rimini, sedeva sulla sponda dell'imponente letto a baldacchino dalle colonne a testa di leone. I suoi occhi dal taglio quasi orientale si posarono sul corpo bianco e languidamente abbandonato sulle coperte di broccato." La rocca malatestiana a Rimini è la sede del potente Sigismondo Malatesta e della sua amante Isotta degli Atti. Sigismondo è ricordato perchè si dedicava a culti pagani e messe nere ed era considerato l'incarnazione dell'uomo dell'epoca.
"Era una rocca posta in posizione stategica con boschi e pareti scoscese alle spalle, strapiombi ai lati, acquistata da Cesare con il denaro ottenuto come riconoscimento per le eroiche spedizioni che lui aveva condotto negli anni"
Nella rocca del Conte Nero nelle Marche, Viola sarà tenuta "prigioniera" ma il rivolto del suo soggiorno insieme a Cesare avrà risvolti inaspettati animati dal fuoco ardente della passione.
"il cielo era limpido, quel mattino, di un azzurro accecante e il sole rendeva la giornata primaverile particolarmente afosa."Nel castello di Vigevano in Lombardia, Viola, ospite dallo zio Francesco Sforza duca di Milano, farà una scoperta che cambierà per sempre la sua vita legandola indissolubilmente a Cesare con il filo rosso del sangue.
INTERVISTA ALL'AUTRICE
-Ciao Elisabetta è un piacere per me averti qui e poterti intervistare per il mio blog Diario di Pensieri Persi. Ti va di presentarti ai lettori che ancora non ti conoscono?
Ciao Alessandra, ciao a tutti. E' davvero bello essere in questo spazio e ti ringrazio per l'ospitalità. Cosa dire di me? Forse, tre aggettivi potrebbero bastare: lunatica, irrazionale, passionale. Non mi considero una scrittrice, ma una cantastorie, una narratrice... forse. Mi piace raccontare storie, tutto qui.
-Prima di essere una scrittrice sei anche una lettrice di romanzi rosa. Cosa pensi di questo genere? Perchè lo leggi?
Leggo pochissimi romance e altamente selezionati. Non compro tutto ciò che esce e che ci propone il mercato. Prediligo i romanzi che abbiano una buona ricostruzione storica, condita da un bel pizzico d'avventura. Le dame timide e insicure, i libertini, all'apparenza indifferenti, ma tutti smancerie in sostanza, non mi interessano. Cerco emozioni forti e belle evasioni in altre epoche storiche. Questo mese ho preso "Al cospetto della regina" che fa parte della trilogia Tudor della Wiggs.
-Cosa rispondi a chi giudica la letteratura rosa come di serie B?
Che sono dei poveri imbecilli... posso? (acconsento :D)
-In un recente articolo comparso sulla mia biblioteca romantica si dice che molti studiosi siano concordi nell'affermare che le lettrici di romanzi rosa riescano ad entrare più facilmente nel 'mood' giusto e in generale a fare più spesso sesso con i loro partner di tutte le altre. Tu cosa ne pensi?
Come sociologa posso dirti che la probabilità potrebbe essere alta, ma certo non si può generalizzare. Certo è che il romance aiuta a vedere la vita attraverso un filtro rosa, di ottimismo e lieto fine.
-Quando e come è nata la tua passione per la scrittura? Quando hai capito che questa tua passione poteva diventare di più di un semplice hobby?
Come si fa a rispondere... è come cercare di risolvere la famosa questione del se prima sia nato l'uovo o la gallina. Scrivo, forse, da sempre... rime, pensieri sparsi, romanzi adolescenziali, storie più complesse. La scrittura mi ha sempre accompagnata, ma solo quando ho finito la prima stesura di "Sangue Ribelle" ho tentato la strada della pubblicazione, perché credevo molto in quel romanzo.
-Arriviamo finalmente a parlare del tuo nuovo romanzo che sarà in edicola tra pochi giorni. E' ambientato nel XV secolo durante il rinascimento e ha come protagonista un temerario capitano di ventura. Come mai questa scelta che esula dalla solita ambientazione romance?
Perché per natura sono un bastian contrario e amo percorrere strade poco battute. Più l'impresa è ardua, più mi diverto. Il Rinascimento è un periodo molto affascinante e complesso, un'era di splendori e miseria, di poesia e guerra. Come potevo resistere a questo richiamo?
-Nel tuo romanzo l'ambientazione è molto dettagliata e minuziosa, molto presente nel testo. Vuoi raccontarci come ti sei documentata per arrivare a descrivere quest'epoca?
Mi sono molto documentata. Se così non fosse, scriverei romance contemporanei e non storici. Non faccio parte del filone di scrittrici che considera l'ambientazione solo un paravento attraverso il quale sviluppare la storia. Credo che uno degli aspetti più affascinanti di questo lavoro, sia proprio la ricerca, e non parlo solo di mera cronologia storica, ma di totale immersione negli usi e nei costumi dell'epoca, nella mentalità (per quanto sia possibile) di chi visse gli eventi.
-Qual è stata la tua ispirazione? Cosa ti ha spinto a scrivere questa storia?
Il barbablù francese Gilles de Rais, vissuto nel XVI secolo. Un personaggio fosco e affascinante. La storia è venuta da sé, ma prima di tutto è venuto Cesare... ciò che mi ha spinto a voler scrivere questa storia è stato proprio il desiderio di immergermi nel lato oscuro dell'animo umano.
-Sei una che va controcorrente. Sia per l'ambientazione inusuale ma anche per la scelta non solo del protagonista maschile ma anche per la giovane Viola. Come mai hai scelto una protagonista così coraggiosa e indomita, così propensa a far valere la sua posizione di donna? Perchè questo cambiamento quasi radicale dato che solitamente nei romanzi rosa si trovano protagonista molto più timide e introverse oppure sensuali e passionali?
Viola ha l'entusiasmo e l'audacia della sua giovane età ed è una figura che da uno stato di accettazione della propria posizione privilegiata, passa alla ribellione pura. Una contestazione che nasce dal desiderio dell'affermazione di sé e del proprio libero arbitrio. D'altronde, il Rinascimento prospera di donne indomite, basti pensare a Caterina Sforza, la Leonessa di Rimini.
-Nel romanzo troviamo numerosi cambi di scena e l'azione si sposta in diverse città. Come sei riuscita a destreggiarti tra così tante ambientazioni diverse? Qual è stata la maggior difficoltà di questa scelta?
Scrivo solo di luoghi che conosco bene, ma la maggiore difficoltà è stata senza dubbio la scansione cronologica degli eventi e, duque, come guidare il lettore per mano attraverso i vari scenari, senza perdere il filo della storia.
-Hai caratterizzato al meglio i sentimenti e le emozioni che agitano gli animi dei tuoi protagonisti. E' stato facile o difficile per te? Soprattutto il personaggio di Cesare che ha un animo tormentato e vendicativo come sei riuscita a immedesimarti nella sua situazione per descrivere al meglio la sua indole e i suoi pensieri?
E' stato molto difficile immedesimarsi in un protagonista del genere: uomo, uomo del XV secolo, capitano di ventura, e mente traumatizzata. Ho pensato a come avrei reagito io e ho esasperato. Mi sono anche documentata leggendo le biografie dei capitani di ventura dell'epoca, visitando i luoghi dove hanno vissuto, amato, combattuto. Mi spiace solo di non aver potuto approfondire di più, avrei fatto Cesare ancora più fosco.

-Quanto e come sei cambiata dalla scorsa pubblicazione del libro "Sangue Ribelle"?
"Sangue Ribelle" l'ho scritto per gioco, senza pensare molto allo sviluppo dell'intreccio, ai personaggi. Amo molto quel libro, ma posso considerarlo un divertissement. E' naturale che ora ho più esperienza rispetto a prima e ti assicuro che lavorare con gli editor Harlequin ti forma e ti isegna molto. Diciamo che piano piano sto trovando la mia strada.
-Quali sono le sostanziali differenze tra i due romanzi?
Sono agli antipodi, soprattutto per quanto riguarda i protagonisti maschili. "Sangue Ribelle" è una bella avventura, "D'amore e di ventura" presenta personaggi con maggiore introspezione.-Cosa ti aspetti da questo nuovo romanzo? Quali sono ora le tue speranze e i tuoi timori?
Timori ne ho tanti, aspettative poche. L'unica cosa che mi auspico è che questo libro possa suscitare emozioni, perché io c'ho messo davvero il cuore dentro.
-A me piacciono molto le news quindi cosa ci vuoi raccontare dei tuoi progetti futuri. Mi ha già accennato qualcosa dell'irlanda e dell'ambientazione che hai scelto. Ce ne vuoi parlare più dettagliatamente? Oltre a questo romanzo che presenterà anch'esso un'ambientazione inusuale c'è qualcos'altro in programma?
Sì, sarà un romanzo di grandi valori e ideali, ambientato durante la Grande Carestia che colpì l'Irlanda dalla metà del XIX secolo, all'alba della nascita dello Sìnn Fein e delle lotte indipendentiste. Lui, Bruce Cavendish, è un anglo irlandese, nipote del Marchese di Donegall, con idee socialiste, lei, Fionnula O'Rìordan, una maestra, figlia di contadini, che milita nelle file della Fratellanza Feniana.
Il romanzo a seguire sarà un noir, un historical crime, ambietanto nella Londra Vittoriana. Il protagonista è un investigatore strampalato e un po' feticista con la passione per i gatti e le giarrettiere femminili, la protagonista una pittrice dalla metà del volto bruciata. Il tutto condito da suspence, mistero e un po' di sangue, che non guasta mai.
-Questa era l'ultima domanda Elisabetta. Vuoi aggiungere qualcosa prima di salutarci?
Voglio salutarvi con la frase di un uomo che reputo un esempio di amore e combattività. Lui era San Francesco d'Assisi e diceva questo:
"Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile."
Grazie a te e a chi leggerà per avermi ascoltata. Un abbraccio!
Booktrailer:

Estratto dal romanzo:
Valle Imagna, Lombardia

Novembre 1438
In una fredda alba della campagna lombarda, le truppe viscontee e quelle della Serenissima Repubblica di Venezia si scontravano in una sanguinosa battaglia che decretava la vittoria di Milano.
A soli sedici anni, Federico da Montefeltro era a capo di uno squadrone delle truppe viscontee che aveva riportato, in quel giorno, una vittoria schiacciante sui veneziani.
Il braccio sollevato e l'elsa della spada stretta con forza nel pugno, il giovane, dal profilo già inconfondibile, possedeva tutta la spietata fierezza di un crudele angelo vendicatore e la tempra del condottiero.
Calò di colpo l'arma e il comandante veneziano sussultò, mentre un gemito straziato gli fuoriusciva dal petto. L'uomo ricadde di schianto su un masso che s'imporporò del rosso del suo sangue, gli occhi fissi in quelli di Montefeltro.
«Mio figlio mi vendicherà» sussurrò morente.
Federico strinse la mano intorno all'impugnatura dell'arma e, facendo leva su tutto il corpo, mise a segno l'affondo finale. La lama affilata penetrò fino all'elsa, spezzando le ossa del torace del veneziano.
«Ho mandato i miei uomini a Venezia: nessuno vi sopravvivrà, Conte Mocenigo, né vostra moglie né i vostri figli!»
Ormai in fin di vita, il conte fu scosso da tremiti e, prima di rendere l'anima a Dio, una lacrima scese a bagnargli il volto.
Nello stesso momento a Venezia
Gran ballo in maschera a palazzo Ariani
«Prendetemi. Oh, sì, vi prego, Cesare!»
La dama ansimò sollevando i fianchi nascosti dall'ampia veste dorata. Ruotò la testa di lato e la fiamma ramata di una torcia ne sottolineò il profilo mascherato e le labbra tumide socchiuse in una muta preghiera di piacere.
Una figura slanciata era in piedi dietro di lei. La luce soffusa metteva in risalto, a tratti, la maschera d'argento, tempestata di diamanti, che gli copriva il volto e le braccia fasciate di velluto.
«Siete una piccola ingorda, Costanza.» L'uomo si chinò su di lei e le sollevò le gonne, scoprendo le natiche nude, sode e rotonde.
Lei gemette e aprì le cosce, mentre un mugolio sommesso le fuoriusciva dalla gola.
I rumori della festa arrivavano fin nei giardini e il pensiero che, da un momento all'altro, qualcuno degli invitati potesse sopraggiungere e scoprirli acuiva l'eccitazione dei due amanti.
«Ferma.» Il giovane mise una mano sul fondoschiena della donna e, premendo con forza, la spinse verso il bordo della fontana, in modo da farle sollevare di più i fianchi.
L'afferrò alla vita con entrambe le mani e con una lunga, potente spinta la penetrò.
La dama gorgogliò e gettò la testa all'indietro, mentre lui affondava più volte con vigore, fino a raggiungere l'estasi selvaggia.
Senza pronunciare una parola, quasi la donna non fosse più lì, si staccò da lei e cominciò a risistemarsi la calzabraca.
«Hai vinto la scommessa, Cesare.» Una voce emerse dall'oscurità e una moneta tintinnò a terra, accanto ai piedi del giovane.
Costanza sollevò di scatto il volto dai lacci del cor¬petto e le sue labbra persero colore.
Guardò con la bocca spalancata prima Cesare e poi l'altro giovane, appena sbucato da dietro un cespuglio. Il sangue le defluì dal viso. Si portò le mani alla gola come se stesse per soffocare. Le sue dita rimasero a mezz'aria. Parve ripensarci.
Sollevò una mano e fece per schiaffeggiare l'amante al viso, ma una mano le artigliò il polso.
«Su, su, signora. Appena un momento fa eravate tutta rossori, voglie e gemiti.»
«Mocenigo, siete un bastardo!»
«La mia diletta madre, a differenza della vostra, mai disertò il talamo maritale, dolce Costanza.»
L'altro giovane avanzò con lenta indolenza e la luce della luna giocò sui suoi capelli biondi.
Cesare gli sorrise, di un sorriso scanzonato, mentre la dama correva lontano in lacrime.
«Le hai spezzato il cuore, Cesare.»
«Ti ricordo che hai scommesso il tuo stiletto di rubini, Filippo.»
L'amico sospirò al pensiero di doversi separare da un oggetto così inutile ma prezioso, che suo padre aveva acquistato in uno dei suoi numerosi viaggi di rappresentanza per la Repubblica da esperti e raffinati orafi ottomani. Una scommessa, tuttavia, era pur sempre una scommessa e lui doveva mantenere la sua parola di gentiluomo.
Si slacciò la graziosa arma dalla cintola e la lanciò all'amico, che la prese al volo e se la infilò nel farsetto.
«Rientriamo, ho voglia di bere.» Cesare gli diede un colpetto con fare amichevole, poi gli cinse le spalle con un braccio e, come due discoli reduci da una birichinata, ridendo e scherzando tra loro lasciarono i giardini risalendo alla volta del palazzo.
Dentro, avvolti in preziose sete, velluti e veli, sfolgoranti di gioielli, i volti celati dietro maschere stravaganti, gli invitati danzavano alla luce soffusa dei doppieri.
Si era in guerra contro i Visconti e il Doge, insignito della carica di Vescovo di S. Marco, aveva mostrato, più di una volta, di non gradire l'ostentazione del lusso da parte delle nobili famiglie veneziane; ma gli Ariani erano tra quelli che ignoravano quel tipo di divieto e il ballo in maschera, organizzato quella sera, rappresentava l'ennesima dimostrazione della ricchezza di cui godevano.
Piramidi di frutta, cigni di marzapane glassati di canditi, cacciagione e cinghiali interi deliziavano il palato degli ospiti, accompagnati da vino del Reno servito in raffinati bicchieri di vetro soffiato di Murano.
L'ampio balcone che affacciava sul canale, oltre l'immenso portego, rosseggiava della fiamma brunita delle torce, il cui riverbero s'infrangeva contro le vetrate creando una cortina di una luminosità opalescente.
«Mi aspettavo di vedere Beatrice, questa sera. Perché non l'hai portata?» Filippo porse un bicchiere di vino a Cesare e insieme uscirono nell'aria fresca della sera.
«È ancora troppo giovane e tu sei un debosciato.» Il giovane erede del Conte Mocenigo rise e mandò giù una corposa sorsata di vino.
«Dovremmo fare una scommessa su di lei. Se vinco, avrò il tuo permesso di baciarla.»
«Dovrai rassegnarti a guardarla mentre va in chiesa» scherzò Cesare, ma Filippo ebbe la sensazione che fosse terribilmente serio.
Il rumoreggiare della folla nel salone attrasse la sua attenzione e il suo sguardo fu catturato da quello assassino, vendicativo, della fanciulla della scommessa. Fece un cenno con la testa in direzione degli invitati che danzavano.
«Ti guarda come se volesse ucciderti.»
Cesare si voltò. Dopo aver soppesato con occhio attento ma distaccato l'espressione amara della bocca della dama, le rivolse un inchino beffardo e bevve un altro sorso di vino. «È soltanto una sgualdrina che mi provocava da tempo. Ha avuto quello che meritava.» Distolse lo sguardo, annoiato.
Cesare, a volte, sembrava troppo cinico persino agli occhi di Filippo. Era sempre stato così. Si conoscevano da quando, bambini, fuggendo al controllo disperato delle balie, si rincorrevano nei vicoli umidi e sporchi di Rio Canerizzo, facendo a pugni con i figli dei pescatori. Erano diventati inseparabili come fratelli.
Cesare era cresciuto ostinato, bellissimo, viziato e adorato. Sin da piccolo ostentava già quella sicurezza tipica di chi dalla vita ha avuto tutto: amore, ricchezza, splendore.
Lui, Filippo, apparteneva a una delle famiglie più gloriose della Repubblica: era sveglio, biondo come un angelo e allegro.
Loro due, insieme, rappresentavano degnamente la spensieratezza della gioventù veneziana, ma Filippo mancava di quel carisma innato che era proprio di Cesare e che oscurava chiunque gli stesse accanto.
Filippo poteva essere paragonato alla calda luce dell'ambra, Cesare allo splendore sfolgorante di un diamante nero.
Anche in quel momento, il giovane Mocenigo sembrava porsi al di sopra di ciò che lo circondava. Rideva, scherzava, corteggiava, ma i suoi occhi rimanevano freddi, il sorriso di circostanza. Si sentiva superiore a ogni altro individuo presente nella sala e, in effetti, lo era: per il modo che aveva di muoversi, aggraziato e virile al tempo stesso; per l'eleganza felina che lo distingueva dagli altri gentiluomini e che, in lui, era innata. Non doveva compiere alcuno sforzo per apparire raffinato o per attirare l'attenzione. Era l'unico, tra gli uomini presenti, a portare una perla a forma di goccia al lobo dell'orecchio destro e l'unico a indossare una maschera tempestata di piccoli diamanti veri. Questi vezzi femminili, che su altri sarebbero risultati eccessivi, sottolineavano in lui, per contrasto, la natura virile e l'approccio alla vita quasi ferino.
Filippo, invece, portava una semplice mantellina nera ornata di piume di cigno in tinta ed era abbigliato nello stesso colore. I suoi capelli biondi brillavano co¬me oro.
I suoi occhi vagarono per il salone. Di colpo, cat¬turarono la figura di Arnolfo Ariani, suo padre, e i loro sguardi s'incrociarono dietro le maschere.
«Aspettami qui.» Si congedò da Cesare e cercò di farsi largo tra la folla, ma la ressa gli impediva di avvicinarsi al genitore.
Scorse sua madre seguire Arnolfo in una delle camere che si aprivano lungo lo stretto corridoio alla fine del portego.
A stento Filippo riuscì ad aprirsi un varco tra un gruppetto di dame discinte e ubriache che, tra risate argentine, protesero le braccia e tentarono di afferrarlo, ma infastidito lui se ne liberò e riuscì finalmente a raggiungere la porta della stanza.
Dall'interno, provenivano una voce maschile cupa e alterata e un lamento femminile sommesso e sofferto.
Filippo mise la mano sul battiporta e fece per aprire, ma qualcosa lo fermò.
Parole spezzate, frasi dette a metà: tradimento, mostro, guerra... Poi, il pianto improvviso, secco, di sua madre.
Non poteva più indugiare. Entrò.
La prima cosa che vide fu la mano stretta, come un artiglio, intorno al fragile polso della donna in ginocchio e il viso disperato di lei che si volse a guardarlo.
Filippo non si fermò a riflettere. Furioso, si scagliò contro suo padre e lo spinse via.
«Madre!» Si chinò e l'aiutò a rialzarsi. «State bene?»
Lei rimase muta, la bocca tirata in una piega amara. Alcune ciocche di capelli, sfuggite all'acconciatura or¬mai disfatta, le ricadevano sul viso conferendole un'aria trasandata. La maschera era volata via, rivelando due profonde rughe ai lati del naso.
«Non ti immischiare, Filippo!» Arnolfo Ariani era fuori di sé. Rosso in viso, con le vene del collo gonfie e gli occhi che gli fuoriuscivano dalle orbite, gli si avventò contro.
Fu uno scudo umano che gli si parò davanti, quello di sua moglie, che si frappose tra lui e il figlio.
«Non azzardatevi a toccarlo.» Lo scricciolo indifeso, che era stata Laura Ariani pochi attimi prima, aveva lasciato il posto alla grinta di una leonessa.
Arnolfo sollevò il braccio per colpirla, ma la presa d'acciaio di Filippo lo bloccò. Non gli avrebbe permesso di toccarla, non davanti ai suoi occhi.
La manica dell'ampio abito da antico romano di Ariani scese, rivelando un segno sulla pelle dell'avambraccio, una spirale di un verde accesso che l'uomo, liberandosi dalla stretta del figlio, si affrettò a ricoprire subito.
Gli occhi di Filippo divennero vitrei sotto il riflesso dei raggi della luna che, dal lucernario sul soffitto, baluginavano all'interno della stanza.
Era un serpente quello che aveva visto tatuato sul polso di suo padre, sì, ne era certo. Un serpente... simbolo del male, ma anche di rinascita. Lo sapeva, grazie agli insegnamenti del suo precettore che era stato, oltre a un uomo di cultura classica, anche un esperto alchimista.
Perché Arnolfo se l'era tatuato? Cosa poteva significare?
Filippo si voltò verso donna Laura, lo sguardo interrogativo, l'espressione trasognata. Sua madre abbassò il viso e rimase in silenzio. Aveva paura. Era terrorizzata dal marito.
Prima che il ragazzo potesse parlare e prima che tutte le domande che gli ronzavano in testa trovassero risposta, suo padre lo anticipò bruscamente. «Non sono cose che ti debbano interessare. Vattene e lasciaci soli.»
Il volto del giovane Ariani divenne di pietra. Non si mosse, i pugni stretti lungo i fianchi. Non era la prima volta che sua madre subiva le scenate e le percosse di Arnolfo, che era un uomo ambizioso, violento e dispotico. Lui stesso era stato più volte rinchiuso nei sotterranei per aver disobbedito alla legge paterna. Non riconosceva e non aveva mai accettato l'autorità di quel bruto e non avrebbe permesso, ancora una volta, che la madre pagasse sulla propria pelle le conseguenze dei suoi scoppi d'ira.
«Ti prego, angelo mio, vai.» Donna Laura si era aggrappata al suo braccio e lo scrutava con occhi colmi di angoscia.
Filippo le accarezzò la nuca con una mano. Un tocco leggero, delicato, denso di amore.
«Ti prego, lasciaci» lo supplicò di nuovo Laura con voce flebile.
Lui inspirò e serrò la mascella. Come poteva farlo?
Cercò il volto di suo padre cristallizzato in un'espressione di freddo compiacimento.
«Me ne vado» sentenziò con il piglio di una dichia¬razione di guerra. «Ma badate bene di non sfiorare mia madre nemmeno con un dito, o stavolta pagherete amaramente per le vostre malefatte.» Avvicinò il viso a quello della donna e la baciò su una guancia. «Vi at¬tendo nel salone.» Poi, dopo aver lanciato un'ultima, velenosa occhiata ad Arnolfo, aprì la porta e se la sbatté con violenza alle spalle.
S'immerse di nuovo tra la calca variopinta del salone. La festa scemava e le prime luci dell'alba irrompevano nel buio della notte.
Intravide la figura di Cesare, appoggiato di schiena a uno dei camini, un bicchiere in una mano e un braccio a cingere la vita di una dama dalla maschera di pavone e dal vestito indecentemente scollato, che gli si premeva contro senza vergogna. Appena lo scorse, l'amico la spinse via da sé, con fastidio, e gli si fece incontro.
Filippo notò che riusciva a stento a reggersi in piedi.
«Sei completamente ubriaco. Dovresti tornare a palazzo.»
Le labbra di Cesare s'incurvarono in un sorriso sornione. «Non ancora.» Socchiuse gli occhi come un gatto e bevve un altro sorso. Fece per muoversi, ma inciampò.
Filippo fu pronto a sorreggerlo e lo rimise in posizione eretta. «Ti faccio accompagnare.»
Cesare scosse la testa. «N... no... so cavarmela da s... solo» biascicò con voce impastata, mentre tentava di allacciarsi il giustacuore slacciato. La folla, intorno a lui, aveva visi distorti, sfocati. Sentiva le gambe molli, tremanti. Se non fosse riuscito a raggiungere Ca' Mocenigo a causa della sua colossale sbornia, avrebbe dormito in un meandro buio di qualche calle. D'altronde, non era certo la prima volta che sua madre mandava un servo a ripescarlo nei vicoli. «Ti aspetto domani.» Salutò l'amico, cercando di darsi un contegno, ma era davvero difficile apparire serio, quando tutto il mondo intorno girava vorticosamente.
Filippo lo accompagnò nel vestibolo e gli mise il mantello sulle spalle. «Fatti una bella dormita.»
Cesare si avvolse intorno al corpo il leggero drappo di velluto, gli strizzò l'occhio e uscì nella fresca brezza del primo mattino.

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