di Elisabetta Bordieri
Arrivò tardi.
A fatica si sedette a terra.
Gambe distese.
Sguardo lontano.
Aveva fatto quello che avrebbe dovuto fare già da tempo.
Non si sentiva in colpa nemmeno un po’ ma solo sollevata.
Si chiedeva ora dove fosse lui e se aveva capito.
Stava meglio. Di questo era sicura, stava sicuramente meglio.
Però continuava a chiedersi cosa aveva sentito poco prima, quale percezione.
Le onde erano alte.
Almeno per lei.
Avrebbe voluto sentirle addosso.
Sfinita si alzò con cautela, barcollando un po’ e si diresse verso l’acqua.
Entrò senza paura.
Sapeva nuotare ancora perfettamente.
Arrivò fino alla vita.
Non la vita ”vita” ma la vita quella all’altezza dei fianchi.
“Fai attenzione, ti puoi fare male. E tanto”
Non sentì la voce.
L’onda arrivò come un’esplosione.
Un impatto violentissimo la scaraventò sotto.
Entrava acqua dappertutto.
Il dolore era troppo forte per poterlo sopportare.
Un’altra onda e finì sulla spiaggia, faccia in giù.
Sempre cosciente.
“Te l’avevo detto” ancora la voce.
L’acqua aveva lasciato posto alla sabbia che ormai era ovunque in tutti gli spazi possibili del suo corpo. La maglia e i pantaloni zuppi le si stavano pietrificando addosso. Nemmeno la forza di sputare. Un freddo atroce. E il freddo è così, entra senza bussare, invisibile, sleale, ti prende di nascosto alla gola e stringe, non avvisa il maledetto, arriva da dietro, sempre e quando fai per girarti è troppo tardi e te lo ritrovi dentro come dei fili che ti si attorcigliano intorno alle viscere e senti i tuoi fremiti aumentare e non sai come fare e non sai come uscirne ma lui spinge e senti il suo fiato sul collo e ti fa male, dio se fa male.
Si poggiò sui gomiti e provò a respirare.
Ma l’aria non entrava.
Distese allora un braccio per lasciare almeno un polmone libero e funzionò.
Tossì fino a formare una voragine di sabbia sotto di lei.
La testa reclinata in avanti, i pochi capelli ma ancora lunghi appiccicati sulla guancia, pendevano a formare striscie bianche e nere. Un ammasso di rughe indecifrabili esitavano sul suo viso.
“Sei un maschio o una femmina?” la voce
Ancora in quella posizione decise di rispondere “Una femmina. E comunque si dice donna”
“Non si direbbe. Vecchia allora, direi che sei vecchia”
“Si vecchia. Si dice così. Alla fine dei miei giorni per l’esattezza”
Riuscì a malapena a tirarsi su a sedere.
Gli faceva male tutto e avrebbe voluto massaggiarsi un po’ ma l’artrite non permetteva alle sue deboli dita di fare alcun movimento.
A pochi passi da lei vide una barca cappottata. Nemmeno fosse un’oasi nel deserto. Cercò di arrivarci trascinandosi. Poggiare la schiena sarebbe stato un sollievo non da poco. Ci mise un tempo indefinito. E quando la sua mano toccò il dorso del povero relitto, prima l’accarezzò riconoscente, poi ci si appoggiò con tutte le sue forze per cercare di sedersi. Un’impresa. Come aver aiutato lui. Si rese conto che era davvero vecchia e si meravigliò di farcela da sola. Ancora da sola. Così come in tutta la sua vita.
La vita ”vita”, quella vera.
“E’ pericoloso entrare in acqua con il mare mosso” la voce
“Non sempre. Ma ho ucciso un uomo”
Silenzio.
“Volevo vedere cosa si prova un attimo prima di morire”
Silenzio.
“Sarei potuta morire senza provare l’attimo prima”
Ancora silenzio.
“Si, e sarebbe andata bene lo stesso, ma sono qui”
E silenzio.
“Già. Si vede che doveva andare così. Il mare dà sempre delle risposte. Anche a domande mai fatte. Come le mie. Il mare è onesto. Il mare non frega nessuno”
Provò il desiderio di camminare un po’.
Alzarsi da lì si rivelò una battaglia ma la vinse.
I piedi nudi sulla sabbia le davano la banale sensazione di libertà. Ma lei sentì la libertà vera, quella fatta di sfumature, quella dei mustang che corrono, selvaggi e coraggiosi con i muscoli tesi e la testa fiera, eleganti, resistenti, uno spirito indipendente, difficili da domare, via verso nessuna meta.
Ecco, si sentiva così anche se nessuna parte del suo corpo rispondeva alle richieste di trasformarsi in un cavallo.
Continuava a camminare sul bagnasciuga. Il mare sembrava essersi calmato e i piedi che affondavano nella sabbia lasciavano impronte oblunghe e deformi come i suoi pensieri.
Avrebbe dovuto fare i conti con la giustizia ora, ma che ne poteva sapere la signora giustizia di cosa è bene e cosa è male? Come poteva decidere per la sorte degli altri? Lei stessa non aveva deciso per nessuno. Quello che aveva fatto era un accordo tra loro due preso anni prima un po’ per gioco, quando ancora il destino era dalla loro parte, quando ancora dio era soltanto un dio da ringraziare.
“Fa ancora male?” la voce
“Si, sento le ossa fradicie di dolore”
“Intendevo aver ucciso”
Poteva rispondere ad una domanda così? Rispose.
“Che importanza ha? Conta solo che non gli ho fatto male. Ho solo staccato dei tubi”
“Dipende”
“La vita dipende”
“Andava proprio fatto?”
Ricordò gli anni inaspettati di ospedale, anni di improvvise speranze che comunque sapeva inutili, anni di intere giornate vuote, piene di niente, di assoluto niente. Ricordò le sere sole e ubriache fatte di bicchieri di rosso fino a sentire il vino diventare sangue e il sangue non paga.
Ricordò le notti solitarie e insonni a parlare a nessuno, ad asciugare il silenzio di parole vane. Poi una mattina si svegliò con un bruciore, sentì il sale sulla schiena, i brividi correre veloci e capì che doveva farlo.
“Si, andava proprio fatto”
Camminava da poco ma la stanchezza e la vecchiaia vanno per mano.
Si stava forse allontanando dal proprio destino?
“Vedrai, passerà” ancora la voce
“Non può passare”
“Intendevo il dolore”
“Ma tu invece sei uomo o donna?”
“Maschio”
“E tu quando uccidi cosa provi?”
“Io non uccido”
“Dipende”
“La vita dipende”
“Come si chiama allora quello che fai tu?”
“Essenza della natura”
Il tramonto lambiva i pensieri da lontano. Sentì delle sirene e pensava che troppo presto erano venuti a cercarla. Doveva ancora aspettare il sole andare giù fino alla fine, come fosse l’ultimo giorno, come a ricordo di un’immagine voluta
e poi sarebbe stata pronta. ”L’essenza della natura” si, come il mare. L’acqua era per lei una peculiare parte di sé stessa. E saperla cavalcare era qualcosa di starordinario che rendeva una semplice nuotata un prodigio del vivere. Li vide arrivare correndo. Ma cosa correvano a fare? Sentì una sensazione di benessere, di caldo. Il caldo, quello che sa prenderti dolcemente, silente, lo aspetti e lui non ti delude, sa come entrare, e tu senti un leggero calore che da sotto entra, ti invade le profondità dell’anima e allora ti muovi, ti inarchi, gli fai spazio e i sussulti non li gestisci più e lo lasci fare fino a pregustare il piacere del suo sapore. L’ardore del mustang sconfinò e la sommerse fino a lasciarla senza forze.
Stavano per arrivare e cosa avrebbero trovato?
Ecco ora poteva anche andare, con loro o con chiunque l’avesse portata via.
Avrebbe preferito il mare. Se solo prima fosse stata capace di lasciarsi cullare dalla potenza delle onde, ora sarebbe già arrivata.
Chissà se era ancora in tempo.
Non aspettò la voce ma la cercò lei.
“Puoi portarmi via con te?”
Silenzio.
Certi silenzi sanno di profumate risposte e di araldiche certezze.
Si fermò. Le gambe non le reggevano più. Nessuna linea sottile tra cielo e mare ma solo un’unica danza di colori al tramonto. Ora lo sapeva perchè lo vedeva. “Ricorda vecchia. Anche il sole sa nuotare”
La sentì ancora una volta, uno stridio aspro e gutturale, poi vide un bianco candore fendere l’aria e le ali incerte di un gabbiano soffermarsi sugli ultimi bagliori del giorno.