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Gli ultimi giorni di Pompei

Creato il 30 giugno 2013 da Albertocapece

$(KGrHqFHJBkE7)r7vQ1JBPEq0vyjOw~~60_35Anna Lombroso per il Simplicissimus

L’ineffabile sottosegretaria BorlettiBuitoniSerbelloniMazzantiViendalMare non ha dubbi: gli scioperi a Pompei sono devastanti per l’immagine. Eh si, ci siamo fatti riconoscere. Le  ingrate maestranze, gli sleali parassiti, sono loro che rovinano la reputazione della Campania felix, danneggiano la rappresentazione del Paese all’estero e la sua competitività.

Ed effettivamente lasciare tutto il giorno i turisti sotto il sole mentre si svolge un’assemblea di guardiani e guide non fa un bel vedere.

Ma personalmente sono propensa a ritenere che l’immagine del Bel Paese  sia guastata di più – così per fare qualche esempio – da un ministro competente che invece di precipitarsi a negoziare con i sindacati, a fronte di un’agitazione che dura da settimane, indice un tempestivo incontro per l’8 luglio.

O dal fatto che i siti archeologici più leggendari del mondo conservati per secoli dalla cenere, si polverizzino ora senza remissione, per incuria e incompetenza. O dal fatto che,  contigua a tanta bellezza, sia sorta una miriade di costruzioni abusive tirate su dall’ignoranza e dall’avidità più che dal bisogno, con la calce di correità criminali, con il cemento della corruzione delle amministrazioni, nell’indifferenza o l’impotenza degli organismi di controllo. O dal fatto che, a sancire il disinteresse per il nostro patrimonio artistico, il piccolo esercito addetto alla  custodia sia numericamente al di sotto di un organico in grado di garantire vigilanza e tutela, sottopagato, demotivato, impreparato, perché, come è d’uso tra noi, non esiste una programmazione di lavori socialmente utili. Che in troppi luoghi le visite siano gratuite, elargizione quanto mai controproducente, sigillo definitivo sulla possibilità di fare della più formidabile risorsa del paese un sistema produttivo e profittevole e conferma dell’accidiosa riluttanza a investire per conservarla e promuoverla anche commercialmente. O dal fatto che in attesa delle futuriste applicazioni di procedure e tecnologie innovative per la tutela e la riparazione, sulle quali il ministro Barca si era fieramente “giocato la faccia”, non si sia continuato a fare quello che arcaicamente ma saldamente aveva funzionato negli anni: l’ordinaria manutenzione, quando ogni giorno, restauratori e artigiani che lavoravano stabilmente nel sito archeologico, intervenivano ai primi segnali di degrado. Bastava una crepa, un muro un po’ scrostato e,con azioni mirate e pochi spiccioli, si preveniva il peggio. O dal fatto che il Pd campano sia promotore di una proposta di condono che sospenderebbe l’abbattimento della costruzioni abusive, comprese, si immagina quelle in loco, venute su in pieno rinascimento napoletano, precorritrici, c’è da temere, di una trasformazione di Pompei in smart city, come l’Aquila, che apre che le catastrofi subitanee o prolungate servano a quello, a tirar su villette speculative per la felicità dei costruttori amici di tutti gli schieramenti. O dal fatto che questa sembra essere la nazione dell’emergenza, si aspetta il crollo così se si interviene, si affidano lavori a ditte esterne con la pratica della “somma urgenza” con nomi che, spesso, si ripetono. E aumentano i costi, sono spariti i manutentori: ne sono rimasti in servizio sette, ma solo due hanno ancora forza e competenza per intervenire su quarantaquattro ettari di patrimonio archeologico fruibile.

Ma l’impagabile sottosegretaria selezionata nelle file montiane ha fatto la sua diagnosi, maledetti lavoratori! Per una volta i sacerdoti dell’Europa e della globalizzazione non vogliono satre a sentire le richieste che vengono dall’alto, tramite Unesco. Anzi sono indispettiti dal diktat di Puglisi, presidente dall Commissione nazionale italiana che ha posto un termine, il 31 dicembre,  al governo italiano per adottare misure idonee a fermare la rovina.

“Una commissione Unesco ha redatto  una relazione fatta in loco a Pompei nel gennaio scorso nella quale- si mettono in evidenza, in maniera molto documentata, le carenze strutturali (infiltrazioni d’acqua, mancanza di canaline di drenaggio) e i danni apportati dalla luce (ad esempio alcuni mosaici andavano preservati dalla luce)” ha dichiarato Puglisi. “Sono inoltre segnalate  costruzioni improprie non previste dal precedente piano e la mancanza di personale. Inoltre entro il 1 febbraio del 2014, secondo tale relazione, bisogna delineare una nuova zona di rispetto poichè sono state rilevate intorno ai siti di Pompei e Ercolano delle costruzioni ulteriori”.

Il ministro Bray non parla, ha deciso di non emettere nemmeno una nota, si “riserva” di esprimersi dopo il tempestivo 8 luglio. La sottosegretaria blasonata nel ribadire che  questi scioperi sono devastanti per l’immagine dell’Italia e non contribuiscono al processo di risanamento dei nostri Beni, ripone fiducia del premier, che ha dichiarato di essere pronto a dimettersi se ci saranno altri tagli alla cultura, come se a effettuarli fossero chissà quali misteriose forze ostili al governo.

C’è da temere che siano proprio gli ultimi giorni di Pompei, si riesuma il piano Barca da sotto i teli di nylon che coprono pudicamente le macerie degli oltre otto crolli dell’ultimo anno:  una Carta archeologica del rischio declinata su 4 linee direttrici e cinque piani esecutivi, altro che ordinaria manutenzione, da eseguire grazie a 105 milioni stanziati dall’Europa che ce lo chiede sui fondi Fesr. Peccato che secondo i tecnici della sovrintendenza quei 105 milioni siano poco più di una goccia nel mare: di euro ne servirebbero almeno 500 anche tenendo conto che il piano del Governo per Pompei investe poco più della metà dell’area considerata a rischio.

In verità se si tornasse all’antico basterebbe molto meno: per ripristinare le “squadrette” basterebbe assumere una cinquantina di persone: costo medio 39 mila euro all’anno. Meno di due milioni di euro,che garantirehbero più sicurezza e maggiore salvaguardia del patrimonio.E posti di lavoro. Soldi che, in parte, verrebbero recuperati dagli affidamenti diretti alle ditte chiamate d’urgenza quando c’è qualche cedimento. Oggi, negli Scavi di Pompei lavorano in 213: i loro stipendi, circa 8,3 milioni di euro a carico del Mibac. Per il funzionamento e la manutenzione ordinaria viene utilizzato l’incasso: circa 19 milioni per 1,7 milioni di visitatori paganti. Se Pompei fosse un’azienda privata, tra costi di gestione e personale, sarebbe già fallita. Eppure, secondo un vecchio studio del Mibac, servirebbero almeno altri 500 addetti per far funzionare al meglio il sito. Prevalentemente custodi. Garantirebbero la fruizione di tutti o quasi i 67 ettari del sito, l’apertura serale per almeno quattro mesi all’anno, un aumento di almeno il 50 per cento dei visitatori. Per raggiungere il pareggio, basterebbe aumentare il costo dei biglietto dagli attuali 11 euro a 15,50 euro, la stessa cifra che si paga per l’ingresso al Moma di New York. Eppure  oggi a Pompei, in cassa, ci sono circa 57 milioni di curo non spesi. Un gruzzoletto che conferma come ci sia una logica perversa nel lasciare degenerare i problemi in modo che diventino emergenza, quella che permette irregolarità, abusi, commissariamenti, leggi speciali, provvedimenti di autorità senza autorevolezza.


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