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Globale e analitica, due scuole a confronto. Dalla Francia al resto del mondo

Creato il 09 luglio 2012 da Ilgrillotalpa @IlGrillotalpa

Globale e analitica, due scuole a confronto. Dalla Francia al resto del mondoLa rubrica “Mischia aperta” di Antonio Liviero su Il Gazzettino

Metodo globale o analitico? L’interrogativo torna periodicamente ad animare il dibattito, specie in Francia. Ne abbiamo parlato qualche settimana fa a proposito della formazione dei mediani di apertura. Ma la questione è un po’ più complessa e non può essere ridotta alle spinose dispute tra i guelfi di dottrina anglosassone e i ghibellini all’ostinata ricerca di spazi e gioco spontaneo.
Semplificando al massimo: il metodo analitico muove dal particolare al generale. Costruisce il giocatore a partire dall’apprendimento progressivo di gesti tecnici e si traduce in un rugby che, di fatto, dà priorità alla percussione. Il metodo globale al contrario parte dal generale e scende al particolare. La formazione comincia nella testa del giocatore, educato prima di tutto alla lettura permanente delle situazioni di gioco e all’adattamento delle scelte tattiche, senza schemi prestabiliti. Predilige l’evitamento e cerca di battere la difesa con soluzioni inattese.
Il metodo globale è stato in parte concepito da Pierre Villepreux in Italia, alle fine
degli anni Settanta, quando allenava la nazionale azzurra. Successivamente si è affermato a Tolosa per arrivare infine con Skrela e Villepreux stesso ai Bleus e alla direzione tecnica della federazione francese. Ha discepoli in tutto il mondo, in particolare nelle Accademie federali inglesi (eresia) con Brian Ashton, in Nuova Zelanda con Wayne Smith e, in parte, Graham Henry. Ma resta una corrente
d’avanguardia, dunque minoritaria, con forti oppositori proprio in Francia, a cominciare dagli eredi della scuola di Grenoble tra i cui padri c’era Julien Saby, una delle figure più importanti nella storia del rugby italiano.
La cosa interessante è che nei mesi scorsi il metodo globale sia stato messo in discussione proprio nella sua mecca, Tolosa. «Nel club la formazione è globale però i giovani non migliorano il gioco al piede, oggi divenuto un’arma fondamentale» si è lamentato il presidente René Bouscatel. Interpellato a proposito dal quotidiano
l’Equipe, Philippe Rougé-Thomas, responsabile della formazione nel club, ha
spiegato: «C’era confusione. Si privilegiava l’intelligenza situazionale, regolando i problemi tecnici all’interno del gioco globale. Ma mi sono reso conto che certi giocatori
arrivavano alle soglie del professionismo senza possedere alcuni fondamentali. Vedevano le situazioni, ma non sapevano sfruttarle».
E’ così che a Tolosa da un paio di stagioni sono state introdotte, oltre a specifici
atelier, sedute di tecnica individuale in ogni allenamento dal minirugby alla juniores e
una preparazione mirata che precede e accompagna il passaggio dei giovani all’alto livello. Il metodo insomma non è stato accantonato, ma corretto. Verrebbe da dire adattato.
E in Italia? La situazione è inevitabilmente datata e incerta. La linea Villepreux è
stata equivocata, ripresa e abbandonata più volte. C’è ancora chi parla di scuola
francese senza distinguere Saby da Villepreux, Conquet e Devaluez da Deleplace, Brunel da Novés. A dire il vero ci sarebbe anche chi, nonostante i risultati delle nostre squadre in campo internazionale, parla di fiorente scuola tecnica italiana. Ma qui l’unica è chiamare un dottore.


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