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Globalizzare la povertà

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

Il mondo è cambiato drammaticamente: la globalizzazione della povertà ha allungato le mani su tutte le principali regioni del pianeta, incluse l’Europa occidentale e il Nord America.

Avanza il nuovo ordine mondiale è stato instaurato che si alimenta della povertà umana e della distruzione dell’ambiente naturale, genera l’apartheid sociale, incoraggia il razzismo, lede i diritti delle donne e spesso fa precipitare le nazioni in distruttivi conflitti etnici.

I debiti pubblici sono saliti a spirale, le istituzioni statali sono crollate e l’accumulazione di ricchezze private è aumentata incessantemente. Immense fortune in poche mani: abbiamo globalizzato soltanto la povertà.

Le nuove regole del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio nata nel 1995, garantiscono diritti ben radicati alle banche più grandi del mondo e alle multinazionali. Popoli interi sono caduti in trappola: i governi di tutto il mondo hanno abbracciato inequivocabilmente l’agenda politica del neoliberalismo. Sotto la giurisdizione dell’Fmi, della Banca Mondiale e del Wto, le riforme creano un ambiente favorevole per le banche globali e le società multinazionali, col pretesto delle riforme strutturali.

I banchieri di Wall Street e i capi dei maggiori conglomerati multinazionali, che concertano ogni mossa con i funzionari dell’Fmi, della Banca Mondiale e del Wto in riunioni riservate, affollate di potenti lobby d’affari avanzano. Tra queste la Camera di Commercio Internazionale (Icc) e il Dialogo Transatlantico Economico (Tabd), che ogni anno raduna nei suoi convegni i dirigenti dei più grandi centri d’affari occidentali con politici e funzionari del Wto. E poi il Consiglio degli Stati Uniti per gli affari internazionali (Uscib), il Forum Economico Mondiale di Davos, l’Istituto finanziario internazionale (Ifi) con sede a Washington, che rappresenta le più grandi banche e istituti finanziari del mondo. «Altre organizzazioni “semi-segrete” che giocano un ruolo di primo piano nel modellare le istituzioni del “nuovo ordine mondiale”, sono la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg e il Consiglio per le Relazioni Internazionali».

Lo schema è sempre il solito. Fmi e Banca Mondiale irrompono nelle politiche locali prestando denaro agli Stati, spesso dilaniati da lotte intestine o da carestie, gravandoli di debiti quasi sempre inestinguibili se non sotto il ricatto dell’accettazione di strategici “programmi di aggiustamento strutturale”, ovvero linee-guida da attuare per favorire investimenti stranieri, aumentare le esportazioni, alleggerire i deficit di bilancio.

Il super-potere ha sulla coscienza milioni di morti, anche se i media stentano a rivelare collegamenti diretti: pensiamo al genocidio che nel 1994 devastò il Ruanda non fu causato, come raccontato dai media, da una semplice guerra tribale fra le etnie Hutu e Tutsi, ma dalla decisione del governo di piegarsi al piano di “risanamento” dell’Fmi e della Banca Mondiale, che gettò la popolazione nella disperazione e nella miseria. Altri sono i disastri causati da “shock economici” che stravolgono la politica e la società di un paese affamandone la popolazione, devastando gli apparati pubblici, licenziando migliaia di lavoratori, indebolendo la rete di imprenditori locali e appropriandosi delle risorse naturali e ambientali del territorio.

Somalia, Messico, Stati Uniti: nessuno è al riparo da queste scellerate politiche economiche, palesemente finalizzate all’arricchimento di una élite privilegiata di banchieri internazionali e azionisti di grandi multinazionali di cui la gente non conosce le facce e i nomi. Gli accordi di libera circolazione del lavoro sanciti dal Trattato di Maastricht e la conseguente apertura delle frontiere nei paesi dell’Unione Europea, così come gli accordi commerciali Nafta nel Nordamerica, sono misure che hanno un unico, vero obiettivo: concentrare la ricchezza in pochissime mani.

Le economie nazionali stanno crollando, la disoccupazione dilaga. Carestie locali sono scoppiate nell’Africa subsahariana, nell’Asia meridionale e in America Latina, prima ancora che toccasse all’Europa scoprirsi nell’occhio del ciclone. Tutto ampiamente previsto, perché la crisi economica che attanaglia il pianeta è più devastante della Grande Depressione degli anni Trenta.

Siamo letteralmente impotenti, di fronte a implicazioni geopolitiche di così vasta portata: lo sconvolgimento economico è stato accompagnato anche dallo scoppio di guerre regionali, dalla frantumazione di società nazionali e, in alcuni casi, dalla distruzione di interi paesi.

Ecco la più grave crisi della storia moderna. La globalizzazione della povertà e non della ricchezza .


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