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God Save the (Stupid) Queen…e famiglia reale

Creato il 21 maggio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Per esser di gradimento al popolo britannico la famiglia reale dovrebbe continuare a essergli umanamente affine, non particolarmente intellettuale, anche un po’ tonta oppure mettersi in gioco in un campo politicamente impegnato.

Machiavellismo e Berlusconismo: la politica tra il serio e il faceto.

Nel primissimo Cinquecento l’esiliato Machiavelli, tra i vari consigli dispensati a Lorenzo de’ Medici, suggeriva che l’ideale Principe “si debbe ingegnare dare di sé in ogni sua azione fama di uomo grande e di ingegno eccellente”. La causa prima dunque per cui i principi italiani, in seguito alla crisi medicea del 1494 e all’avvento della breve repubblica di Savonarola, avevano perso i loro Stati sarebbe essenzialmente la loro “ignavia”, l’incapacità di prevedere e arginare con virtù le eventuali tempeste provocate dalla fortuna.

Una figura solenne di paterna accondiscendenza. E funzionava, forse, un tempo. Al tempo degli stendardi e delle corti, delle onorificenze e delle guerre, delle famiglie reali vere e proprie. Quando cioè la politica era sanguigna, corporea, un nero su bianco senza margine di compromesso. Oggi, paradossalmente, la politica è fatta di inchini e di fragili scacchiere e dove allora il principe retto e abile era osannato, oggi si simpatizza per l’umanamente simile, una simpatia che talvolta si trasforma in voto elettorale. Si dà ascolto alla pancia prima che alla testa. Così, ne La pancia degli italiani, Beppe Severgnini, per spiegare Berlusconi ai posteri, annovera tra le varie motivazioni per primo proprio il “fattore umano”: “Cosa pensa la maggioranza degli italiani? ‹Ci somiglia, è uno di noi›. E chi non lo pensa, lo teme. B. vuole bene ai figli, parla della mamma, capisce di calcio, sa fare i soldi, ama le case nuove, detesta le regole, racconta le barzellette, dice le parolacce, adora le donne, le feste e la buona compagnia. E’ un anticonformista consapevole dell’importanza del conformismo. Loda la Chiesa al mattino, i valori della famiglia al pomeriggio e la sera si porta a casa le ragazze”. La politica vicina al popolo.

“Noi il Re lo vogliamo tonto”.

Quanto meno freddo e distaccato, tanto più simpatico risulterà il politico (o una famiglia reale) ad un popolo per definizione capace di empatia. A sorprendere è, forse, che quel popolo non siamo solo noi. Il contagio dell’empatia sembra non aver risparmiato neppure i “distaccati” cugini (di remoto grado) dal cinico humour. Se chiedessimo a un common chap vagante in una delle tante roads alleys closes streets places crescents avenues gardens rises ways terraces, e chi più ne ha più ne metta, di un meno privilegiato quartiere di Londra chi fosse Thomas Hardy, probabilmente la nostra domanda si limiterebbe a suscitare un’alzata di sopracciglia e uno sguardo liquidatorio tra il confuso e il seccato.

famiglia reale

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Se però facessimo presente a tale individuo comune che nemmeno un tipo non così comune come un membro della famiglia reale quale re Giorgio V conosceva l’identità di tale Thomas Hardy, l’ipotetico viandante di Brixton si sentirebbe improvvisamente e divertitamente fiero del proprio mare di nebbia. George V e l’uomo comune, l’uomo V e George il comune. Questo il segreto per conquistarsi il popolo. Almeno secondo il columnist del Times Ben Macintyre e al suo articolo “The Black Spider Should Carry on Crawling” dello scorso 15 Maggio. Siamo nel 1920: Thomas Hardy, una delle pietre miliari della letteratura inglese e autore, tra gli altri, della dissacrante Tess dei D’Urbervilles, compie 80 anni. Un cortigiano si prende la briga di suggerire a re Giorgio che si potrebbe fare qualcosina a riguardo. Bene, il re pensa che sia una “splendid idea”. Qualche giorno più tardi William Hardy, produttore e fornitore di canne da pesca per la corte, riceve nello stupore più totale una lettera d’auguri firmata dal re, che gli augura un “happy 80th birthday”. Tale William Hardy aveva 56 anni. Il re non aveva mai letto Thomas Hardy, anzi non ne aveva proprio mai sentito parlare. Amava invece moltissimo la pesca.

Scrive Macintyre, “amiamo che la nostra famiglia reale sia, se non proprio dim-witted, tonta, almeno allora culturalmente non impegnata, immune alla ricercatezza intellettualoide e priva di ambizione culturale. Non ci fidiamo dei re cerebrali”. Tra un James I, dispotico e noiosamente acculturato, sponsor di una nuova traduzione della Bibbia, la Authorized Version, e la Principessa Diana, che fu bocciata ben due volte agli O-Levels (il livello base del sistema educativo britannico) e che si descriveva come “thick as two planks” (letteralmente “spessa come due tavole”, ovvero una zuccona fatta e finita), non c’è dubbio: i Britannici preferiscono il secondo tipo di regnante. E George V, che trascorse la maggior parte della sua vita a cacciare animali e incollare francobolli, era indubbiamente molto amato.

Anti-intellettualismo regale: una nevrosi tutta britannica.

Il “ragno nero” del titolo dell’articolo fa riferimento alle black spider letters segretamente indirizzate dal Principe Carlo, appartenente a una casta, la famiglia reale, per tradizione neutrale, a vari ministri e politici cui il Principe del Galles esprimeva opinioni e giudizi su questioni di rilevanza. Un lobbying implicito e

magari involontario che ha suscitato scalpore tra i Britannici, da sempre ostili ai reali “eggheads”, “boffins” e “geeks” (cervelloni con troppo sale in zucca). Macintyre si pone una domanda legittima: non sarebbe più semplice se la famiglia reale uscisse dal suo isolazionismo intellettuale e esprimesse liberamente i propri pensieri? “Il sospetto che la famiglia reale possa essere dotata di cervello è una delle più bizzarre e irrazionali delle nevrosi culturali britanniche” (“The suspicion of brainy royalty is one of the more bizarre and irrational British cultural hang-ups”). Carlo potrà aver espresso opinioni sugli argomenti più disparati ad un livello forse troppo basso, dagli albatros alle mense scolastiche, ma almeno ci ha provato. E la famiglia reale non solo ha il diritto di prendere parte ai dibattiti, ma ne ha il dovere, vista la sua posizione di rilievo e le opportunità di istruzione di cui gode. Il Principe William sarà il re più accademicamente qualificato che sia mai esistito e non dovrebbe limitare la sua capacità intellettuale a furtivi messaggi di opinione: il ragno nero deve poter “continuare a strisciare” e dimostrare che “la testa che indossa la corona ha al suo interno della materia grigia spendibile” (“the head that wears the crown has some intellectual grey matter inside it”).

Ma forse è proprio questo il lusso di cui godono i Britannici: la monarchia costituzionale. Da una parte, un Parlamento rigoroso e intellettualmente abile; dall’altra, una famiglia reale che può permettersi di essere simpatica nella sua ingenuità. Cosa accade quando simpatia e impegno sono costretti a convergere? Ce lo ha spiegato perfettamente Severgnini.

Tags:Berlusconi,black spiders letters,carlo,famiglia reale,George V,Hardy,Machiavelli,Macintyre,Principe,Severgnini,times Next post

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