Magazine Cinema
Film a cura della Contemporaneista del blog, l'amica Laura alla quale passo subito la parola.
“fammi entrare nel giardino dei tuoi occhi”.
Questo film, ti entra nel cuore, negli occhi, nell’anima. Non è una semplice storia d’amore. L’amore tra Najla e Sherko. I fiori di Kirkuk è molto di più. E’ la storia della fine del regime di Saddam Hussein, è la storia di chi vuol stare dalla parte delle vittime della guerra o di chi sceglie di stare dalla parte dei carnefici.
Un film che ha un impatto emotivo molto forte, coinvolgente quasi sconvolgente e la storia tra i due ragazzi è un pretesto per raccontare tutto ciò che gli gira attorno. Un corollario di corruzione, distruzione e sottomissione.
Attraverso gli occhi della protagonista, noi riusciamo a vivere un momento della storia che ci è stato velocemente e superficialmente raccontato dai media. Un po’ come Najla anche noi, da ciechi, iniziamo a vedere e ad inorridire. Iniziamo a scegliere con chi stare. Coraggio o codardia. Non c’è altra scelta. E Najla sceglie di essere anche lei vittima fra le vittime: annullerà se stessa per cercare Sherko.
E la ricerca del suo amore diventerà un continuo incontro con la compassione, disperazione, sofferenza e senso di giustizia. Najla è l’inno alla vita in un Irak corrotto e nefando.
La città di Kirkuk, infatti, è stata la città più devastata del Kurdistan iracheno, ripetutamente bombardata per tutti gli anni ’80.
Il regista, Fariborz Kamkari, asserisce che “i fiori di Kirkuk è il primo film di ambientazione irachena senza soldati americani. E la protagonista è una donna che non è una moglie, non è una madre, non è sottoposta ad un uomo e decide liberamente del suo destino. Per la prima volta vedrete una musulmana che non risponde al solito stereotipo. Ma una donna forte – come ce ne sono tante qui da noi – che ha combattuto per i suoi diritti, quelli del suo popolo, dei curdi e dell’umanità in generale.”
Questo film si "vede" e si "sente" in tutta la sua drammatica disperazione.
Ammiro molto la sensibilità di Laura, femminile e giovanile, com'è lei d'altronde. Sono proprio contento di ospitarla, la ringrazio di cuore.
Dal mio punto di vista (cioè: vecchio cinefilo inacidito) il giovane regista curdo mi pare sia stato molto imbrigliato dai numerosi finanziatori pubblici italiani. Il film, la cui storia è certamente affascinante, poco o nulla ha, stilisticamente parlando, di quei luoghi e di quelle culture. In compenso ha quel "saporaccio" di fiction italiota che procura eritemi pruriginosi al solo nominarla. Altra nota dolentissima: i curdi hanno subito nefandezze spaventose, che si intuiscono ma vengono troppo poco mostrate e questo è male, anzi malissimo.
Ribadisco quindi: il Cinema è altra roba. Questa, sempre secondo il citato vecchio cinefilo inacidito, è fiction per la tivvù.
Mi voglio astenere dal dare il colpo di grazia a questo film, per 2 ragioni.
La prima è che ho percepito delle capacità da parte del regista, che mi piacerebbe vedere in futuro esprimersi più liberamente in una produzione un po' meno impastoiata di questa.
La seconda è che la triste ed irrisolta vicenda dei curdi ha avuto ed ha tuttora talmente poca visibilità, anche nel cinema, che mi fa dire "ben venga" persino ad un film del genere.
Grazie a Laura possiamo quindi proporre due punti di vista, mi pare bellissima questa cosa!
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