I monarchi del Golfo cercano di premunirsi contro un contagio delle rivolte arabe ma anche contro il pericolo iraniano proponendo di intergrare la Giordania e il Marocco ,due dei reami arabi che non fanno parte del loro club. Il 10 maggio, il Consiglio della Cooperazione del Golfo (CCG: Arabia Saudita, Bahreïn, Emirati Arabi Uniti, Kuweit, Oman e Qatar), ha sorpreso tutti dichiarandosi favorevole ad una adesione della Giordania e del Marocco a questo gruppo regionale. “Gli accadimenti del mondo arabo che rischiano di trascinare la regione del Golfo sono la principale ragione di questa decisione a sorpresa”, ha spiegato Ibrahim Sharqieh, direttore aggiunto del Brooking Doha Center. Il CCG, un club creato nel 1981 intende, secondo gli analisti, stabilire un coordinamento tra gli otto monarchi arabi per creare un fronte comune davanti alle rivolte che hanno capovolto i sistemi delle principali repubbliche arabe. Ci si chiede quale è realmente l’obiettivo di questo coordinamento: reprimere tutte le velleità di cambiamento, con l’aiuto del Marocco e della Giordania che hanno una solida esperienza nella sicurezza militare, o introdurre delle riforme nei loro rispettivi paesi attingendo dalla loro esperienza politica? I monarchi del Golfo sono in fibrillazione davanti alle contestazioni che si stanno producendo nello Yemen, parente povero della penisola araba che chiese a suo tempo, senza successo, di far parte del gruppo regionale. Ma è l’Iran, che ha intensificato la sua campagna di ostilità con lo spiegamento nel marzo scorso delle loro forze in Bahreïn per aiutare la contestazione animata dagli sciiti, maggioritari nel paese, a pesare su questa scelta di nuovi ingressi. Con i suoi progetti militari e nucleari, l’Iran è percepito come una minaccia per la sicurezza del Golfo, e i monarchi del CCG contano sull’apporto di armate sperimentate in Marocco e in Giordania, sunnite come loro, per proteggersi da tutti i pericoli esterni sciiti. Ormai i paesi del CCG non confidano più negli Stati Uniti, che hanno comunque una forte presenza militare nella regione, dopo la caduta dei regime tunisino e egiziano, alleati a suo tempo di Washington, abbandonati al loro destino durante le prime avvisaglie della Primavera Araba. Gli ostacoli per una integrazione del Marocco e della Giordania non mancano, essendo economicamente poveri con un PIL rispettivamente di 92 e 27 miliardi di dollari, pari al 9% del PIL delle monarchie del Golfo. L’arrivo di 32 milioni di marocchini e di 6,5 milioni di giordani andrebbe a raddoppiare la popolazione del CCG, attualmente intorno ai 40 milioni di abitanti, cosa che aggraverebbe il problema della disoccupazione, Arabia Saudita in testa che tocca il 40% dei giovani. Il CCg prevede in effetti la libera circolazione delle persone e questo provocherebbe un anemia di giovani nei due reami. Il Marocco e la Giordania, davanti ad un tasso di disoccupazione molto alto, sono d’altro canto importatori totali di petrolio, principale ricchezza del CCG. Sul piano politico, hanno una grande esperienza di multipartitismo, proibito invece dai loro futuri patners arabi. Molti credono che una adesione della Giordania è concepibile, considerata la vicinanza territoriale e importante patner commerciale del CCG, ma l’offerta fatta al Marocco, secondo gli analisti, geograficamente troppo distante dal Golfo, è stata precipitosa sotto l’effetto dell’onda delle rivolte arabe. Il progetto di un allargamento del CCG, annunciato senza nessun studio preliminare o consultazione popolare, è stato accolto con molta inquietudine dall’opinione pubblica del Golfo, ha scritto l’editorialista saudita Daoud al-Chariane, domenica scorsa nelle colonne del quotidiano arabo Al-Hayat. I più pessimisti prevedono la stessa sorte che tocco’ alla Dichiarazione di Damasco , quando il CCG apri’ brevemente alla Siria e all’Egitto le sue porte, come ricompensa della loro partecipazione alla liberazione del Kuwait nel 1991 dalle forze armate iraniane, porte che si richiusero al primo alito di vento.
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