Il giudizio di Antonio Valerio SperaSummary:
“Non avete visto ancora niente”. Sembra questo il messaggio inviato ripetutamente da ogni sequenza di Gone Girl, nuova fatica di David Fincher. Un film che meriterebbe una profonda analisi più che una semplice recensione per consentirci di esprimere un giudizio completo ed esaustivo. Non solo perché porta sullo schermo un racconto, tratto dal romanzo di Gillian Flynn, che vive di continui colpi di scena, ma perché si tratta di un’opera in cui lo stesso sviluppo narrativo segna ed influenza l’impianto formale e la tonalità stilistica, un po’ come succedeva in un altro grande lavoro di Fincher, Fight Club.
La stratificazione di quel film, però, appare addirittura ridotta rispetto a quella di Gone Girl, dove essa si moltiplica e si articola su un’infinita serie di livelli, che si alternano, si incrociano e si sciolgono per le sue due ore e mezza di durata. Una stratificazione che si struttura, contenutisticamente, su una rappresentazione satirica ed ironica dell’assurdo sistema massmediale e del tipico atteggiamento americano (e ormai mondiale) che spettacolarizzano la vita, in particolar modo i fatti di cronaca nera, e su una profonda ed inquietante indagine psicologica e delle dinamiche dei rapporti umani; stilisticamente e tonalmente, su una frequente alternanza di generi, passando dal thriller alla commedia, dal dramma familiare al legal movie; ed infine, narrativamente, su un impianto circolare che gioca sul triplo binario flashback oggettivi-flashback soggettivi-racconto presente, mescolando sapientemente le carte.
Ci si trova quindi di fronte ad una materia cinematografica assai complessa, che però Fincher maneggia – potremmo dire manipola in questo caso – senza sbavature né incertezze, dando prova di un’impressionante maturità registico-autoriale. Partendo dal rapimento della moglie di Nick, giornalista appena ritrovatosi senza lavoro, il regista, anche grazie ad una sceneggiatura “ad orologeria” scritta dalla stessa autrice del romanzo da cui il film è tratto, costruisce un puzzle enigmatico ed angosciante i cui pezzi vengono man mano messi insieme in un turbine di eventi e rivelazioni senza sosta. E’ abbagliante osservare il modo in cui tutto ciò prenda vita sullo schermo in un solo film: Gone Girl (in Italia uscirà con il titolo L’amore bugiardo) è infatti un concerto in immagini in cui ogni strumento non sbaglia mai un’entrata né l’esecuzione di una nota, un dipinto dalle simmetrie perfette, una poesia dalla musicalità soave che contiene in sé una storia dolorosa. Un universo cinematografico unico, in cui tra l’altro si muovono alla perfezione i due protagonisti Ben Affleck e Rosamund Pike, entrambi (con la seconda un piccolo gradino sopra) capaci di muoversi, con un’estrema eleganza interpretativa, da un registro ad un altro misurando ogni sfumatura.
Guardando quest’ultimo pregevole lavoro di Fincher, si ha dunque la dimostrazione che il cinema, anche quando spettacolare, può farsi arte pura. Un’arte quasi estasiante, che tiene incollati alla poltrona anche quando scorrono ormai i titoli di coda. Assuefatti dagli innumerevoli colpi di scena e dalle geniali trovate, si vorrebbe rimanere in sala per goderne ancora. Chapeau!
Di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net