Nico Parente
Antologia di un urlo
UniversItalia – Collana Horror Project
Pag. 430 – Euro 30,00
La collana Horror Project diretta da Daniele Francardi si arricchisce di un piccolo gioiello, che nasce da una tesi di laurea scritta con competenza da Nico Parente per diventare una miniera d’informazioni per ogni appassionato. Come sottolinea il professor Marcello Aprile si tratta di “un lavoro serio e scrupoloso, al tempo stesso leggibile e interessante, che ci aiuta a ricostruire uno spaccato di un lato molto sottovalutato della storia italiana recente”. Non solo, è “un corposo manuale, un’enciclopedia della paura con informazioni che vanno dalla letteratura al cinema”. Fin qui l’opinione del docente.
Nico Parente è un giovane saggista, classe 1986, ha il difetto che caratterizza gli autori alle prime armi – pur dotati – di voler mettere troppa carne al fuoco. Il materiale è sovrabbondante: Edgar Allan Poe, Mary Shelley, H. P. Lovecraft, Bram Stoker, Alda Teodorani (intervistata), la narrativa gotica, Tiziano Sclavi… Il terrore su grande schermo, analizzando per sommi capi il cinema di Riccardo Freda, Mario Bava, Lucio Fulci (ringrazio per il mio Filmare la morte in bibliografia), Antonio Margheriti, Ruggero Deodato, Dario Argento, Luigi Cozzi, Joe D’Amato, Lamberto Bava… Corposa la parte dedicata alla critica dei film più importanti, ma ancora più interessante la sezione interviste, fusa in un solo corpus narrativo. L’autore ha avvicinato: Ernesto Gastaldi, Dardano Sacchetti, Edoardo Margheriti, Ruggero Deodato, Barbara Magnolfi, Eleonora Giorgi (ve la ricordate protagonista di Inferno?), Sergio Stivaletti, Marco Weba, Luigi Cozzi, Antonio Tentori. Il lavoro termina con un’appendice dedicata al fumetto e alla musica, divagando sulle fascinazioni horror dei generi popolari.
Antologia di un urlo non ha il pregio di essere un lavoro unico dedicato a questo tipo di suggestioni. Il lettore può approfondire gli argomenti trattati consultando opere di Luigi Cozzi, Antonio Tentori, Antonio Bruschini, Roberto Poppi, Rudy Salvagnini, Manlio Gomarasca, Davide Pulici, persino qualche mio libro, ma l’elenco sarebbe interminabile. Nico Parente ha il vantaggio della scrittura fluida, del taglio informativo, della facilità di approccio con il lettore. Si rivolge a chi non conosce la materia e divulga il verbo dell’orrore, con stile secco e asciutto, senza fronzoli da critico impegnato e soprattutto senza pregiudizi. Un libro interessante per il neofita che vuole avvicinarsi al mondo dell’horror italiano, scritto da un autore così bravo a maneggiare la penna (la tastiera, padon!) che sto tentando di convincerlo ad aiutarmi a redigere il quinto e (per me) faticoso volume sulla Storia del Cinema Horror italiano. Non sono più molto giovane e credo che Parente conosca meglio di me i talenti dell’ultima generazione che andranno a comporre l’ultimo tomo della ricerca.
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Due scrittori piombinesi
Luigi Carletti e Sacha Naspini – Cadavere squisito e Il canile
Che cosa hanno in comune due scrittori come Luigi Carletti (Cadavere squisito – Mondadori) e Sacha Naspini (Il momento del distacco, Guanda)? Una città: Piombino, dove sono cresciuti; il primo ci è pure nato, nel 1960 (proprio come me, ma ha fatto più strada), il secondo è nativo di Grosseto (1976), sempre Maremma, ma ha studiato e si è formato culturalmente sotto le ciminiere della Lucchini, tra Riotorto e Follonica. Era un bimbo quando vinse il Premio Licurgo Cappelletti, bandito dal Foglio Letterario, subito dopo un altro della Biblioteca di Massa Marittima, dove mi trovavo (per caso, ché non mi chiamano mai, sono un battitore libero) a fare il giurato. Un’altra cosa che hanno in comune Sacha e Luigi è che nella loro terra non sono mai stati celebrati a sufficienza, vorrei dire a torto, ché sono due narratori di razza. A Piombino preferiscono riservare pagine e pagine al prossimo libro di Silvia Avallone (Acciaio era un buon romanzo), pure se non è ancora uscito, quando sarà in libreria Il Tirreno le dedicherà un numero monografico, credo. Il nuovo romanzo della Avallone fa stare tutti con il fiato sospeso, non ci si dorme la notte, pare.
Partiamo da Carletti per diritto di anzianità. Vive a Roma, dove ha lavorato per anni alle dipendenze del Gruppo L’Espresso – Repubblica come giornalista. Credo di aver letto quasi tutto quel che ha scritto e non smetterò mai di consigliare di recuperare Alla larga dai comunisti (2006) e Lo schiaffo (2008), due struggenti storie di provincia edite da Baldini e Castoldi. Lo stesso editore di Faletti. Chi l’avrebbe mai detto? Pubblica pure scrittori veri. Da un paio d’anni Craletti esce per Mondadori, nel 2012 dà alle stampe Prigione con piscina, che ci riporta alle atmosfere hitchcockiane de La finestra sul cortile, mentre da pochi giorni è in libreria Cadavere squisito. Il suo ultimo lavoro segue una pubblicazione francese: Six femmes au foot (Liana Levi, 2013) e un racconto utilizzato per la fiction di Raiuno, Operazione pilota. Cadavere squisito è un altro giallo hitchcockiano costruito su flashback ambientato in una Roma decadente che ricorda (in meglio) quella de La grande bellezza. Avvertiamo la presenza di un personaggio seriale, l’ostinato ispettore di polizia Gennaro Falasco, proprio quel che chiede il mercato editoriale, ma Carletti non rinuncia a fare letteratura. La è partenza è scioccante, da thriller angoscioso e claustrofobico, con un cadavere in primo piano, poi arrivano le ombre del passato e i fantasmi della memoria di un pubblicitario di successo. Due delitti e tanti dubbi investono la scrivania di questo nuovo ispettore di polizia pensato per un panorama editoriale italiano affollato di commissari e marescialli.
Sacha Naspini, invece, debutta con Il Foglio Letterario (per questo l’ho tanto caro) con L’ingrato e I sassi, due romanzi brevi ancora in catalogo e che consiglio di leggere. Per Il Foglio dirige la collana Demian, insieme a Federico Guerri, curando la selezione di storie adolescenziali ispirate al capolavoro di Herman Hesse. Naspini non si ferma alla piccola realtà di provincia, ma esce con romanzi di taglio diverso, ispirandosi a una sorta di terrorismo dei generi tanto caro a Lucio Fulci. Cento per cento e Noir Desir sono del marchio Perdisa Pop, I Cariolanti (2009, forse il suo miglior testo) e Le nostre assenze (2012) escono per Elliot. Il suo ultimo libro che mi è capitato di leggere lo vede coinvolto in un’antologia (Il momento del distacco – Nove racconti italiani, a cura di Alessandro Greco) edita niente meno che da Guanda, nella quale ho trovato (purtroppo, non me ne voglia il signor Guanda) degno di nota soltanto il suo racconto. Il canile, nero e torbido, sembra la sceneggiatura di un film di Tarantino, eccessivo e tagliente, scritto con lo stile dei migliori narratori horror statunitensi.
Luiogi Carletti e Sacha Naspini hanno in comune anche Gordiano Lupi, ché sono entrambi amici miei, ma non ne parlo solo per questo. Ne parlo perché anche in provincia – come a livello nazionale – bisognerebbe dedicare più spazio agli scrittori verri, meno agli imbrattacarte e ai personaggi televisivi. Ne parlo perché entrambi rappresentano una piccola gloria provinciale, in fondo, sono due scrittori che portano in alto, in giro per l’Italia, il nome di Piombino. Naspini, tanto per dire, è stato ospite del Festival della Letteratura di Mantova, insieme a personaggi del calibro di Leonardo Padura Fuentes.
Leggeteli, ne vale la pena.
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Killer Joe (2011)
di William Friedkin
Regia: William Friedkin. Soggetto e Sceneggiatura: Tracy Letts. Fotografia: Caleb Deschanel. Montaggio: Darrin Navarro. Musiche: Tyler Bates. Scvenogtrafia: Franco – Giacomo Carbone. Costumi: Peggy Schnitzer. Trucco: Krystal Kershaw. Produttori: Nicholas Chartier, Scott Einbinder, Patrick Newall, Eli Selden, Doreen Wilcox Little, Christopher Woodrow, Molly Conners, Vicki Cherkas, Zev Foreman, Roman Viaris. Casa di Produzione: Voltage Pictures, Pictures Perfect Corporation, Ana Media, Worldview Entertainment. Distribuzione Italiana: Bolero Film. Durata: 103’. Genere: Thriller – Noir. Interpreti: Matthew McConaughey (Killer Joe), Emile Hirsch (Chris Smith), Juno Temple (Dottie Smith), Thomas Aden Church (Anselm Smith), Gina Gershon (Sharla Smith). Mouse d’Oro al Festival di Venezia 2011 – Academy of Science Fiction, Fantasy & Horror Films, Saturn Award come Miglior Film Indipendente e Miglior Attore.
Tutti ricordano il geniale William Friedkin (1935) per Il braccio violento della legge (1971) e L’esorcista (1973), regista innovativo nel cinema horror e poliziesco, autore di lavori crudi e sperimentali come Cruising (1980).
L’esorcista è stata la fortuna e la maledizione di Friedkin, perché il grande successo della pellicola horror più paurosa degli anni Settanta – che generò sequel, imitazioni, persino un vero e proprio sottogenere italiano – ha segnato la fine delle sue produzioni ad alto budget. Fiedkin ha continuato a girare ottime pellicole indipendenti ma il grande pubblico non è quasi mai riuscito a vederle. Friedkin ha lavorato per la televisione, si è inventato direttore di opere, ricordiamo l’Aida (2005 – 2006) al Teatro Regio di Torino, e ha continuato a fare film interessanti.
Killer Joe è uno di questi, basato su un soggetto teatrale scritto dal premio Pulitzer Tracy Letts (che lo sceneggia). Racconta la storia torbida di una famiglia di disperati texani che per cambiare vita decide di far uccidere la madre per spartirsi i soldi della polizza vita. Joe Cooper, detto Killer Joe, un poliziotto che nel tempo libero si trasforma in uno spietato assassino a pagamento, viene incaricato di compiere il delitto. Non ci sono personaggi positivi, da buon noir che si rispetti. Chris è un giovane spacciatore che deve soldi a un boss della malavita, il padre Anselm è un ubriacone perdigiorno, la matrigna Sharla una prostituta, il killer è un poliziotto depravato. Unica luce che rischiara un ambiente marginale, ma fin troppo ingenua, la giovane Dottie, ancora vergine, che ricorda come un sogno un fidanzato dei tempi del liceo. Killer Joe chiede la ragazzina come caparra per compiere il crimine, perché la famiglia non può pagare il lavoro in anticipo. Tra i due nasce un torbido rapporto d’amore che condurrà lo spettatore verso un finale violento, anticipato da rivelazioni inaspettate, tra schizzi di sangue ed esplosioni di follia.
Killer Joe è un film intenso e cupo, recitato benissimo da attori ben calati in un’interpretazione teatrale, fotografato in una scenografia texana decadente, tra notti piovose e giornate torride, in un clima da noir metropolitano e thriller claustrofobico, pieno di flashback onirici e paesaggi degradati. Orrore, sesso malato, depravazione, eccessi gore e splatter, pestaggi realistici sono la cifra stilistica di un’opera che non sembra girata da un regista alle soglie delle ottanta primavere. Friedkin racconta una storia ironica e dura, amara, desolante, senza speranza infarcita di dialoghi surreali e di sequenze erotiche perverse che anticipano una carneficina.
Bene ha fatto il Festival di Venezia a premiare un lavoro che ricorda il nostro miglior cinema noir, opere come La belva col mitra (1977) di Sergio Grieco, ma anche l’opera omnia di Fernando di Leo (I ragazzi del massacro, 1969 – La mala ordina, 1972). Premiato anche al Toronto International Film Festival. In Italia si è visto poco e male, uscito a ottobre 2012, si è aggirato per qualche multisala delle maggiori città, per poi finire del dimenticatoio, come ogni produzione non sponsorizzata dalle major.
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Featured image, cover, source Gordiano Lupi.
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