È innamorato del Bel Paese, ci torna volentieri ogni volta che può ed è proprio qui che un giorno gli piacerebbe girare uno dei suoi film. Amore ricambiato, a tal punto da meritarsi una canzone del gruppo indie rock, I Cani. Visionario, cinetico, psichedelico, profondamente umano come i suoi personaggi, complessi microcosmi, mix di humour, comicità e sentimento: è Wes Anderson, che i più fortunati hanno avuto la possibilità di incontrare al Festival Internazionale del Film di Roma –dove il regista de “I Tenenbaum” presentava un corto di appena otto minuti, “Castello Cavalcanti”, interamente girato negli Studi di Cinecittà per Prada.
L’occasione che lo riporta idealmente in Italia è l’uscita in sala, il prossimo 10 aprile per la 20th Century Fox, della sua nuova creatura: “The Grand Budapest Hotel”, Gran Premio della Giuria all’ultimo Festival di Berlino. L’ottavo film del funambolico regista texano nasce da una gamma di suggestioni, che va dalla tradizione della commedia anni ’30 alle memorie dello scrittore viennese Stefan Zweig.
Una storia senza tempo, di solidarietà, onore e amicizia, quella di Gustave H, concierge di un lussuoso albergo europeo (il Grand Budapest Hotel del titolo) e di Zero Moustafa, l’ingenuo lobby boy che diventerà il suo più fidato amico. Insieme si ritroveranno coinvolti nel furto di un celebre dipinto rinascimentale e nella rocambolesca battaglia per un’enorme eredità di famiglia. Sullo sfondo l’immaginaria città di Zubrowka, che diventa il pretesto per scattare un’istantanea surreale dell’Europa dell’Est tra le due guerre.
“Ho avuto un’idea insieme al mio amico Hugo – racconta Anderson riferendosi al soggetto scritto insieme a Hugo Guinnes – Avevamo discusso di un personaggio ispiratoci da un nostro amico, persona dall’eccezionale ed enorme fascino, un rapporto unico e magnifico con le parole ed uno sguardo molto speciale sulla vita, diverso da chiunque altro. Successivamente pensai di fare una sorta di film europeo, ispirato in particolare da Stefan Zweig, scrittore che son giunto a amare seriamente negli ultimi anni. Ci sono altre cose che stavo leggendo che potrebbero non sembrare connesse a questo film, come ‘Eichman in Jerusalem’ di Hannah Arendt, che ha molto poco a che fare con esso, ma contiene un’analisi avvincente di come ciascun paese europeo si è posto di fronte ai nazisti, e come tutto impazzì; e anche ‘Suite Française’ di Irène Némirovsky. Sono queste alcune delle cose da cui sono partito e che ho mescolato all’idea che Hugo e io avevamo avuto sul nostro amico. E questo, in un certo senso, è ciò che il film è”.
Fughe, travestimenti, incursioni nella tradizione comica slapstick e su tutto le romanzesche avventure dei protagonisti: i bizzarri cittadini di Zubrowka hanno i volti di Ralph Fiennes (Monsieur Gustave H.), Tony Revolori (Zero Moustafa), Tilda Swinton (Madame D. ), Saoirse Ronan (Agatha), Edward Norton (Albert Henckels) e Willem Dafoe (Jopling).
Una girandola di personaggi che tra un flashback e l’altro finisce per includere anche Jude Law (un ospite del Grand Budapest nei suoi ultimi anni), F. Murray Abraham (un anziano Zero diventato proprietario dell’albergo), passando per i soliti noti della brigata targata Anderson (Adrien Brody, Owen Wilson, Jason Schwartzman, Bill Murray).
Zubrowka rivela un universo, un mondo, una fascinazione, ma è prima di tutto un volo acrobatico verso ciò che fu.
di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net
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