“Non esiste grande genio senza una dose di follia”. No, non l'ho detto io. È una frase di Aristotele, che visse fra il 384 e il 322 a.C. e fu uno dei maggiori filosofi greci dell'antichità. Tutt'oggi, in ogni modo, non si può che condividere un'affermazione del genere. Ma concentriamoci solo al vasto campo della letteratura, che vanta un'altissima percentuale di “talenti disturbati”, chiamiamoli così. Come non cominciare dal mitico Bukowski, che con i suoi celebri racconti di sbornie colossali, giornate sprecate alle corse di cavalli e perversioni sessuali ha segnato una rivoluzione nella maniera di scrivere convenzionale e condizionato lo stile di molti altri scrittori negli anni a venire. È nota poi la dipendenza dall'alcol di poeti e scrittori come Dylan Thomas e Jack Kerouac (morti rispettivamente a 39 e 47 anni, per problemi in qualche maniera collegati al loro alcolismo), Raymond Carver, il re dell'hard-boiled Dashiell Hammett, e quello del brivido Edgar Allan Poe (quest'ultimo morto all'età di quarant'anni in preda a delirium tremens).
Anche Ernest Hemingway aveva un rapporto problematico con l'alcol, ma fu afflitto da problemi ben più gravi: una forte depressione, paranoie e allucinazioni. Venne ricoverato e subì diversi elettroshock, per poi morire suicida con un colpo di fucile alla tempia. Tra gli scrittori morti suicidi, annoveriamo naturalmente Yukio Mishima (tragico il suo suicidio in diretta nel 1970, quando egli, quarantacinquenne, si uccise con il rituale dei samurai giapponesi, denominato “Seppuku” ). Hunter Thompson, il creatore del “gonzo journalism”, provò durante i suoi reportage le più svariate sostanze stupefacenti. Per rendersene conto, basta leggere il suo capolavoro Paura e disgusto a Las Vegas, oppure vedere l'ottima trasposizione cinematografica di Terry Gilliam (Paura e delirio a Las Vegas il titolo italiano), che ha come interpreti Johnny Depp, poi divenuto grande amico dello scrittore, e Benicio Del Toro. Thompson morì anch'egli suicida, con un colpo d'arma da fuoco alla testa, all'età di 67 anni.
Continuando in questa rassegna, come non citare il poeta maledetto Charles Baudelaire, che tentò due volte il suicidio e in seguito cercò sollievo nelle droghe a causa di una debilitante malattia che lo afflisse. William S. Burroughs, tra i più brillanti autori della cosiddetta “beat generation”, era tossicomane e faceva uso regolare di morfina ed eroina, divenendo in un periodo addirittura spacciatore. Che dire poi di un altro straordinario rappresentate della beat generation come Allen Ginsberg. Problemi di droga anche per lui, ma soprattutto un episodio di allucinazione uditiva durante la lettura di una poesia di William Blake e il ricovero in un ospedale psichiatrico. Lo stesso Blake ebbe inspiegabili visioni per tutta la vita, visioni che venivano tramutate in immagini nei suoi impressionanti dipinti. Oscar Wilde, edonista per natura, ebbe un'esistenza controversa, come tutti sanno. Dopo aver subito ingiusti processi ed essere stato incarcerato, conobbe la povertà e morì quarantaseienne (celebre la sua frase “Sto morendo al di sopra delle mie possibilità”).
L'elenco sarebbe ancora lungo, forse troppo, quindi mi pare giusto fermarmi qui. Comunque, secondo recenti ricerche scientifiche, esisterebbe uno stretto legame tra alcuni disturbi mentali e i processi creativi. Nello specifico, sembra che un determinato gene, implicato in processi cerebrali legati alla creatività, sia anche associato a malattie mentali come la schizofrenia. In alcuni casi è stata invece la conformazione del cervello a fornire dati inconfutabili. Il cervello di Victor Hugo, per esempio, aveva un volume di 2000 cm3 anziché attestarsi intorno ai 1500, come vorrebbe la media. Studi scientifici a parte, è vero anche che è segno distintivo del genio quello di tendere a una certa autodistruzione. Dunque, difficile trovare una spiegazione univoca.
Concluderei con una citazione di Truman Capote, che diceva di se stesso: “Sono un alcolizzato. Sono un tossicomane. Sono un omosessuale. Sono un genio.” Soprattutto un genio, aggiungerei. In fondo, è questo ciò che importa. Le opere di questi grandi scrittori rimangono a testimoniare il loro talento fuori dal comune. Il resto non conta.