Fn. Ma non sono fascisti, però...
Si chiama corto circuito. Senza trasposizioni semantiche. Ovvero: una connessione a bassa resistenza fra due elementi di un circuito elettrico. È quanto accaduto nell’intera Milano morattiana.
La bassa resistenza è quella della politica. Un ameba informe dalla testa berlusconiana, dal corpo craxiano e dal ventre fascista.
I due elementi, la ragione e la degenerazione. Il circuito la democrazia.
Corto circuito. Costo: 20 mila euro. Circa. Tanto, infatti, è il valore del locale assegnato in Corso Buenos Ayres, previa presentazione di richiesta, all’associazione Forza Nuova. “Associazione culturale e sociale senza scopo di lucro”.
Associazione?
Culturale?
Lucro?
L’annebbiamento della memoria, la rottura degli argini di quel buon senso che, caduto Tambroni, ha consentito di dribblare azioni provocatorie, oltraggi alla memoria, sputi ciamurrotici sulle polaroid ingiallite della Resistenza.
Ma il politicante che tutto può e tutto deve, il notaio delle decisioni, il ratificatore delle regole senza morale, il lacchè delle carte bollate, imbelle esecutore mandatario di uno sciatto presente inzuppato nel nulla ideologico e valoriale, non distingue. Esegue. E lo fa con la nonchalance del finto ragionevole, come fosse il depositario di un qualche codice fatato e segreto, scrigno di segni e di simboli.
Le gare pubbliche il suo punto di vista, l’appalto la conditio sine qua non del respiro. Che sia tutto, se tutto deve essere. Buono o luceferino. Ma che sia documentato.
Nel corto circuito della ragione, si fa festa. Un corteo di cortigiani incartati di nero e testa rapata. Nella camera del delitto, quella tolta alla comunità (Medaglia d’Oro per la Resistenza e sede della grande insurrezione finale che capvolse il Ventennio nazifascista) ed assegnata, per soldi, per la giustizia della burocrazia, per l’imperium delle graduatorie, ad un manipolo di xenofobi da far accapponar la pelle del collo di zio Adolfo, i camerati meneghini si riuniranno, annunciano, “per una festa fino a notte fonda”.
Sì.
La notte della ragione. Una notte talmente buia da far rimbombare, di stella in stella, di lacrima di pioggia in lacrima di pioggia, di gocciolina di nebbia in gocciolina di nebbia, le parole auto celebrative del Camerata Marco Mantovani. Lui, che di Fn è il portavoce (si son dati anche una struttura interna in barba a tutte le regole, ma quelle buone), tiene ad ammantarsi di verginità innocente. Già. Perché lui non è un autonomo, uno studente sfigato, un ricercatore, un cassintegrato, un disoccupato con figli sul groppone, una babysitter in nero, una badante stesa in terra sotto gli occhi della gente.
Non sia mai detto.
Non c’è da scherzare.
“Noi non abbiamo l’abitudine di occupare illegalmente gli spazi”.
“Noi”.
Loro.
Infatti. Hanno sempre preferito sgombrarli quegli spazi. A forza di botte.