Anna Lombroso per il Simplicissimus
Grazie rete. Ogni giorno scorrendo i titoli dei giornali online, cogliendo dichiarazioni ch escono da quell’elettrodomestico sempre più sottile, quindi sempre meno profondo, quando mi sento sola e estranea, straniera in patria e nel sentire comune, a differenza di anziani sapienti, non per questo saggi, che hanno dileggiato gli scompartimenti ferroviari, sbeffeggiato i bar sport, condannato la Tv, vituperato la stampa, salvo tenere sontuose rubriche sui giornali compreso un settimanale al prezzo di due che con le stesse gnocche in copertina ha condotto battaglie moralizzatrici malgrado due editori non proprio specchiati, salvo fare profittevole comparsate in salotti mediatici, salvo imporsi al vasto pubblico dei viaggiatori di lungo percorso con illeggibili romanzoni o operette morali, che quando la carne se frusta, l’anima se giusta, ecco ogni giorno mi viene da dire, grazie web. Dove mi esprimo, dialogo con altri incazzati, esercito un po’ di antropologia spiccia e pure un bel po’ di psicologia in merito a personalità scisse, a quell’indole a raccontarsi come si vorrebbe essere, che accomuna le pubblicatrici di micetti e poesie, i rapitori seriali dei social network all’inarrestabile e molto più dannoso produttore di storytelling al governo.
Oggi tanto per fare un esempio scopro che il narratore di Palazzo Chigi ha deciso di commissariare la gestione del Giubileo togliendola a Marino per affidarla a Gabrielli, designato oculatamente a metà strada tra i due round di Roma Capitale nella consapevolezza che serviva un prefetto di ferro. La notizia dai giornali viene data con la sobrietà che da qualche giorno ha preso il posto del fanatico entusiasmo, senza rilevare che evidentemente agli occhi del premier il grande evento confessionale di portata internazionale è più delicato da trattare della più straordinaria capitale mondiale e l’uno deve essere delegato a persona pratica e competente di eccezionalità, l’altra può restare nelle mani poco accorte di qualcuno che vantando come un matto di Collegno la sua origine marziana, ha rivelato, nel caso migliore, incompetenza, inadeguatezza, impreparazione, incapacità, unite a una formidabile e inossidabile spocchia, quella si all’altezza degli standard g9vernativi.
E sempre oggi il ministero dello Sviluppo Economico, rispondendo a una interrogazione dei 5 stelle ci fa sapere che è pur vero che il mondo delle coop è nella bufera per via delle inchieste di Mafia organizzazioni internazionali, sulla sua svendit progressiva e dissipata Capitale, ma che non è possibile adottare le necessarie misure e attività di sorveglianza a controllo e a quel “programma mirato di ispezioni straordinarie” annunciate ai deputati dal ministro Federica Guidi lo scorso 17 dicembre, per mancanza dei fondi necessari.
Intanto le “firme pazze” che avevano brillato per assenza sul tema della scuola, stanno rispolverando le antiche abitudini lanciando calorosi e fervidi appelli a sostegno del magistrato specchiato in lizza per il comune di Venezia, sulla cui onestà non sollevo i dubbi che invece mi pungono a proposito della sua ritrosia a pronunciare dei severi no ad improvvidi canali, alternativi a quello promosso dal suo avversario, ma tant’è sempre di scavi si tratta, alla Grandi Navi, alla mercificazione di luoghi storici e beni comuni ceduti a improbabili mecenati, all’egemonia del Consorzio in odor di eterno conflitto d’interesse con bene comune, ambiente, trasparenza. Ma si sa l’istinto è quello di schierarsi se non col vincitore, almeno con quello che ha più appeal, che vanta maggiore appartenenza ai circuiti di elite che non vogliono accorgersi di non contare più una cippa in una provincia remota dell’impero. E che a Venezia, alla sua rovina annunciata ma inascoltata, all’abbandono da parte di residenti e organizzazioni internazionali, alla sua svendita svergognata e dissipata, hanno dedicato un’occhiata distratta durante l’arcaica cerimonia del Campiello o dalla Sala Grande di un Lido oggetto di una sordida speculazione.
Si, grazie, rete. Per carità non credo alla partecipazione sul web come succedaneo della democrazia, non credo che la cittadinanza digitale ci esima dalla responsabilità e dai diritti di luogo e appartenenza. E temo che l’Italicum possa prevedere una successiva aberrazione in voto elettronico in modo da sancire il significato unicamente notarile e di conferma del già deciso in alto e altrove che si vuole attribuire alle elezioni.
Ma movimenti di protesta, campagne di solidarietà, circolazione di denunce e informazioni, ci ricordano che Internet è il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto, che Facebook è la terza “nazione” al mondo dopo Cina e India con oltre 1 miliardi di abitanti, che l’imposizione di un sistema di controllo sociale da parte di un numero imprecisato di soggetti inquieta ma può essere una garanzia di trasparenza. E che l’invadenza dei poteri, continui richiami alla censura e alla sorveglianza, l’esuberanza di soggetti economici dimostrano che il web è esposto a una serie di appetiti e aggressioni, proprio perché la conoscenza, la massa e lo scambio di comunicazioni sono un bene comune straordinario, sociale, politico ed economico, che va tutelato come strumento insostituibile per rendere effettivo un gran numero di diritti fondamentali, per contrastare la disuguaglianza e l’esclusione.
Per questo tanta spocchia, come ha scritto il Simplicissimus qui https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2015/06/12/lecografia-di-internet è sospetta: sospetta di misoneismo, sospetta di snobismo, come lo sono sempre le lezioni di pedagogia impartite col “culo al caldo”, che vengano da giovani stronzi assurti a posti di comando immeritati o da venerabili maestri altrettanto remoti ed estranei alla normalità. E che non vorrebbero mai essere iscritti a un club così poco esclusivo da annoverare noi gente comune, preferendo i loro “casin dei nobili” da dove hanno dato a tanti l’illusione di poter entrare comprando ogni mattina un giornale-partito, uscendo dalla solitudine degli esclusi per far parte di una “opinione pubblica” selezionata, moderna, informata, e membri ad honorem di una “società civile” incorrotta e innocente a fronte di un ceto politico guasto e vizioso. Quei tanti che hanno creduto di partecipare alla rivoluzione culturale del Duemila comprando un pesante bestseller, affrancandosi da Bevilacqua e Gervaso, da De Crescenzo e Biagi, con un Umberto Eco che ha segnato il riscatto da uno stato di inadeguatezza sociale, da un vergognoso provincialismo proprio come una giacca di Armani.
E allora, grazie rete, caotica, popolosa, inafferrabile, disordinata, volgare, esibizionista, sfacciata, miserabile e eroica, come certe megalopoli con i loro grattacieli di cristallo nelle quali si specchia il brulicare dell’umanità.