ROMA – Si chiama “Abbracci Polari” il nuovo progetto fotografico di Greenpeace, realizzato in collaborazione con il fotografo Francesco Alesi, per sensibilizzare quante più persone alla campagna in difesa dell’Artico (www.savethearctic.org).
Abbracciati a un orso polare, simbolo dell’ecosistema più prezioso per il clima del pianeta, sono tanti i personaggi che hanno aderito all’iniziativa: Margherita Buy, Claudia Gerini, Claudio Santamaria, Ennio Fantastichini, Alessandro Haber, Giobbe Covatta, Sandra Ceccarelli, Claudia Zanello, Paolo Briguglia, Mimmo Calopresti, Giorgio Pasotti, Pino Quartullo e Gianluca Tavarelli.
Bandire le trivellazioni offshore e la pesca distruttiva attorno al Polo Nord, è questo l’obiettivo della campagna Save The Arctic. La sfida è di creare un santuario globale come è stato fatto in Antartide. Nel 1991, in seguito anche alla campagna di Greenpeace, è stato siglato il Protocollo di Madrid, che ha dichiarato la messa al bando per 50 anni di ogni sfruttamento minerario dell’Antartide e ha imposto la valutazione dell’impatto ambientale per qualsiasi attività.
La petizione in difesa dell’Artico, attiva da giugno 2012 sul sito www.savethearctic.org, ha già superato 2 milioni di firme. Quando toccherà quota 3 milioni, Greenpeace inserirà i nomi dei firmatari in una capsula che verrà collocata nei fondali dell’Artico, a una profondità di 4 chilometri, e contrassegnerà il luogo con la “Bandiera per il Futuro” disegnata dai bambini che hanno partecipato al concorso globale del movimento scoutistico Girl Guide.
Nuovo anno, vecchie minacce: “Il 2013 è iniziato con uno scampato disastro ambientale nell’Artico, visto che la sera del 31 gennaio 2012 la piattaforma petrolifera Kulluk della Shell si è incagliata vicino all’Isola di Kodiak, in Alaska, un paradiso della biodiversità. Solo dopo settimane si è riusciti a disincagliarla” – spiega Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia.
“Le attività petrolifere di Shell in quell’area sono un disastro, con un ricco elenco di incidenti e dimostrate omissioni nelle procedure di sicurezza. Shell continua ad assicurare di avere un “programma Artico” di prima classe per perforare in condizioni “estreme” in tutta sicurezza. Ma il naufragio della Kulluk dimostra che Shell non può garantire un bel niente”.