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Grillo col botto a Palermo, e Berlusconi sfiducia Alfano. Fra un po’ torneranno i Savoia.
Creato il 29 ottobre 2012 da Massimoconsorti @massimoconsortiL’impressione è che la Sicilia, ultimo test elettorale in ordine di tempo, rappresenti per molti aspetti l’Italia di questi anni bui. Crollano tutti i partiti “parlamentari” mentre, dai flutti dello Stretto di Messina, emergono Beppe Grillo e il suo uomo a Palermo, Giancarlo Cancellieri, come fossero Venere al sole. Meno della metà dei siciliani è andato alle urne. Alle scorse regionali aveva votato il 66,68 per cento degli aventi diritto, questa volta ci si è fermati al 47,42, una disfatta di proporzioni colossali per i parolai spacciaballe della nostra politica. Quello squillato a Palermo e dintorni, non è solo un campanello d’allarme ma molto di più, una sorta di nuovi Vespri ai quali la politica nazionale dovrebbe prestare molta attenzione (invece di continuare a giocare con i bilancini delle percentuali da tempi di Formula Uno), in attesa che un’ondata di sdegno la cancelli definitivamente dalla storia di questa nazione. I vari Micciché, Crocetta, Musumeci e Marano guardano con invidia il grillino in testa a Palermo e, dall’alto della loro insulsaggine, osano perfino domandarsi: “Ma perché?” E non si pensi che queste cose accadano a caso o che la mafia, improvvisamente, si sia decisa ad appoggiare il comico genovese strafottendosene dei mammasantissima locali, il fatto è che a essersi stancata è la gente normale, quella che sbarca con difficoltà il lunario, che non sa che cazzo di pesci pigliare, che tira a campare non potendosi permettere di vivere. E mentre in tutta Italia sale lo sdegno per una classe politica lontana anni luce dai bisogni veri della gente, assistiamo ancora una volta impotenti alle farneticazioni di un uomo che ormai non si sa più se ci è o ci fa. La storia è semplice, Silvio non si sente protetto da questo governo che non lo ha fatto assolvere nel processo Mediatrade e allora gioca allo sfascio totale. Ma in che diavolo di nazione viviamo se il giudizio di un tribunale può essere manipolato, alterato, sconvolto a fini politici? Che differenza ci sarebbe fra il tribunale di Milano e quello di Roma che condannava, all’epoca del fascio, gli intellettuali liberali, socialisti e comunisti per una pura ragion di regime? In che cazzo di nazione viviamo se una corte di giustizia (sic!) è costretta ad andare contro la stessa legge che dovrebbe far rispettare, per pagare un pesantissimo ticket d’impunità a un individuo come Silvio Berluspony? E allora, giustamente, la gente s’incazza, va alle urne e vota il Movimento5Stelle per sfregio, per dispetto, perché non ne può più non solo di D’Alema e di Veltroni, ma anche di Renzi, di Casini, di Vendola, di Di Pietro e di tutti coloro che di politica vivono e prosperano. “Ma andate a lavorare...” dicevano una volta le tute blu in piazza. Ma lor signori, di fare un lavoro modesto, qualsiasi, normale, non ci pensano proprio. Continuano a scazzarsi fra di loro come se in questa nazione ci fosse ancora qualcosa da spartirsi, come se la sfiducia di Silvio a quel povero cristo di Cocorito Alfano, fosse dettata da alti ideali e non dalla voglia di mandare tutto a scatafascio perché, cari connazionali, quello che Silvio vuole è che tutto vada a puttane, non solo lui. I mercati lo hanno capito e lo spread è salito di colpo. Povero re e poveri anche i sagristi.
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