Di non facile comprensione, spesso accantonato dopo poche pagine, troppo poche per poter essere compreso, Che tu sia per me il coltello è la dimostrazione di quanta intensità possa ancora regalarci un romanzo.
Come un esercizio di lettura e scrittura insieme, mentre si gustano queste pagine dense di parole mai inopportune, viene quasi naturale sottolineare o annotare le espressioni più belle.
Bello è un aggettivo ormai abusato, ma non riesco a trovarne uno migliore per descrivere l'opera di David Grossman; qui tutto è misurato, tutto è calibrato e mai troviamo quello sfoggio di emozioni spesso inopportuno e melenso, a tratti patetico.
"Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso" scrive Yair a Myriam, perché questo è un romanzo epistolare e qui ogni parola scava dentro l'anima di ciascuno di noi.
In un gruppo di persone un uomo vede una donna che sembra volersi isolare. Quell'uomo è Yair e lei, Myriam, con un solo impercettibile gesto ha aperto in lui un mondo; un mondo fatto di piccole cose, di gesti quotidiani non più meccanici ma vissuti, un mondo da sempre esistente ma solo ora degno di nota.
Yair propone a Myriam d'iniziare una corrispondenza e da quel momento le parole diventano coltelli, i confini dell'Io svaniscono e tutto acquista valore.
Le lettere riempiono i giorni ma soprattutto colmano i vuoti e ben presto si trasformano in un'impalpabile richiesta d'aiuto.
Yair e Myriam si abbandonano, pongono la loro anima "nella mano dell'altro", gettando "tutte le motivazioni logiche nel pozzo più profondo del Beit-Zeit" e quando, nel finale, finalmente i due s'incontrano, l'emozione di leggerli insieme, contemporaneamente, è immensa.
La loro anima è talmente tangibile che le loro storie (d'amore, di maternità e paternità, umane) diventano le nostre e quasi non vogliamo perdere quei personaggi così vicini e così lontani allo stesso tempo.
Stringiamo il libro a noi trattenendo il fiato, assaporiamo ogni pagina con la consapevolezza che sarà difficile (ri)trovare altrove una naturalezza così disarmante.
Yair sei tu, siamo noi. Le sue domande arrivano non solo a toccare l'anima e il corpo di Myriam ma anche i nostri.
E le risposte di lei spalancano tanti orizzonti, tante finestre da far quasi freddo, fessure che non siamo in grado di chiudere perché non vogliamo.
L'autore lascia parlare i protagonisti, qui non c'è bisogno di mediazione alcuna perché tutto scorre, è perfetto così.
Davvero, andate oltre le prime pagine, tentate di armonizzarvi alla prosa di Grossman; il risultato sarà strabiliante.Articolo originale di Sentieri letterari. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore. I contenuti sono distribuiti sotto licenza Creative Commons.
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