Il 19 marzo sono iniziate la operazioni della coalizione dei volenterosi. Lo scopo è quello di impedire alle truppe di Gheddafi di fare una strage nella Cirenaica, regione che comprende Bengasi e che è stata da sempre ostile al Colonnello.
C’è comunque ben poco di altruistico nelle intenzioni dell’Occidente. Seppur con il consenso dell’Onu e della Lega Araba , che partecipa ai raid, (non dell’Unione Africana però) Europa e Usa agiscono anche per motivi economici e politici. Sarkozy ad esempio, il primo promotore dell’azione militare, cerca un rilancio in ambito interno, le sue quotazioni sono in forte ribasso e tra un anno, nel 2012, in Francia si terranno le elezioni presidenziali. Una vittoria nel rovesciamento di Gheddafi, con conseguenti ricchi trattati economici con i successori del Rais, darebbero una carta vincente al Presidente francese in vista di una riconferma futura. Obama d’altra parte, dopo il discorso de Il Cairo di due anni fa ed il sostegno alle rivoluzioni tunisine ed egiziane, non poteva esimersi dall’appoggiare una richiesta di aiuto, fatta dagli insorti in Cirenaica e nel resto della Libia. Ed anche per gli Stati Uniti vi sono aspetti economici da non trascurare.
In tutto questo l’Italia ha un ruolo piu defilato ma comunque importante. Oltre ad aver concesso le basi Nato, il nostro paese potrebbe, in seguito, partecipare attivamente alle operazioni aeree, perche solo di operazioni aeree si tratta. Nessun militare della coalizione dovrebbe infatti mettere piede sul suolo libico.
Il Post possiamo leggere il quadro in cui si muove l’Italia:
Gheddafi si trova in un bunker nel complesso militare di Aziziya, a Tripoli, circondato da migliaia di sostenitori che si sono offerti come scudi umani.
Molti in queste ore si sono chiesti che fine fa il trattato tra Italia e Libia, che il Post aveva raccontato qui. Il trattato, tra le altre cose, impegna i due paesi a “non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite”.
Al di là del fatto che il governo italiano ha già detto di considerare “sospeso” il trattato con la Libia, oggi ci si trova evidentemente in una circostanza di ingerenza compatibile con la Carta delle Nazioni Unite: è l’ONU che ha dato mandato agli attacchi, sulla base della dottrina generale per cui la sovranità nazionale ha limite nella minaccia alla pace e nelle violazioni dei diritti umani. Inoltre, sempre la Carta delle Nazioni Unite enuncia all’articolo 1 il principio dell’autodeterminazione dei popoli: esistono, insomma, i margini per considerare fondata la sospensione del trattato tra Italia e Libia. Un altro punto di quel trattato, infatti, impegna i due paesi ad agire “conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”. Non si può certo dire che Gheddafi lo abbia fatto.
Sul Corriere Fiorenza Sarzanini ci parla invece delle possibili ritorsioni del Colonnello verso il nostro paese. Bombardamenti, atti terroristici isolati etc:
In realtà nessuno è in grado di fornire certezze sugli armamenti accumulati dopo la revoca dell’embargo e dunque sull’eventualità che il Colonnello sia in grado di colpire Lampedusa, Linosa e addirittura arrivare fino a Pantelleria. Del resto gli accordi economici stretti negli ultimi anni da numerosi Stati occidentali riguardano anche l’industria bellica, però non esiste una lista ufficiale delle apparecchiature consegnate…..
…Ed è proprio un eventuale gesto isolato ad allarmare, come è stato ribadito due giorni fa durante la riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato al Viminale dal ministro dell’Interno Roberto Maroni.
La circolare firmata dal capo della polizia Antonio Manganelli e indirizzata a prefetti e questori al momento si limita a sollecitare «la massima attenzione per gli obiettivi sensibili e soprattutto per le frontiere marittime e terrestri», ma la decisione di convocare in maniera permanente il Comitato di analisi strategica conferma le preoccupazioni relative all’evolversi di «una situazione di guerra che può diventare simile all’Iraq e all’Afghanistan però questa volta in un Paese che si trova a poche centinaia di miglia da noi». In queste ore si cerca di scoprire se negli arsenali del Raìs ci siano armi chimiche.
E’ bene comunque fare delle puntualizzazioni sulla Libia. La rivoluzione libica è diversa da quella egiziana o tunisina. Se in quei paesi si è lottato per la libertà ma anche, e soprattutto, per un miglioramento delle condizioni di vita, in Libia la popolazione è nettamente piu ricca degli altri fratelli africani. D’altronde vi sono ben pochi immigrati libici in giro per l’Europa e i milioni di egiziani scappati dal paese, dopo la nascita delle rivolte, dimostrano come la forza lavoro in Libia sia in buona paarte importata dall’esterno, come noi stessi facciamo con gli immigrati dell’est europa e dell’africa.
Insomma, in Libia non si combatte per questioni economiche. Lo si fa per questioni tribali. Il paese infatti è formato da varie tribù, alcune delle quali sono stanche del dominio di quella di Gheddafi. D’altro canto, dopo decenni dalla rivoluzione che ha affrancato il Paese dal colonialismo occidentale, la burocrazia la fa da padrona. Tanto è vero che da anni uno dei figli di Gheddafi stava tentando di “svecchiare” il regime del padre:
E’ almeno dal 2005 che Seif al-Islam Gheddafi, il volto più spendibile a livello internazionale ed interno, tra i tanti (otto) figli del Colonnello insieme a quello di Aisha Gheddafi, stava cercando di trovare una nuova strada per svecchiare la ‘rivoluzione verde’, ormai impantanata in logiche di potere e cristallizzata intorno ad una casta di tecnocrati cresciuti all’ombra dei pozzi petroliferi. La Fondazione Gheddafi, presieduta da Seif, si era specializzata sulla questione dei diritti umani, pubblicando un libro bianco sulle condizioni delle carceri e delle libertà nel paese per due anni, l’ultimo nel novembre 2010. L’altro fattore di rinnovamento era la stampa, gestita dalla compagnia privata al Ghad, con sede a Londra e che possiede i quotidiani Qea, Quryna e l’agenzia Libya Press, chiusa a fine 2010.
Va quindi ricondotto il tutto ad una strategia politica occidentale per cambiare i propri interlocutori in Libia? L’Occidente ha quindi, ancora una volta, scelto di entrare a gamba tesa in affari interni per beneficiarne in campo economico? In parte credo sia vero. Ora l’Italia è il primo partner commerciale del paese, dopo la fine della guerra probabilmente le cose cambieranno. La Francia e la Gran Bretagna avranno un peso maggiore. L’America potrà vantare successi in campo di politica estera senza invasioni di massa come quelle di Irak ed Afghanistan. L’Italia ne uscirà ridimensionata, pagando il pegno di aver stipulato una alleanza troppo stretta con il Rais libico. Tutto questo in caso Gheddafi cada, nel caso in cui resista le cose potrebbero mettersi male per l’Occidente. Un intervento di terra credo sia fuori discussione.
Peraltro anche in Oman ed in Bahrein stanno accadendo cose gravissime, con ingerenze saudite, senza che la comunità internazionale si trappi le vesti come per la Libia.
Sono convinto però che i rivoltosi libici non debbano essere abbandonati a loro stessi. La comunità internazionale doveva fare qualcosa, qualcosa è stato fatto, forse troppo tardi, forse in modo sbagliato. Sarebbe stato preferibile ottenere la approvazione dell’Unione Africana, anche se il sostegno della Lega Araba è stato fondamentale. Sarebbe stato meglio intervenire sotto l’egida della Nato, anche se la Risoluzione Onu ha un valore decisivo.
Non era possibile lasciare che Gheddafi sterminasse centinaia di migliaia di oppositori, senza far nulla. Qualcosa si doveva fare. L’importante è che non si invada la Libia e che non si uccidano civili innocenti, altrimenti rischieremmo un nuovo Kossovo e non sarebbe il viatico migliore per il proseguimento de L’89 del mondo Arabo.