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Guerra nel Mediterraneo, post-colonialismo, democrazia

Creato il 20 marzo 2011 da Ppcaserta

Guerra nel Mediterraneo, post-colonialismo, democrazia

Foto da Flickr
In queste ore il Mediterraneo è teatro di guerra, e dall’inizio dell’anno l’Africa del Nord è scossa da cambiamenti violenti ed epocali dei quali non è possibile prevedere gli esiti. La diplomazia internazionale, intanto, con le sue indecisioni prima e le sue decisioni poi, riflette ambiguità che sono state troppo a lungo coltivate. L’inizio della fine della stagione del post-colonialismo potrebbe rappresentare un’occasione per tutti, ma per coglierla non basta certamente una guerra, che è anzi, come è sempre, una sconfitta: c’è molto che deve essere modificato.
Certo, evviva il risorgimento nordafricano, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e la democrazia. A patto, però, di avere un briciolo di onestà e dire che ben poco di questo grande cambiamento nascente va ascritto alle democrazie.
Condannare l’efferata follia di Gheddafi dopo il suo sconsiderato discorso nel quale, tra le altra cose, equiparava manifestanti e rivoltosi a dei ratti; condannare il dittatore libico dopo che ha fatto sparare sulla folla e dato mandato ai suoi mercenari di fare irruzione nella case non risparmiando nemmeno donne e bambini, appariva difficilmente evitabile – e altrettanto decisamente tardivo – anche se nessuno ha cinicamente indugiato a lungo quanto il governo italiano nell’assumere una posizione di netta condanna.
Ma era proprio necessario arrivare a questo punto? Per decenni i riflettori dei media internazionali sono stati quasi sempre spenti sulla Libia e sul Nord Africa, eppure nessuno ignorava chi fosse Gheddafi e chi fossero gli altri dittatori dell’area, che hanno governato incontrastati fino a ieri.  In questi decenni, i governi occidentali, secondo i casi, hanno fatto lauti affari, sostenuto o concretamente rifornito di armi le stesse dittature che ora, solo di fronte all’inevitabile, vengono apertamente e nettamente condannate. Per esempio non pochi Stati dell’UE hanno fornito armi a Mubarak, come mostrato di recente da Amnesty International. Ora vengono messi in primo piano i diritti umani violati – e certamente un’azione energica appariva a questo punto improcrastinabile; prima interessavano molto di più, evidentemente, gli approvvigionamenti energetici, come nel caso della Libia, o le ragioni della “stabilità” dell’area come prevalenti su quelle della democrazia, nel caso dell’Egitto, elemento centrale della strategia regionale di Stati Uniti e Israele a garanzia del trattato di pace israelo-egiziano del 1979.
L’Occidente, per usare con qualche consapevole approssimazione una categoria sintetica, porta con sé la rivendicazione e la pretesa di rappresentare il più compiuto stadio della democrazia, ma non è certamente in forza dell’aiuto delle democrazie occidentali che le grandi masse di giovani nordafricani stanno tentando di affrancarsi dal decennale giogo che li opprime, pagando in non pochi casi con la vita. Anzi.
Possiamo davvero continuare a sorprenderci se la democrazia e l’Occidente non godono di buona reputazione in molti angoli del mondo, quando all’enunciazione dei più alti e nobili ideali democratici si è sistematicamente accompagnato il concreto ed eloquente sostegno offerto dai governi occidentali alle peggiori dittature? Si parla, è bene ripeterlo, di forniture di armi ed equipaggiamenti militari, un aiuto senza dubbio più significativo ed eloquente di qualsiasi dichiarazione di principio.
Gli uomini e le donne istruite di quest’area in fermento, e non sono certamente pochi, sono consapevoli della fondamentale ambiguità di molti governi occidentali; un’ambiguità che finisce per radicare la percezione che, agli effetti pratici, la differenza tra una democrazia e una dittatura è che, in non pochi casi, la prima sostiene la seconda perché faccia nel comune interesse ciò che essa non può fare direttamente. È il caso, tra gli altri, del capitolo molto buio degli accordi italo-libici in materia di respingimenti, disinvoltamente sottoscritti dal governo guidato da chi, a quella data, era ancora un grande amico di Gheddafi, e lo è stato in realtà fino a pochissimo tempo fa, non facendogli mancare il tributo delle più ridicole e servili manifestazioni, prima di cambiare repentinamente il posizionamento del suo giudizio nei confronti dell’ex amico da “leader saggio” a “pazzo”.Quello che sta accadendo, e che ancora accadrà in Nord Africa, chiama direttamente in causa la necessità di ripensare profondamente l’ordine post-coloniale, che è entrato in una crisi irreversibile e ripensare anche, come parte dello stesso problema, i rapporti tra il Nord e i molti Sud del mondo. Farlo sarebbe nell’interesse di tutti, anche se pensare che si riusciranno a mettere da parte facilmente egoismi ed interessi a breve termine, sarebbe quanto mai ingenuo. 
Andando al cuore degli interessi americani, di Israele e dell’Europa nell’area, è chiaro che una serie di problemi sono interconnessi. Puntare sempre di più sulle energie pulite e rinnovabili, per esempio, significherà nel contempo emanciparsi dalla dipendenza energetica nei confronti delle peggiori dittature, evitando così di offrire ancora a personaggi del calibro di Gheddafi, Putin ed altri loro pari la possibilità di dettare le regole del gioco.  In realtà tutto è interconnesso, e questo non è più possibile non vederlo: il ripensamento dell’ordine post coloniale e l’impulso che si deve dare alla energie alternative, sono problemi tra loro connessi, e connessi a loro volta al disastro nucleare in Giappone, e alla necessità di opporsi ovunque al nucleare.
Ora nei paesi del Nord Africa affrancati da decennali dittature, e in Libia  succederà quel che succederà e il passaggio a regimi democratici, anche laddove avverrà, non sarà né scontato, né semplice, né indolore. Ma intanto, quello che si potrebbe fare è tenere ben presente, una buona volta, che nulla mortifica di più la democrazia, incrinandone l’immagine anche agli occhi del resto del mondo, che predicarne la forma guardandosi bene dall’attuarne la sostanza; che un lungo percorso di ripensamento è necessario e che intervenire per evitare il peggio forse è inevitabile, ma è soprattutto il risultato di una serie sistematica di errori e una tragica sconfitta per tutti.


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