Sulla Siria ho moltissimi dubbi e pochissime certezze. Provo a riassumere tutto i in modo semplice, come fossi un bambino che addobba una favola con un paio di domande e un finale incompiuto.
L’esercito di Assad e i ribelli si fanno guerra da due anni. Nelle loro sanguinose lotte ne hanno passate tante, ma sono arrivati a farsene ancora di più. Si rimpallano la responsabilità dei crimini più odiosi, di qualsiasi natura essi siano. Vorrebbero imporre agli spettatori del mondo, a tutti quelli che li osservano combattere, una visione manichea del conflitto, e affermano in coro di essere reciprocamente l’incarnazione del bene contro gli apostoli del male. Ma la comunità internazionale, che pure è guardinga, pare da principio non sentirci, non interessarsi, non schierarsi, non indignarsi. Indifferente e altezzosa, li esorta al dialogo e alla pace, felice al contempo del loro guerreggiare.
A un certo punto, fra i due fronti, qualcuno assesta all’altro un colpo basso, con un’arma generalmente riconosciuta insopportabile: così l’atmosfera si infiamma. Il resto del mondo, fino a quel momento inerte e apatico, intento a un’ignavia probabilmente interessata, decide che è l’ora di finirla. La linea rossa è stata superata, certe azioni sono inammissibili, il colpevole va immediatamente punito! E da qui la sorpresa: l’Occidente a stelle e strisce, parte egemone di quel resto del mondo, pur con efficaci strumenti investigativi e la cultura garantista, non può dimostrare che Assad sia davvero il diretto responsabile di quell’atto scellerato; né può dimostrare che la mattanza non sia invece opera dei ribelli, dacché non ha prove certe e concrete. Ciò nondimeno bombarda Assad, e Assad solo! Facendo, ovviamente, un favore all’avversario, che era ormai allo stremo delle forze. Ma perché?
E questa è la prima domanda.
Nessuno è perfetto e sicuramente Assad sconterà al tribunale di Dio o della Storia le sue colpe, se ne ha. Ad ogni modo, pur essendosi mostrato troppe volte ostile nei confronti di quell’ Occidente egemone e militarizzato che ora apertamente lo minaccia, alleandosi con la coalizione a lui antagonista e vittima di un’opera continua di delegittimazione internazionale, ciò può bastare per meritare una simile e acritica punizione?
E questa è la seconda domanda.
La realtà è che la verità, qui in Occidente, strano a dirsi, non possiamo conoscerla. Gli unici che potrebbero saperla, invero, sono i due fronti contendenti, ma la interpretano in modi così cronicamente opposti e insolubili, che mai riuscirebbero a raccontarla senza impegnare fantasie o destare qualche sospetto. E perciò, lo dico schiettamente, ai miei occhi popolari -e chissà dove informati- non sono raccomandabili né l’uno né l’altro, né a maggior ragione i rispettivi tirapiedi, né le reciproche barbarie né la stampa, parziale o imparziale che sia, né le armi, troppo spesso puntate su civili e famiglie indifese, non si sa poi da chi.
Ma su una cosa, credo, possiamo andare tutti incredibilmente d’accordo: che la sentenza scritta in America è ingiusta; che l’eventuale intromissione è un abuso; che gli abusi non tifano la pace.
Michele Spina